«Alcuni vogliono rendere il mondo un posto migliore. Io voglio solo renderlo un posto più bello. Se non ti piace puoi sempre dipingerci sopra!»
L’artista senza volto né nome, che si eclissa dietro la sua arte e lascia che siano le sue opere a parlare, palesa la sua presenza anche a Napoli. In un’epoca in cui apparire conta molto più che essere, in cui siamo tutti alla ricerca del nostro “quarto d’ora” di celebrità, Banksy rovescia e scardina tutte le convinzioni.
Ben poco, infatti, si sa circa l’identità dello street artist più famoso al mondo: muove i suoi primi passi a Bristol e fonde nelle sue realizzazioni con sagace ironia critica sociale e lotta al pregiudizio. Con le sue opere a sfondo satirico non fa altro che sbatterci in faccia verità latenti o ignorate; l’anonimato è il tratto saliente della sua figura e, perché no, il modo per sentirlo più vicino: è un senza volto nella massa del popolo. Potrebbe essere chiunque di noi.
Napoli, tra le massime capitali europee della street art, può vantare di essere l’unica città italiana in cui il “vandalo di qualità” ha lasciato il segno tangibile del suo tocco con ben due opere.
Entrambe realizzate con la tecnica dello stencil, che consiste nel riprodurre uno stesso disegno in serie grazie ad un modello in cartone che viene appoggiato sulla superficie e usato come stampo. Il vantaggio fondamentale è nella sua “rapidità”: dettaglio non sottovalutabile quando si realizzano opere in luoghi in cui non si potrebbe.
La prima opera realizzata dall’artista altro non è che uno stencil ispirato all’opera di Bernini “Estasi della Beata Ludovica Albertoni”. Ad oggi dell’opera, che era situato in Via San Benedetto Croce (Spaccanapoli), non rimane traccia se non quell’immagine eterna, immortalata nelle fotografie: un writer napoletano, tale Hes, coprì con un enorme murale l’opera. Sembra che poi lo stesso se ne sia pentito, ma ormai il danno era stato fatto: l’opera a quei tempi era valutata intorno ai 100.000 dollari.
Nell’interpretazione sardonica di Banksy, la beata era afflitta nient’altro che da un’indigestione di junk food. Spiccano, infatti, tra le sue mani una coca-cola, un panino e delle patatine McDonalds. Non a caso l’artista di Bristol utilizza il rosso e il giallo (i colori simbolo del Mc) per far in modo che il cibo spazzatura si stagli in evidenza, rispetto ai non colori con cui delinea la beata: uno schiaffo simbolico al consumismo con tutta l’irriverenza che lo contraddistingue.
Ad oggi l’unica opera rimasta in Italia di Banksy è presente nel cuore storico di Napoli, in Piazza dei Girolami. Parliamo della ben nota “Madonna con la pistola“, opera in cui sul capo della vergine, che guarda in alto, al posto dell’aureola è disegnato il contorno di una revolver.
Il sacro e il profano, la fede mistica e la delinquenza inarrestabile: Napoli, luogo di contraddizioni per eccellenza, diventa il terreno fertile in cui Banksy decide di lanciare la sua denuncia sociale. Una critica dissacrante che fa proprio l’archetipo primordiale, l’incessante lotta tra bene e male.
E quale città più di Napoli poteva incarnare tale conflitto irrisolvibile?
Napoli, il cui volto si trasforma e si deforma a causa della criminalità incontrollabile, che ne ridefinisce il profilo e riempie le pagine di una storia che non vogliamo ascoltare. Incessanti cronache di disordini e disagi, di camorra e insuperabili squilibri. E poi è il luogo del sole, la città dalla sconvolgente bellezza, femmina nella sua anima complicata.
A Banksy, l’artista che vive di contrapposizioni e contrasti, bastano pochi tratti per raccontare il paradosso di secoli e secoli di storia.
La “Madonna con la Pistola” nell’immaginario partenopeo diventa un’opera così importante, da dover essere preservata. E allora parte l’operazione di “salvataggio”: i cittadini promuovono una petizione, la Madonna viene coperta da un plexiglass per proteggerla dal tempo e dagli atti vandalici e poi viene incorniciata con targa.
«Pensando al destino del lavoro dell’artista inglese in via Benedetto Croce ho deciso di fare qualcosa per preservare la Madonna, sia dagli agenti atmosferici, che, soprattutto, da atti vandalici.»
È questo ciò che racconta Mariano Russo, l’esecutore materiale della tutela della “Madonna con la Pistola”.
Preservare il nostro patrimonio culturale è fondamentale: in particolare a Napoli, dove questo è immenso, ma spesso vittima della negligenza e dell’incuria.
Ma dar sfoggio a questa grande sensibilità artistica e culturale per preservare la street art non è forse un’incongruenza?
Non sarà difficile, infatti, leggere un paradosso incolmabile alla base delle operazioni di “salvataggio” di queste manifestazioni spontanee: ingabbiarle in una cornice “esemplare”, eludendo quella di senso perfetto che regala loro la metropoli. Cercare di farle perdurare e, in alcuni casi, lucrarci su, mecenati e protettori dell’arte urbana, ma forse traditori della sua essenza.
Banksy che finisce per essere intrappolato in quel sistema che lui stesso continua a combattere. Il capitalismo, si sa, in questo non fa sconti a nessuno: nemmeno a chi con sagacia e ironia ne rivela i limiti. E chissà cosa ne penserebbe lo street artist della pizzeria che fa da sponsor alla sua opera.
E dov’è la vera essenza dell’arte di strada?
La street art è anche un modo di esprimere la fugacità della nostra epoca: dove niente perdura e tutto fugge. Dove ci aggrappiamo di volta in volta all’ennesima e nuova chimera, che sia politica, culturale o sociale poco importa.
In questo clima di inarrestabile instabilità, gli artisti di strada raccontano con le immagini il malessere di una società in cui brancoliamo nel buio, senza punti fermi. E allo stesso tempo quel disagio è incarnato nell’essenza stessa di ciò che creano: oggi c’è, domani chissà.
Vanessa Vaia