Nell’Italia che fa i conti coi terremoti del presente, che pianifica la prevenzione di quelli del futuro e che cerca di rimediare alle proprie croniche inadeguatezze nella risposta al rischio sismico, il 36esimo anniversario del terremoto che nel 1980 colpì l’Irpinia è l’occasione per fare di nuovo i conti col passato, ricavandone ancora diversi spunti per capire come affrontare le emergenze di domani.

Con epicentro tra i comuni di Teora, Castelnuovo di Conza, e Conza della Campania, il terremoto del 1980 causò centinaia di migliaia di sfollati, a fronte di 2914 morti e 8.848 feriti. Fu un trauma epocale per una Regione e l’intera Italia, che proprio a partire da quei giorni avrebbe scoperto tutta l’inadeguatezza della propria macchina amministrativa e burocratica nell’affrontare le sfide della ricostruzione. Ricostruzione che, in alcuni casi, non c’è nemmeno mai stata, soffocata in pastoie tecniche e da torbide storie di corruzione e malaffare, che hanno risucchiato miliardi di lire dell’epoca e inaugurato intere stagioni giudiziarie.

Ricostruzione mai completata, in certi paesi dell’Appennino irpino; ricostruzione mai avviata in altri centri, come l’ormai leggendaria Apice, paese fantasma immerso nella calma irreale delle proprie macerie, che raccontano le storie di sofferenza vissute da chi ha dovuto di corsa lasciare le proprie case per andare spesso incontro all’ignoto di una nuova vita.

L’anniversario, oltre a messe e celebrazioni commosse, racconta insomma tutto questo. Lo raccontano anche le voci delle istituzioni locali che, nella giornata di ieri, hanno tentato di farsi  sentire di nuovo perché qui, il terremoto, non è ancora finito 36 anni dopo. Si prenda ad esempio il sindaco di Teora, Stefano Farina, che è chiaro nel denunciare a Repubblica perché al suo paese, raso al suolo e con 160 morti, non arrivò nemmeno un euro: <<Nel dopo terremoto vennero accantonati dei fondi per espropriare l’area dei prefabbricati, ma una causa civile ha bloccato tutto. Abbiamo ancora soldi da spendere, perciò non ce ne danno altri>>. Ancora soldi da spendere, 36 anni dopo: record dello spreco e dell’immobilismo, agevolato dai tempi biblici della giustizia. Eppure non si tratta di un caso isolato. Sempre Farina continua: <<Ci sono ancora dei fondi giacenti in comuni del Napoletano>>. Proprio la Provincia di Napoli avrebbe, secondo molti, fagocitato diverse risorse, ancora non si capisce se a buon titolo o meno, sottraendole però ai comuni irpini. Sembra essere questo il parere anche del sindaco di Sant’Angelo dei Lombardi, che afferma: <<Napoli è entrata nel pozzo senza fondo delle risorse e le ha assorbite (…) è necessaria un’operazione verità>>.

Operazione verità che è stata parzialmente attuata dalla magistratura, in tutti questi anni, con esiti il cui segno non mette però tutti d’accordo. Secondo l’ex DC Gargani, in prima linea in quei giorni anche con la propria stessa sofferenza (perse il fratello tra le macerie), <<L’Irpiniagate è stato un bluff>>; anche secondo Farina <<c’è stata una caccia allo scandalo>>, su cui ha fatto leva una certa parte della politica nazionale, come la Lega Nord, che negli ultimi 20 anni ha condizionato i Governi nel non assegnare più fondi per <<l’Irpinia sprecona>>. Affermazioni che si incastrano con quelle di politici al tempo ben più in vista, come Ciriaco De Mita, che in un‘intervista risalente addirittura al 2000 ribadiva che <<gli errori nella ricostruzione avvennero tutti a Napoli. L’Irpinia fu un modello, oggi è vittima di un pregiudizio>>. Eppure qualcosa avvenne, o ben più di qualcosa, se è vero che sono stati scritti libri e verbali di commissioni parlamentari e ministeriali sull’Irpiniagate, che hanno fornito le cifre monstre della ricostruzione, tra cui quel numero approssimato, 29.000.000.000, che tradotto in euro significa letteralmente un fiume di denaro iniettato nelle vene della Campania ferita a morte, di cui si dice che un’intera classe politica (specialmente napoletana) abbia approfittato per (mal)affari propri.

Fiume che scorre ancora oggi: una delibera della Giunta regionale della Campania ha trasferito altri 17,5 milioni a 86 comuni dell’Avellinese per scopi legati al terremoto del 1980. 36 anni dopo. <<Sono contributi per un centinaio di abitazioni, alcune dichiarate agibili 36 anni fa ma non antisismiche>>, puntualizza il sindaco di Guardia dei Lombardi, Antonio Gentile. Oggi, insomma, i soldi servono a prevenire. Prevenzione del rischio sismico perennemente incombente che si attua anche attraverso i nuovi piani regionali di evacuazione e la previsione dei punti di raccolta dei cittadini sul territorio (129 aree individuate solo a Napoli, come reso noto dall’Amministrazione lo scorso martedì) e grazie anche all’implementazione dei servizi di Protezione Civile.

Proprio l’ente che fu costituito nei giorni del post terremoto in Irpinia è oggi  in prima linea per la risposta all’emergenza (risposta che, è bene ricordarlo ncora oggi, fu anch’essa tardiva e piena di carenze vergognose). Nel corso di un evento celebrativo del 36esimo anniversario, infatti, la Presidente del Consiglio Regionale Rosetta D’Amelio annuncia una nuova legge regionale per  <<riorganizzare il sistema a livello regionale e renderlo ancora più efficiente>>. Col notevole rischio sismico cui è esposto l’Appennino (anche alla luce dei recentissimi eventi del Centro Italia) e quello idrogeologico che, come ha ricordato la stessa D’Amelio, è un’altra piaga che affligge la Campania, il ricordo delle vittime irpine si onorerà forse più con la prevenzione e la pianificazione di una pronta e razionale risposta alle emergenze future.

Ludovico Maremonti

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