Phoenix Can Die, la scomposizione chiaroscurale nel prisma del sé
Fonte: Emic Entertainment

Un’unione esplosiva di processi di percezione e produzione musicale traboccanti, nelle quali il duo composto da Richard Blackstar e Mirco is dead risulta decisamente abile nell’amalgamare riflessioni attuali e accattivanti a sonorità di grande carattere e unicità. Così potremmo sintetizzare la musica dei Phoenix Can Die, che hanno recentemente rilasciato per Emic Entertainment il singolo “Iron Flakes, disponibile a partile dal 13 aprile su tutte le piattaforme di streaming digitale.

Al di là della minuziosa attenzione estetica e melodica, estremamente curata in ogni dettaglio e scelta, ciò che colpisce del brano dei Phoenix Can Die è la profondità della lirica incentrata sull’insieme di percezioni, sensazioni e cognizioni che un individuo ha di sé stesso e di tutte le sue dimensioni, processo vitale che, volenti o nolenti, modella, le nostre scelte, sentimenti e comportamenti.

La maniera in cui si percepisce le proprie luci e ombre può indebolire o potenziare il controllo che si ha verso gli eventi. Accettare sé stessi radicalmente, nelle proprie debolezze profonde e nel proprio reale valore, esporsi gradualmente alle proprie sfaccettature, essere pronti a mettersi in discussione, comporta un calo progressivo dell’attivazione emotiva negativa, fino alla sua totale dissoluzione.

Oggi Libero Pensiero ospita i Phoenix Can Die. Di seguito la nostra intervista:

In poche righe, per chi non vi conoscesse, potreste presentarvi ai nostri lettori?

«Ciao a tutti, è un piacere essere ospiti sulle vostre pagine! Siamo Richard e Mirco, due artisti – se così possiamo definirci – bolognesi; suoniamo, rispettivamente, chitarra, sintetizzatori, voce e batteria/drum machine nel nostro progetto musicale Phoenix Can Die. Oltre ad essere dei musicisti, siamo anche dei tatuatori. Ci occupiamo, inoltre, di pittura e scultura con diversi stili e approcci. Amiamo creare e comunicare con le nostre opere, senza restare fermi in un unico cliché. Forse è proprio per queste motivazioni che la nostra musica è ricca di contrasti: cerchiamo la dinamicità in ogni cosa; è per questo che le nostre canzoni hanno delle forti radici nell’alternative rock, ma anche una grande energia tipica della musica elettronica e del clubbing.»

ll più recente singolo dei Phoenix Can Die “Iron Flakes” è un brano al confine tra universi emotivi tra loro antitetici. Data la sua complessità, sorge spontaneo chiedervi come siete riusciti a “cucire il vestito” intorno all’idea embrionale.

«“Iron Flakes” è il primo singolo di un disco in previsione di uscita. Il brano in questione è nato qualche anno fa, nella sua prima forma di demo, dopo un lungo periodo di assenza musicale. A seguito dell’uscita di “Amen”, (primo album, ndr) ci siamo concentrati principalmente sul nostro lavoro di tatuatori. Abbiamo, in un certo senso, preso le distanze dal mondo delle musica, pur essendo consapevoli che non avremmo smesso per nessuna ragione. “Iron Flakes” è un pezzo nato in casa, registrato su un vecchio Mac. L’idea, la quale ha fatto scoccare la scintilla che ha portato alla produzione del brano è nata durante la pandemia: le città deserte e la pace che ne deriva ci hanno fornito lo spunto necessario in fase di produzione. Abbiamo riflettuto su quanto ci mancasse il mondo per come lo avevamo conosciuto: traffico, produttività a tutti i costi, rincorse frenetiche verso il nulla. Si è trattato di sensazioni del tutto temporanee, visto che dopo pochi attimi la società è tornata ad essere quella di sempre. Nel testo di “Iron Flakes” tutto ciò non viene esplicitato; tuttavia, scorrendo tra le righe, è possibile scorgere tali emozioni recondite. Oltre a quanto enunciato, vi sono altri eventi avvenuti successivamente ci hanno portato ad apportare alcune modifiche, sia in fase di scrittura che in fase di arrangiamento, alla canzone man mano che prendeva forma.»

La conoscenza dei propri limiti e punti di forza svolge un triplice ruolo nella gestione complessiva della personalità: conserva l’armonia nelle raffigurazioni interiori delle differenti conoscenze e abilità, delimita l’insieme delle aspettative e, infine, orienta il modo di interpretare le varie esperienze che ci vengono proposte. Secondo l’opinione dei Phoenix Can Die, quanto è importante volgere lo sguardo verso l’abisso al fine di estrapolare al meglio l’immagine che si ha di sé?

«Si tratta di un quesito alquanto complesso. Grazie per avercelo posto, speriamo vivamente di averne colto appieno il significato. Pensandoci bene, è una vita che, sia in campo artistico che non, volgiamo lo sguardo verso l’abisso. È una sorta di lotta per la sopravvivenza: sappiamo che esso è ci attende non appena voltiamo le spalle, lottiamo per sfuggire alle sue grinfie anche se, talvolta, capita di accoglierlo ed entrarci in confidenza (se così si può dire). È come se questa voragine fosse un nemico da tenere alla larga e, al contempo, si è costretti a conviverci. Mantenere un equilibrio costante non è cosa da poco. “Iron Flakes”, così come il resto delle canzoni che andranno a comporre il nostro album la cui uscita è prevista in autunno, nascono da questo abisso, nonché dalle mancanze che abbiamo tentato di trasformare in luce. A volte non è stato possibile, delle altre invece sì.»

Traendo spunto da quello che sinora è stato il vostro percorso, quali ritenete essere le caratteristiche che maggiormente contraddistinguono i Phoenix Can Die?

«Diciamo che, violenti o nolenti, non ci è mai andato a genio l’essere etichettati in un preciso genere musicale. Sappiamo che rientrare nei canoni sarebbe più semplice a livello artistico e commerciale, ma è un qualcosa che non sentiamo nostro. Sebbene possa comportare il distacco da uno stile musicale che possa definirci, ci sono elementi che gradiamo maggiormente, con i quali entriamo risonanza e che vogliamo portare nella nostra musica; questa nostra caratteristica, la consideriamo una sorta di aikido musicale. Riteniamo di avere punti di vista chiari, continueremo a comporre ciò che più rientra nelle nostre corde. Siamo e saremo costantemente work in progress: la bellezza non sta nell’arrivo, ma nel viaggio.»

 Vincenzo Nicoletti

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