razzismo

La vicenda dei cori razzisti ai danni di Koulibaly allo Stadio Meazza, per il volume di polemiche generate e di reazioni registratesi, sembrava aver assunto i contorni di ultimo episodio da discriminazione razziale dell’anno. Tutti i maggiori esponenti del mondo del calcio sembravano essersi uniti attorno alla figura del senegalese, condannando in coro qualsivoglia gesto di discriminazione a sfondo razziale all’interno degli stadi, perché lo Sport deve unire, non deve dividere. Eppure, l’ormai ennesimo ed abituale episodio verificatosi ieri sera alla Sardegna Arena a danno del giovane centravanti delle Juventus (italiano dalla nascita) Moise Kean ha denotato una incapacità delle Istituzioni sportive di affrontare e debellare il fenomeno con mezzi adeguati, oltre che una scarsa capacità di analisi del problema da parte di alcuni rappresentanti sportivi.

In tale ultima ottica vanno lette le dichiarazioni del rappresentante del club di casa, il Presidente del Cagliari Giulini, intervistato a seguito della partita e degli episodi razzisti, il quale ha tentato di giustificare a spada tratta il comportamento discriminatorio dei tifosi rossoblù definendolo come una reazione (a quanto pare ritenuta legittima e proporzionata) ad una provocazione rappresentata da una esultanza a braccia aperte. Ebbene, innanzitutto, quella di Kean, in realtà, non è stata altro che una liberazione, una reazione, a dire il vero piuttosto contenuta, a continui attacchi di una piccola parte del pubblico di casa basati esclusivamente sul colore della pelle e protrattisi durante tutto il corso della partita, anche prima della rete dell’attaccante azzurro. Peraltro, a rendere ancor più paradossale la giustificazione del patron del Cagliari è la evidente circostanza secondo la quale, in seguito alla marcatura di Kean, i cori razzisti sono stati diretti anche al compagno di squadra Matuidi.

Analogamente, un criticabile ridimensionamento del problema sottende le dichiarazioni rese nel post-partita da Bonucci, secondo il quale Kean avrebbe dovuto evitare tale celebrazione “sbeffeggiativa” al fine di non provocare i tifosi avversari, come se ciò potesse giustificare un comportamento discriminatorio a danno di un calciatore che ha appena segnato un gol. Ma una semplice esultanza, per quanto provocatoria, non dovrebbe mai legittimare l’utilizzo di espressioni razziste, in quanto in tal modo si finirebbe per oscurare definitivamente qualsiasi funzione sociale connessa al calcio.

Parimenti, sminuire il problema ed attribuire la sua causa al comportamento di poche decine di tifosi dalle cattive abitudini non corrisponde ad una lettura condivisibile della questione, in quanto finché ci sarà un solo soggetto che si sentirà legittimato ad ululare nei confronti di un giocatore di colore per una o l’altra ragione, vorrà dire che un tale comportamento è considerato ammissibile e non grave dall’ambiente e dal clima che lo circonda e che, pertanto, il problema non è stato sconfitto. Che siano 100, 50 o 10, i tifosi che si sentono legittimati ad emettere versi razzisti nei confronti di un giocatore vanno individuati con i mezzi adeguati e va fatto in modo che gli stessi non rientrino allo stadio per un bel po’.

Insomma, il fenomeno esiste ancora, ed è più vivo che mai. E se alla cocciutaggine e alla idiozia di alcuni tifosi si aggiunge la poca comprensione e la tendenza a giustificare di giocatori e rappresentanti dei club, esso diventerà ancor più grande fino ad assumere dimensioni incontenibili. Invero, il ridimensionamento eccessivo del problema, purtroppo, equivale alla sua diretta diffusione. L’intervento normativo sarebbe opportuno al fine di predisporre strumento di contrasto e di prevenzione. Peccato, però, che sin dal giorno successivo alla vicenda Koulibaly, nessuna delle promesse fatte sia stata quantomeno discussa. Nessuna campagna di sensibilizzazione, nessun tavolo della legalità, nessun intervento, eccezion fatta per quegli inutili provvedimenti di chiusura delle curve che rappresentano la sconfitta dello Sport e delle Istituzioni a beneficio di poche teste calde che alla riapertura del settore ritorneranno ad urlare dietro ai calciatori di colore con cori razzisti.

L’immobilismo delle Istituzioni di fronte al fenomeno dei cori razzisti ha ormai raggiunto livelli inaccettabili se si pensa che è almeno un ventennio che il problema ha mostrato ancora di avere radici solide nella nostra società. Tuttavia, devono essere anche i club a fare la loro parte in un processo di sensibilizzazione e di promozione di valori che, per ciò che si è ascoltato ieri, deve necessariamente coinvolgere anche i suoi calciatori ed i suoi rappresentanti. Sarebbe, infatti, un peccato se di fronte ad un tanto atteso ed importante intervento o iniziativa normativa, si constatasse che alcuni club ed i suoi rappresentanti sono ancora fermi su posizioni opposte e minimaliste. Sarebbe come aver fatto un passo avanti e due indietro in una lotta che nel 2019 non dovrebbe nemmeno più combattersi.

Fonte immagine in evidenza: www.tribuna.com

Amedeo Polichetti

Avvocato appassionato di calcio, musica, cinema, politica. Scrivere è un modo per conoscere meglio se stessi.

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