Il fallimento dello sport italiano testimoniato dall'opera di esponenti neofascisti

Le manifestazioni di stampo fascista andate in scena prima di Milan-Lazio hanno riproposto l’ennesimo problema sociale che si riflette anche sullo sport, il quale ne esce inevitabilmente sconfitto. Da canale volto a veicolare messaggi di solidarietà e fratellanza a strumento per la propaganda di odio. Intanto le priorità della classe politica sono altre…

Come se non bastassero le inutili e vergognose polemiche sollevate in merito alla opportunità di celebrare quella che dovrebbe essere tra le più importanti ricorrenze a livello nazionale, alla vigilia del 25 aprile sono arrivati due episodi a cui tutti avremmo preferito non assistere: lo striscione esposto dai tifosi della Lazio in onore di Benito Mussolini alla vigilia della semifinale di Coppa Italia contro il Milan è un’azione inqualificabile, offensiva per le famiglie di coloro che hanno sofferto lottando per la libertà e che calpesta la nostra memoria storica; gli episodi di razzismo verificatisi a distanza di poche ore all’interno dello stadio, con la medesima curva laziale che non ha perso occasione per rivolgere cori discriminatori nei confronti del centrocampista del Milan Bakayoko, a seguito della ormai nota vicenda Acerbi, non possono che essere definiti come l’ennesima manifestazione di ignoranza ultras. Inutile precisare che i due episodi sono strettamente collegati tra loro: basti pensare, da un lato, alla nota e quasi storica simpatia di parte della curva della Lazio per il regime fascista, e, dall’altro, alla legislazione razziale adottata da parte dello stesso regime che provocò la deportazione e la morte di migliaia di persone innocenti.

Gli accaduti rappresentano la più grande sconfitta per sport più seguito in Italia. In effetti, tralasciando per un attimo le simpatie di alcuni ultras biancocelesti nei confronti del Duce, il fatto che l’ennesimo omaggio al ventennio e l’ennesimo episodio di razzismo siano giunti da una tifoseria arrivata a Milano per assistere ad una partita di calcio, fa ancora più male e suscita ancora più preoccupazione; una preoccupazione più che legittima all’interno di un paese ormai avvolto da un’ondata di odio e discriminazione contro il più debole che spinge coloro in cerca di sicurezza a condividere la presunta necessità di ordine e a rimpiangere la pagina più brutta che ha caratterizzato la storia recente del nostro Paese. Lo sport, e ancor di più il calcio, in grado di ipnotizzare e di coinvolgere milioni di persone in tutta Italia e che dovrebbe essere uno strumento sociale volto a favorire la circolazione di valori come rispetto reciproco e integrazione è stato, al contrario, utilizzato come mezzo per trasmettere idee violente e discriminatorie.

Tiémoué Bakayoko, bersaglio dei cori razzisti da parte dei tifosi della Lazio, ha espresso la sua volontà di lasciare l’Italia. Fonte: lapresse

Certo, anche in passato una parte della curva laziale si era già distinta per aver espresso senza troppi problemi la sua simpatia per il regime fascista e per la difesa della razza, ma verrebbe da chiedersi chi e che cosa spinge queste persone che si professano amanti del calcio a gridare al mondo, davanti agli occhi di tutti, la loro nostalgia per idee che non possono e non devono essere più in circolazione al giorno d’oggi. Il clima politico attuale sta influendo in misura notevole sulla mente e sulle idee delle persone ed alcuni rappresentanti, con le loro dichiarazioni, stanno rincarando la dose, suscitando ed incoraggiando ancor di più la libera manifestazione dell’indole violenta e razzista di alcuni cittadini, che di conseguenza si sentono quasi legittimati ad esprimere pensieri offensivi ed ottusi. Quello di cui non ci si rende conto è che si stanno oltrepassando certi limiti, e che di fronte a certe manifestazioni occorrerebbero, oltre che delle reazioni molto più convinte e decise di alcuni rappresentanti di governo, anche dei rigorosi provvedimenti di carattere individuale e generale. Per cominciare, la partita di San Siro andava sospesa, cosa che non è accaduta, con la Procura federale e i Responsabili dell’ordine pubblico che hanno di fatto lasciato passare un messaggio di impunità per qualsiasi comportamento. Lo stesso messaggio di impunità emerso dagli episodi del 24 aprile appare pericoloso e preoccupante, tanto quanto il silenzio di parte della stampa e dei rappresentanti politici sulla vicenda. Il calpestamento della memoria storica cui abbiamo assistito è una ferita che difficilmente si rimarginerà in assenza di serie iniziative di contrasto. Di fatto, tutte le altre frange violente e razziste delle tifoserie di Serie A, vista l’inerzia delle Istituzioni a tali manifestazioni, potrebbero essere mosse dal desiderio di emulare quanto messo in atto dai tifosi laziali e diffondere, così, in maniera esponenziale il problema.

Salvini sport milan
Matteo Salvini, tifoso del Milan e cieco spettatore delle dinamiche neofasciste che stanno facendo cadere lo sport italiano in un baratro d’odio senza fine.

Ben venga la – si spera rapida – identificazione dei tifosi che hanno esposto lo striscione ed hanno inneggiato al Duce, così come di coloro che hanno diretto i cori razzisti ai giocatori del Milan di colore dentro e fuori dallo stadio; ma ad essere necessaria è una rivoluzione culturale che ai fini della sua efficacia deve essere promossa nei luoghi dove la gente ama riunirsi frequentemente e tramite quegli strumenti di intrattenimento che riescono a tenere unite migliaia di persone. A questo riguardo, il calcio e lo stadio possono giocare un ruolo importantissimo nella sconfitta dei sentimenti violenti e discriminatori che oramai spopolano tra i cittadini e, purtroppo, tra i tifosi.

Ed allora, perché non estendere la celebrazione del 25 aprile anche nel mondo del calcio? Perché non valorizzare la memoria storica anche tra tifosi e calciatori? Se, come ha affermato il Ministro dell’interno, il calcio deve essere un’occasione di festa, perché non si ha ancora alcuna notizia del famoso tavolo della legalità che avrebbe dovuto coinvolgere club, associazioni, istituzioni sportive e governative e che avrebbe dovuto avere il compito di ridimensionare fortemente il fenomeno degli episodi razziali all’interno degli stadi? La risposta può essere duplice: o il concetto di festa di cui si parla è diverso da quello cui tutti noi siamo abituati e prescinde dalla condivisione di alcuni valori o, più semplicemente, la voglia di combattere questi fenomeni in realtà non esiste. E la motivazione sta nel fatto che la conduzione di una battaglia contro razzismo e fascismo determinerebbe la perdita di un bacino elettorale conquistato con (per la verità, non troppa) fatica. Purtroppo, a farne le spese sarà il “pallone”, che da strumento di unione dove la rivalità tra tifosi si manifesta solo in termini sportivi, rischia di diventare serio motivo di divisione e di propaganda politica.

Amedeo Polichetti

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