C’è un mondo che si trascina sulle lastre d’asfalto umido, scivoloso come suole di gomma logore alle luci effimere del neon di tarda notte; c’è un mondo che tira il fiato e racconta a se stesso di luoghi magici, cattedrali bianche benedette da un impaziente sole e oasi di smeriglio arabescate del fascino della fiaba, dell’innocenza.

Brainch
Autrice: Laura Arena

C’è poi il volto ottenebrato dal tremore e dall’insicurezza. S’è scritto e letto di tanto sull’EXPO 2015 a Milano, si è contestato (in modo giusto) il metodo e l’opportunità, si è violentata la forzatura dello scontro istituzionale (in modo errato), travisandolo lungo le strade di una città frastornata da luci a cui pure è ormai abituata. In pochi, in realtà, si sono chiesti cosa ci fosse realmente dietro quei fondi pubblici dispersi fra le mille venature della corruzione e degli appalti pilotati, della speculazione e dell’affarismo mediatico.

Io, invece, ne ho avuto l’opportunità, ed ho atteso di parlare con cognizione di causa riguardo l’ultima delle storie di una storia senza epilogo, quella di cui l’Italia si ciba nella quotidianità e che l’evento del millennio ha voluto riproporre senza mancare di scatenare polemiche e contestazioni: vediamo quindi cosa c’è per davvero all’EXPO.

In realtà, a circa un mese dalla sua inaugurazione, le strutture dell’EXPO paiono quasi completamente approntate, salvo un cantiere ancora ben visibile poco oltre l’ingresso, e neppure le soluzioni di camouflage, come son state creativamente definite, risaltano all’equilibrio ottico del visitatore.

File sterminate di turisti e spettatori, in ogni anfratto della fiera di Rho che ospita l’avvenimento: da questo punto di vista, l’EXPO si preannuncia già vincente e in grado di movimentare un flusso economico di enorme rilevanza, per gli espositori e per la città di Milano.

A tal proposito la scelta politica è sempre, in quanto tale, opinabile: sicché dei fondi sperperati, delle infiltrazioni mafiose, dei volontari sottopagati e dei lavori raffazzonati in corso d’opera si può discutere. Del resto, è ciò che contraddistingue l’operato esecutivo di un Governo, quello attuale, più che mai votato alle logiche padronali del capitalismo e dell’asservimento ai grandi gruppi di potere, dimentico di ogni rilevanza sui diritti e la dignità del lavoro. Detto in altri termini, dopo il Jobs Act e lo Sblocca Italia, non ci si può scagliare contro l’EXPO per rivendicarne una battaglia ideologica: sarebbe come sequestrare una pozzanghera in difesa degli oceani.

Le file d'ingresso all'EXPO
Le file d’ingresso all’EXPO

Ciò che invece lascia attoniti, o, se vogliamo, irrisolti per davvero, è lo sfondo etico che pure si è cercato di trasmettere come tema portante dell’esposizione universale. “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, lascia focalizzare il senso critico su meccanismi di sviluppo sostenibile e di nutrizione consapevole per debellare o quantomeno contrastare i dissennati scempi del consumo di suolo, della deforestazione, dello sfruttamento intensivo delle risorse naturali, della malnutrizione che affligge miliardi di persone nell’era tronfia del consumismo.

E invece di tutto questo, all’EXPO, non v’è traccia. A dar lezione d’etica, per ironia della sorte, è Coca-Cola, brand multinazionale per eccellenza, che nel suo padiglione fa sfoggio di invito all’attività fisica e ad un riciclo consapevole dei materiali. Per il resto, EXPO si configura quasi come un’enorme bancarella, uno sterminato mercatino del cibo multietnico in cui assaggiare (pagando sì un bel po’ di soldi, ma non cifre astronomiche come qualcuno ha voluto strumentalizzare) pietanze esotiche, di nicchia o tradizionali. Di buone pratiche ed innovazioni degne di sovvertire gli stereotipi del mercato, appena pochi cenni: si segnala in tal senso il padiglione dell’Austria, un gioiellino d’integrazione tra natura e tecnologia in grado di ricreare un microsistema silvano nel cuore di cemento della fiera milanese.

Il suggestivo gioco di prospettiva nel padiglione austriaco
Il suggestivo gioco di prospettiva nel padiglione austriaco

Si viaggia quindi da un continente all’altro, sperimentando situazioni paradossali o indecorose, come lo spudorato cerimoniale della Thailandia in elogio al proprio re, degno delle migliori propagande mussoliniane all’Istituto Luce, passando per gli Stati Uniti e il videomessaggio del presidente Obama, che preme per un’alimentazione consapevole nel contempo in cui le pressioni politiche vertono sull’approvazione del TTIP, concludendo in scenari sterili e privi di contenuto come quelli di Argentina e Brasile.

L’EXPO è dunque bello da vedere e forse anche da vivere, per quanto sia difficile visitarlo per intero e sviscerarne ogni dettaglio; un’opera magna d’estetica ed architettonica, policroma e sfrontatamente ottimista; un bell’esempio certo d’integrazione e varietà culturale difficile da riproporre nei contesti quotidiani, ma a tal fine occorre prestare attenzione a non confondere il cosmopolitismo e la globalizzazione, a non banalizzare i concetti, a non rendere il mondo una vuota sottigliezza semantica. Ciò che invece EXPO 2015 non si cura di scongiurare, prestando il fianco, legittimamente, a critiche e scetticismi d’ogni sorta.

Un consiglio, dunque, per chi decidesse di visitare la kermesse fieristica nelle prossime settimane, è il villaggio di Save the Children posto al centro del decumano: unica vera oasi in cui i concetti si concretano e le premesse diventano promesse, attraverso la storia di sei piccoli bambini che è poi la palingenesi di una narrazione priva di radici, divelta dalle terre ai quattro angoli del globo, rannicchiata in pochi chilometri d’illusoria umanità, così profondamente e terribilmente distante dal sentire più profondo della compassione. Perché, spesso, è più appagante cibare l’anima che placare il ventre o titillare le papille.

I braccialetti della vita di Save the Children
I braccialetti della nascita di Save the Children

Emanuele Tanzilli
@EmaTanzilli
ilbrainch@liberopensiero.eu

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