La notizia è di quelle che rischiano di fare storia nell’universo scientifico.

Un gruppo di ricerca californiano del J. Craig Venter Institute1, capitanato dallo stesso Venter, è riuscito a progettare e sintetizzare il primo genoma “minimo” capace di sostenere la vita artificiale.

L’incredibile scoperta è stata annunciata sulle pagine di Science2 ed il clamore mediatico è stato pressoché immediato, garantito dall’accostamento delle parole “vita” e “artificiale”.

I più semplici dei batteri hanno un numero di geni decisamente inferiore rispetto a quelli presenti nelle forme di vita superiori (circa 20.000 per gli esseri umani). Basti pensare che batteri ampiamente utilizzati nei laboratori di ricerca, come Bacillus subtilis ed Escherichia Coli, hanno un numero di geni compreso tra 4000 e 5000, mentre a Mycoplasma genitalum spetta il primato di cellula vivente con il numero minimo di geni, 525. Tale semplicità è stata considerata , da sempre, il punto di partenza per indagare quelli che sono i geni necessari a sostenere i meccanismi della vita.

Nella ricerca in questione, il team di Venter ha sintetizzato un genoma costituito da soli 473 geni capaci, in condizioni sperimentali, di far accrescere e moltiplicare una cellula batterica.

Questo risultato rende incredibilmente vicino il giorno in cui cellule artificiali sintetiche saranno disponibili per applicazioni medicali e industriali.

Tutta la ricerca si basa su un lavoro3 del 2010 quando , lo stesso gruppo di ricerca , creò il prima batterio sintetico auto-replicante, che presentava quasi il doppio del numero di coppie di basi (le “coppie di basi” sono comunemente utilizzate come misura della lunghezza fisica di sequenza di acidi nucleici a doppio filamento, ovvero Dna) rispetto alla cellula ottenuta nella ricerca attuale.

I ricercatori , per ottenere questa nuova cellula, hanno fissato come criterio la capacità di auto-replicazione in un tempo ristretto, tale da consentire l’osservazione diretta in laboratorio. A partire dal codice genetico di Mycoplasma mycoides, i ricercatori hanno eliminato di volta in volta i geni sospettati di essere “non-essenziali” per la vita. Con grande sorpresa, sono stati identificati dei geni che i ricercatori hanno chiamato “quasi-essenziali”, ovvero coppie di geni che di solito lavorano in tandem, quelli cioè necessari per una crescita robusta, ma non imprescindibili per assicurare la vita. In una serie di esperimenti , per determinare i geni indispensabili alla vita, Venter e colleghi hanno inserito dei trasposoni (sequenze genetiche ‘estranee’) in numerosi geni, per distruggerne la funzionalità . Ripetendo poi la selezione sul genoma sintetico , ed eliminando i geni non essenziali, si è riusciti a ridurne le dimensioni. L’analisi ha rivelato che alcuni geni inizialmente classificati come “non essenziali” in realtà eseguivano la stessa funzione essenziale di un secondo gene; pertanto, uno dei due doveva essere conservato.

Nella versione finale – chiamata JCVI-syn3.0 – la cellula sintetica realizzata da Venter comprende 473 geni, ed è quindi dotata di un genoma più piccolo di quello di qualsiasi cellula, auto-replicante , nota fino ad oggi. Il genoma minimo assemblato conserva quasi tutti i geni coinvolti nella lettura ed espressione delle informazioni genetiche nel genoma, nonché nella conservazione dell’informazione genetica tra generazioni.

Nonostante ciò, un alone di mistero avvolge ancora JCVI-syn3.0. Infatti ancora non si conoscono le funzioni di circa un terzo dei geni che compongono il genoma assemblato. Probabilmente è  questo uno degli aspetti  più sorprendente di tutta la ricerca.

Solo ricerche future potranno chiarire il ruolo di questi geni che, incredibilmente, sottendono meccanismi vitali ancora ignoti.

1. http://www.jcvi.org/cms/home/

2. http://science.sciencemag.org/content/351/6280/aad6253

3. http://www.jcvi.org/cms/press/press-releases/full-text/article/first-self-replicating-synthetic-bacterial-cell-constructed-by-j-craig-venter-institute-researcher/

Antonio Di Marco

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