Lo scorso 2 dicembre, in Somalia, si è diffusa la notizia della cattura, nella regione di Bula-Burte, di Moallim Hundow, uno dei leader dell’organizzazione estremista islamica “Al Shabāb”.

L’operazione è stata compiuta dall’Esercito Nazionale Somalo e dai militari dell’AMISOM, la coalizione dell’Unione Africana costituita allo scopo di contrastare Al Shabāb in Somalia e limitarne le sanguinarie operazioni nei Paesi vicini (in Kenya in particolare).

L’organizzazione ha infatti tenuto per anni in scacco il debole governo somalo, cui aveva sottratto il controllo di vasti territori: questi hanno potuto essere in parte riconquistati solo grazie all’intervento dell’AMISOM e ai bombardamenti intrapresi dagli Stati Uniti per mezzo di droni. Nonostante anche la stessa regione di Bula-Burte fosse stata già strappata da un anno ai fondamentalisti, Moallim Hundow, come altri comandanti, aveva continuato a praticare un vero e proprio racket nei confronti dei pastori e agricoltori locali, imponendo tangenti allo scopo di finanziare le proprie attività. L’intervento dell’esercito somalo e dell’AMISOM permette, pertanto, di tagliare una delle fonti di approvvigionamento economico di Al Shabāb, restituendo contemporaneamente fiducia alla stremata popolazione.

La notizia della cattura di Hundow consente di fare il punto su uno dei conflitti dimenticati dell’Africa, che però negli ultimi tempi ha visto progressivamente accrescere la sua importanza sullo scacchiere internazionale. Questo anche perché quello che sta accadendo in Somalia costituisce un esempio delle tensioni e rivalità che agitano la galassia dell’estremismo islamico, tutt’altro che omogenea.

Nel 2012, in conseguenza dell’ascesa dell’ISIS, i vertici di Al Shabāb giurarono fedeltà ad Al Qaeda, adottando una netta posizione contro coloro che, tra Siria e Iraq, si proponevano di prendere il posto dell’organizzazione fondata da Osama Bin Laden come entità capofila dell’estremismo islamico. Questo evento non fu solo indicativo della profonda contrapposizione ideologica tra vecchio e nuovo establishment jihadista, ma rivelò anche una precisa scelta politica da parte di Al Shabāb, che si dimostrava non interessata a ricalcare il modello organizzativo del Califfato, caratterizzato da una forte base territoriale. Col passare del tempo, però, visti i successi dell’ISIS in Siria e le sconfitte di Al Shabāb in Somalia, molti jihadisti hanno cominciato ad essere maggiormente affascinati dal primo. Ciò a causa di alcuni fattori, tra cui l’adesione al Califfato, lo scorso marzo, di Boko Haram, gruppo fondamentalista islamico nigeriano, punto di riferimento per gli estremisti del continente, e le moderne tecniche comunicative dell’ISIS, che nei suoi media ha messo costantemente in discussione il valore del jihad di Al Qaeda. Non è un caso che nel numero 12 di Dabiq Magazine sia inclusa un’intervista ad un mujahid somalo, disertore di Al Shabāb, il quale insiste sugli insuccessi della sua ex organizzazione e sui vantaggi dell’unirsi al Califfato.

Al Shabāb ha reagito fondamentalmente in due modi a queste prime intrusioni di Dāʿesh in Somalia. Innanzitutto, rinnovando la sua fedeltà in Al Qaeda, ha cominciato a giustiziare i disertori pro ISIS, sollevando persino le proteste ufficiali di quest’ultimo; in secondo luogo, rendendosi conto che, contemporaneamente, stava perdendo appeal presso la popolazione locale e non ne guadagnava all’estero, ha deciso di mutuare qualche importante caratteristica dal Califfato. Così si è dotata di una sua tv ed una sua radio; grazie alla nuova propaganda è riuscita a reclutare foreign fighters, anche dalla Gran Bretagna e dagli USA, che, si dice, vengano trattati in modo privilegiato.

Queste soluzioni non sembrano però aver dato i frutti sperati dai capi di Al Shabāb. La fronda interna favorevole al Califfato si allarga e una frangia ha persino giurato apertamente fedeltà a Dāʿesh. Inoltre, l’organizzazione somala è in difficoltà perché non dispone dei mezzi finanziari di cui gode l’ISIS: le sue entrate provengono dalla pirateria marittima o al massimo dalle  tangenti imposte ai poverissimi contadini, come si è detto faceva Moallim Hundow. Nemmeno l’esercito somalo e l’AMISOM (che non sempre fa la cosa giusta, però: pochi giorni fa alcuni suoi soldati hanno ucciso tre civili innocenti), danno tregua: gli estremisti compiono ancora violenti attentati in tutto il Paese, ma allo stesso tempo continuano a perdere territori e uomini (qualche giorno fa le forze governative ne hanno arrestati un altro centinaio).

Intanto l’ISIS fa proseliti e conquista villaggi nel sud della Somalia. Il timore, espresso anche dal Ministro della Difesa somalo, è che gli ormai tanti disertori di Al Shabāb creino un nuovo Dāʿesh nelle zone conquistate.

Ludovico Maremonti

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