Totale assenza di luce naturale, niente finestre, aria irrespirabile, i 100 mq illuminati solo da qualche lampadina, niente acqua corrente. No, non ci troviamo in un gulag della Siberia staliniana, ma in via Sediari, a Palma Campania, sud di Napoli. In questo comune a metà strada tra il Vesuvio e l’agro nolano, i carabinieri hanno scoperto, in un’angusta cantina adibita a fabbrica, un opificio clandestino gestito da un 37enne cittadino del Bangladesh.

E sempre del Bangladesh erano i 3 operai, nessuno dei quali in regola col permesso di soggiorno, costretti a lavorare in condizioni igieniche quantomeno precarie, sostenendo turni di lavoro massacrante utilizzando macchinari non a norma, quindi potenzialmente pericolosi.

I militari dell’Arma hanno immediatamente posto sotto sequestro l’intera struttura fatiscente. Il 37enne è stato subito denunciato e multato per alcune migliaia di euro. Era lui insomma, almeno formalmente, il titolare di questa fabbrica, che come tante purtroppo in questo territorio, spuntano come fughi in mezzo al nulla.

Bastano una stanza, un appartamento o una cantina, per porre le basi per queste attività che “non esistono”, motrici di un’economia parallela, che nei sondaggi e nelle statistiche non viene presa in considerazione, e che spesso si trova a soppiantare quella ufficiale (definirla reale appare ormai fuori luogo. Basti citare l’esempio di Grumo Nevano, hinterland a nord di Napoli, fino a pochi anni fa polo della manifattura tessile, dove alcuni dei sarti più bravi al mondo creavano i capolavori per le grandi griffe di moda, a volte per industrie in regola, altre volte vittime del lavoro nero. Altre volte ancora poi queste piccole fabbriche sono “in regola a metà”, disponendo per esempio di un organico di dieci persone, di cui cinque lavorano a regola e cinque a nero.

Queste le condizioni per sopravvivere, pagare le tasse, a volte troppe tasse. A trarre vantaggio da questa situazione è ovviamente la camorra, che elargisce prestiti ad usura alle aziende e le obbliga a svolgere lavori mastodontici in un lasso di tempo risibile, obbligando i datori di lavoro all’acquisto di determinati tessuti forniti dal Sistema (è così che ormai si chiama, camorra è un termine quasi obsoleto) e a sottopagare i dipendenti, data la pochezza di risorse. Altre volte è la camorra a gestire direttamente la fabbrica, impartendo un regime di caporalato. E proprio questo sembra essere il caso di Palma Campania dove, dietro al caporale prestanome del Bangladesh, sembra stendersi tristemente la fredda mano della malavita. (Un’altra piaga poi è proprio quella dello sfruttamento degli immigrati da parte della malavita stessa e dei datori di lavoro in generale.)

Il comune di Palma Campania conta 1500 stranieri regolari, di cui 900 del Bangladesh, ma sono purtroppo incalcolabili gli immigrati clandestini, uomini fantasma, persone che per la legge non esistono. Persone colte nella loro disperazione e costrette a turni di lavoro massacranti per pochi spiccioli e ad abitare case fatiscenti pagando affitti esorbitanti, per dividere poi magari l’appartamento con altri 8-9 uomini.

Scene di stomachevole schiavismo si ripetono ogni mattina all’alba presso le rotonde della vergogna, Secondigliano, Afragola, Casavatore, Caivano e chissà in quanti altri posti, dove folle di disperati vanno ad ammassarsi per essere reclutati, mattina dopo mattina, dallo sfruttatore di turno, per lavorare nei campi o come manovali, per 15-20 euro al giorno. In una società dove,  stucchevoli propagande politiche xenofobe mietono sempre più consensi, lasciando passare lo straniero per colui che è “cattivo, e ruba il lavoro agli Italiani“,  appare indispensabile ed urgente fare, ora più che mai, un onesto esame di coscienza.

Domenico Vitale

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