Donald Trump si presenta al primo incontro ufficiale con il Primo Ministro di Israele Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca, tenutosi per discutere della situazione sul territorio della Palestina: «Gli Stati Uniti incoraggeranno una risoluzione pacifica del conflitto».

Con la soluzione dei due Stati promossa dagli Stati Uniti in questi ultimi anni era iniziato un percorso per una risoluzione pacifica del conflitto, nella quale le Nazioni Unite dovevano rivestire il ruolo di intermediario tra le parti. Con l’elezione di Trump, gli Stati Uniti sembrano aver cambiato direzione: «Gli Stati Uniti non sono impegnati per una soluzione che preveda la formula dei due Stat.

Le affermazioni del neo presidente minano di fatto il percorso tracciato dall’amministrazione Obama in questi anni di mandato, aprendo ad una collaborazione con il governo di Israele. È lo stesso premier Netanyahu a ribadire come la collaborazione con un “partner” come gli Stati Uniti può solo giovare alla soluzione pacifica di questo conflitto.

L’incontro però si svolge durante la settimana in cui il presidente Trump ha dovuto rinunciare a Michael Flynn, ormai ex consigliere alla sicurezza nazionale. Le dimissioni sono state rassegnate a causa dei contatti che Flynn avrebbe privatamente intrattenuto con l’ambasciatore di Mosca, in cui sarebbero state discusse le sanzioni che il nuovo governo Trump avrebbe imposto alla Russia.

Flynn è stato anche l’uomo più coinvolto dal nuovo governo degli Stati Uniti per preparare il meeting con il premier israeliano, nonché per la programmazione delle eventuali manovre riguardanti la politica estera statunitense nel Medio Oriente. La Palestina continua ad essere un tema di rilevante importanza nel quadro internazionale, in cui il conflitto israelo-palestinese rende di difficile interpretazione la vicenda.

Il governo di Israele è pronto a dare il via libera a una norma che, agendo retroattivamente, legalizzerà la costruzione ed il conseguente utilizzo di 4.000 unità abitative precedentemente costruite nel West Bank, regione separata territorialmente da Gaza ma sotto l’autorità dello stesso governo della Palestina.

La decisione era stata in un primo momento bloccata dalle Nazioni Unite, con il consenso del governo Obama, ma la situazione è velocemente cambiata: focolaio delle tensioni le dichiarazioni della nuova ambasciatrice degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite, Nikki Haley, la quale ha bocciato la candidatura dell’ex primo ministro della Palestina Salam Fayyad come ambasciatore delle Nazioni Unite in Libia, poiché gli Stati Uniti «non riconoscono uno stato palestinese e non appoggiano il segnale che questa nomina invierebbe all’interno delle Nazioni Unite». Concisa ma diretta la replica di Hanan Ashrawi, membro del comitato esecutivo dell’OLP: «Abbiamo la speranza che prevarrà la ragione e che gli Stati Uniti ripenseranno a questa irrazionale e discriminatoria decisione nel minor tempo possibile, per non privare le Nazioni Unite di un individuo così altamente qualificato».

Successivamente, è arrivata la proroga offerta dalla Corte Suprema al governo di Israele per rivedere la norma di legge che prevede l’espansione territoriale nel West Bank: 30 giorni per mettere a posto un decreto che permetta al governo di Netanyahu di occupare legalmente quelle abitazioni. Negli ultimi giorni, alla Corte Suprema di Gerusalemme, si sono insediati quattro nuovi giudici (sui quindici totali) ebreo-ortodossi e cristiani, imponendo così una svolta conservatrice ad uno dei più importanti organi politici di Israele, che avrà modo di riunirsi riguardo a quest’ultima decisione della Knesset con una visione più ampia e bipartisan, che possa così favorire una più attenta revisione della norma.

Per riuscire a comprendere la situazione di questo conflitto, è bene quindi scorrere indietro di qualche tempo, partendo dalla grande rivolta araba del 1936-1939 dalla quale si intensificheranno gli scontri per la contesa sul territorio. A seguito dei continui conflitti e della poca rappresentanza politica che la Palestina e i suoi territori avevano avuto durante gli anni di guerra, si costituisce nel 1964 l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), che riunisce i partiti socialisteggianti palestinesi. Nel 1967 l’OLP emana la “Khartoum Resolution“, famosa per i suoi tre no: alla pace con Israele, al riconoscimento dello Stato di Israele, alle negoziazioni commerciali con Israele. I conflitti si accentueranno fino a quando si arriverà ad una tregua, siglata in due parti ad Oslo nel 1993. Nella Dichiarazione dei principî, Israele sottoscrive l’impegno al riconoscimento dell’Autorità Palestinese come vero e proprio Stato, e viceversa; viene inoltre riconosciuto all’OLP il diritto di controllo politico limitato ai territori della striscia di Gaza e del West Bank.

L’incontro avvenuto tra il presidente Trump e il premier di Israele ha mostrato la volontà degli Stati Uniti di impegnarsi per trovare una soluzione pacifica, che garantisca una pace duratura tra le parti; ma sottolineando ripetutamente che la collaborazione tra i due paesi sarà incrementata, per garantire uno sviluppo democratico alla realtà che in Palestina si sta definendo e in quella che deve essere ancora definita.

Resta da definire, in questo quadro, come le Nazioni Unite si vorranno esprimere in merito, e come gli Stati Uniti stessi influenzeranno le scelte che avverranno nel più prossimo futuro.

Niccolò Inturrisi

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