Il video che documenta i fischi e i cori “Allahu Akbar” dei tifosi turchi durante il minuto di silenzio in memoria delle vittime degli attentati di Parigi, prima dell’inizio dell’incontro di calcio amichevole tra le nazionali di Turchia e Grecia di martedì 17 novembre, ha fatto il giro del mondo.

A causa dell’ideologizzazione e della violenza del tifo, ormai capita sempre più spesso e in sempre più Paesi di percepire allo stadio l’umore sociale sulle più diverse questioni. Ecco perché è importante chiedersi per quale motivo i tifosi turchi, prima di un match della loro Nazionale, hanno deciso di fischiare e inneggiare ad Allah in un modo apparentemente rappresentativo delle efferate imprese dei “guerrieri” jihadisti.

La Turchia è un Paese molto complesso: conosce da anni la piaga del terrorismo nelle sue matrici più diverse, da quella separatista dei curdi del PKK a quella ideologica marxista-leninista del gruppo DHKP-C. Dopo un periodo di relativa tranquillità in cui gli atti di terrorismo si erano fatti rari, grazie al dialogo intavolato dal governo con nuovi interlocutori, soprattutto curdi, il consolidamento del potere di Recep Tayyip Erdoğan, recentemente riconfermato alle urne, e la svolta autoritaria e islamista imposta al Paese hanno acutizzato vecchie e nuove tensioni. I fatti di Gezi Park, nel 2014, e gli attentati, perlopiù suicidi, che dall’inizio del 2015 hanno colpito varie città turche, ne sono la testimonianza: protagonista di tali atti, oltre ai citati gruppi terroristici “storici”, è ormai sempre più spesso l’ISIS, in conseguenza dell’appoggio finalmente esplicito, dopo lunghi mesi di ambiguità e connivenze con gli estremisti, della Turchia ai raid aerei intrapresi dalla coalizione internazionale in Siria e nord Iraq. Che ormai il Califfato abbia nel suo mirino anche il popolo turco lo confermano i sanguinosi attacchi contro le manifestazioni di attivisti di sinistra filocurdi a Suruc in luglio e ad Ankara in ottobre (il più tragico della storia turca) e quello sventato a Istanbul proprio il 13 novembre scorso.

In questo quadro, dunque, la presa di posizione del popolo turco espressa per mezzo del tifo va cautamente interpretata: va innanzitutto ricordato come i gruppi di ultras turchi, tradizionalmente violenti e sempre “contro” il potere costituito, si radunarono già a Gezi Park per supportare la protesta contro Erdoğan, venendo da quest’ultimo bollati come terroristi. I fischi e i cori “Allahu Akbar” potrebbero quindi costituire una presa di posizione contro il governo che ormai bombarda l’ISIS, proprio in occasione del minuto di silenzio per Parigi.

Inoltre, non va dimenticato che la guerra all’ISIS viene combattuta sul campo principalmente dai curdi, per cui non è neanche da escludere che i nazionalisti turchi più accesi parteggino per il Califfato perché nemico dei nemici di Ankara: potrebbero essere valutati proprio in quest’ottica i fischi già riservati, prima di un altro match della Nazionale, in occasione del raccoglimento in onore delle vittime dell’attentato di ottobre nella capitale.

Assolutorie e meno attendibili sembrano invece le ipotesi secondo cui i fischi e gli “Allahu Akbar” siano stati prodotti, rispettivamente, per protestare contro la mancanza della stessa attenzione da parte dell’UEFA per le vittime di Ankara e per completare un canto nazionalistico iniziato prima, inneggiante all’unità della Patria.

Ha fatto in ogni caso rumore il silenzio tenuto dal Presidente, dopo la partita, sul boicottaggio del ricordo delle vittime di Parigi, a fronte della ferma condanna, invece, dei fischi già prima riservati all’inno greco: un modo per non attirare sul governo nuove tensioni, alla luce degli eventi delle ultime settimane?

Ciò che sicuramente resta è la sensazione di una Turchia profondamente divisa di fronte alla minaccia dell’ISIS, che anche nel tifo manifesta la sua nuovamente perduta concordia interna.

Ludovico Maremonti

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