L’ambasciatore russo in Turchia, Andréi Kárlov, è stato assassinato con 7 colpi di arma da fuoco questo lunedì ad Ankara, per mano dell’ex poliziotto Mevlüt Altıntaş, che mentre portava a termine la sua missione suicida avrebbe gridato «Dio è grande. Noi moriamo ad Aleppo e voi morirete qui!». Secondo l’Intelligence turca, non ci sarebbero dubbi sulla matrice terroristica di questo assassinio, avvenuto in pieno giorno in una galleria d’arte di Çankaya, quartiere dove si concentra il maggior numero di ambasciate straniere.

Nei giorni precedenti all’attentato le autorità turche avevano già disposto di rinforzare le misure di sicurezza attorno alla zona delle ambasciate, date le manifestazioni contro il disastro umanitario che si sta perpetuando ad Aleppo. I manifestanti che vi hanno partecipato sono lo specchio di una parte dell’opinione pubblica turca che grida vendetta per Aleppo e che ritiene Mosca e Teheran (Iran) responsabili della guerra civile siriana, dato l’appoggio al regime del presidente Bashar al-Assad.

Per il presidente Erdoğan l’assassinio dell’ambasciatore Russo sarebbe un atto carico di significato politico più che religioso, e probabilmente  lo scopo dell’attentatore (o dei  presunti mandanti dell’attentato) sarebbe quello di incrinare l’amicizia riconquistata dalla Turchia nei confronti della Russia.

L’alleanza politica tra i due paesi dell’est Europa è sempre stata infatti fragile e altalenante. Risale a novembre del 2015 l’abbattimento di un caccia russo da parte delle forze dell’aereonautica militare turca che portò la Russia a rompere ogni relazione con la Turchia, introducendo sanzioni economiche che colpirono l’importazione di frutta e verdura e il settore turistico turchi. Le relazioni diplomatiche tra le due potenze sono migliorate dal momento in cui il presidente Erdoğan ha accettato di presentare le sue scuse per gli spiacevoli fatti avvenuti nel novembre 2015. A fortificare ulteriormente questa alleanza, a luglio del 2016 durante il fallito golpe da parte dell’opposizione, Putin è stato uno dei primi politici a manifestare il pieno appoggio alla leadership di Erdoğan.

L’intricata relazione politica tra i due Stati si regge sicuramente su importanti interessi economici: il volume di intercambio commerciale tra le due potenze si aggirerebbe attorno ai 25 milioni di dollari secondo i dati riportati da Asli Aydintaşbaş, esperta della politica internazionale turca.

Tuttavia il filo rosso che lega Ankara a Mosca, sarebbe connesso, più che agli evidenti interessi economici, al conflitto in Siria. La riconquista di Aleppo da parte delle truppe fedeli a Bashar al-Assad appoggiate dai russi, dagli iraniani e dai miliziani di Hezbollah non sarebbe mai avvenuta se la Turchia non avesse interrotto i canali attraverso cui le forze ribelli e gli jihadisti si rifornivano di denaro, armi e forze militari.

Sarebbe da valutare inoltre che il giorno successivo all’attentato era  già stato programmato da tempo a Mosca un vertice tra i ministri degli Esteri e dell’Interno di Turchia, Russia e Iran, che si sarebbero dovuti accordare al fine di fare da intermediari  tra il Governo siriano e l’opposizione, così da mettere fine a questa guerra civile che dura da ormai cinque anni. I ministri dei tre Paesi hanno di fatto firmato una dichiarazione congiunta affinché venga attuata quanto prima questa proposta diplomatica e si possa garantire il libero accesso dei civili agli aiuti umanitari. Iran, Russia e Turchia hanno inoltre reiterato la decisione di lottare in disposizione compatta contro lo Stato Isamico e l’antico Fronte al-Nura (leader del gruppo armato dell’opposizione).

È da ricordare che Erdoğan, prima del golpe, è stato uno degli oppositori più feroci del leader siriano al-Assad, al punto da aver dichiarato che sarebbe impossibile per i siriani «accettare un dittatore che ha provocato la morte di più di 350 mila persone». Come si spiega dunque questo repentino cambio di posizione del presidente turco rispetto al conflitto in Siria? Per comprendere a pieno i fini di questa alleanza strategica è necessario prendere in considerazione gli interessi comuni ai due Stati: quello che suppone un distanziamento da parte di Mosca della causa curda a favore della Turchia e l’accetazione da parte di quest’ultima del sostegno al leader siriano al-Assad a favore della Russia, inquietata dalla possibile presa di potere degli jihadisti.

Riferendosi ancora una volta all’attentantato di lunedì, il capo dell’ufficio stampa del presidente russo, Dmitry Peskov, avrebbe dichiarato che l’unica reazione ragionevole in seguito a una provocazione tanto grave quanto dolorosa è mantenere salda la loro alleanza contro il terrorismo di matrice islamica. James Nixey, direttore del programma Russia ed Eurasia nel centro di studi londinese Chatham House, crede che Mosca potrebbe usare l’assasinio dell’ambasciatore per ottenere l’appoggio del nuovo presidente USA Donald Trump alla sua politica in Siria. Ipotesi sicuramente non troppo fantasiosa, dato che il neoletto presidente in seguito all’attentato ha dichiarato:

«Oggi offriamo le nostre condoglianze alla famiglia e ai cari dell’ambasciatore russo in Turchia Andrei Karlov, che è stato assassinato da un terrorista radicale islamico. L’assassinio di un ambasciatore e’ una violazione di tutte le regole civili e deve essere condannato universalmente».

Sara Bortolati

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