Africa Unione europea investimenti in Africa
Cinema a Massaua, in Eritrea (fonte: Paolo Pecere / Il Tascabile)

Per i più aspri critici del capitalismo occidentale l’Africa è sempre stata trattata, in epoca post-coloniale, come il «giardino di casa del primo mondo» (e forse anche del secondo). Sentenze così nette rischiano di dipingere il continente africano come un tutto indistinto, trascurando differenze interne, ma hanno un fondo di verità. Non è un mistero che i Paesi più avanzati – anche tramite investimenti in Africa non solo di privati ma anche di organizzazioni internazionali come Unione europea e NATO – abbiano esercitato per decenni un dominio economico, e di conseguenza politico, su molte ex colonie.

Il caso eritreo

Prendiamo il caso degli investimenti in Africa, e in particolare in Eritrea, a opera dell’Unione europea. Il Fondo europeo di sviluppo (FES) ha deciso di inviare 312 milioni di euro al regime di Isaias Afewerki nel quinquennio 2015-2020. L’ex colonia italiana è uno degli Stati più repressivi al mondo, con una leva militare permanente a causa della guerriglia con l’Etiopia nelle zone di confine e un sistema di torture che fa spavento. A partire dallo scorso anno la situazione è migliorata fino ad arrivare a una distensione dei rapporti con l’Etiopia. La relativa pace con i vicini è un buon segnale ma non basta: ONG come Human Rights Watch continuano a condannare ripetute violazioni dei diritti umani.

Eppure, nonostante l’Eritrea continui a essere una dittatura brutale, l’ONU l’ha accolta addirittura nel suo Consiglio per i diritti umani e l’Unione Europea le ha offerto il suo supporto economico in maniera incondizionata.

«È sbalorditivo che l’Unione europea sostenga il regime di Isaias Afewerki con tutti questi aiuti senza chiedere nulla in cambio in materia di diritti umani e libertà di espressione. Chiediamo all’Unione europea di condizionare i suoi aiuti al governo eritreo alla garanzia di un maggior rispetto dei diritti umani, al rilascio dei giornalisti prigionieri e all’autorizzazione al pluralismo dei mezzi di informazione» afferma Cléa Kahn-Sriber, responsabile di Reporter sans frontières Africa, sugli aiuti annunciati nel 2015.

Dall’Eritrea scappano secondo stime recenti circa 5000 persone al mese. Molti, non tutti, si dirigono verso l’Europa. Un terzo del PIL del Paese si basa sulle rimesse dei migranti. È un valore enorme, in proporzione. L’Unione Europea non può più limitarsi a gestire questo esodo di massa senza tener conto delle sue responsabilità. Finanziare un regime criminale non è mai la soluzione per stabilizzarlo.

Un’altra Africa

Abbiamo portato l’esempio peggiore, ma come detto in apertura bisogna evitare il rischio di generalizzare. Il caso eritreo dimostra che non sempre gli aiuti economici sono la soluzione, anzi spesso finiscono nelle mani di poteri corrotti e dispotici. Allo stesso tempo iniziative più recenti dimostrano che in Africa si può crescere economicamente anche al di là dell’assistenzialismo occidentale, o meglio indirizzandolo diversamente.

Lo scorso 7 luglio 54 Stati africani su 55 (manca appunto l’Eritrea) si sono riuniti in Niger per ratificare un accordo di libero scambio al loro interno al fine di creare un mercato unico africano. Questo accordo pone le basi per un’organizzazione internazionale in grado di favorire il commercio interno all’Africa.

Si tratta dell’African Continental Free Trade Area (AfCFTA), che mira a eliminare i dazi tra Stati, favorendo la circolazione di beni e servizi all’interno del continente. Il mercato unico che si verrebbe a creare coinvolgerebbe 1,3 miliardi di persone, dando nuova linfa a un commercio continentale storicamente stagnante. L’auspicio è che la diminuzione degli introiti riscossi tramite i dazi sia compensata da un aumento generale e sistemico di redditi e salari reali.

L’obiettivo è ancora distante, ma è in quest’ottica sovranazionale, in grado di superare l’avidità delle classi dirigenti corrotte di questo o quello Stato, che investimenti in Africa meglio indirizzati potrebbero essere sfruttati al meglio da tutto il continente per costruire autonomamente la propria ricchezza.

Davide Saracino

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