Dalla Leopolda Renzi risponde all’oceanica folla di Piazza San Giovanni, al termine della prima giornata della kermesse fiorentina che palesa tutte le differenze tra il premier e l’ala minoritaria e più “a sinistra” del suo partito.

Da un lato la folla, il rumore, l’agitazione, una massa eterogenea e multicolore di manifestanti che raccolgono l’appello lanciato dalla segretaria della CGIL Susanna Camusso di organizzare una contro-Leopolda a Roma e che manifestano l’opposizione alla riforma del lavoro, dall’altro l’organizzazione, i tavoli tematici, i renziani, Pif, Fabio Volo e l’aria un po’ radical chic che contraddistingue la manifestazione fiorentina del premier, giunta alla sua quinta edizione. Il tema comune tra Roma e Firenze è sempre lo stesso, il lavoro: in un’atmosfera di voluto (e forzato) disinteresse per la manifestazione organizzata dalla CIGL, Renzi prende la parola poche volte, quanto basta per prendere atto di Piazza San Giovanni e dire che le manifestazioni non fermeranno il governo e che, anzi, continuerà per la sua strada. Perché il premier è convinto di ciò che fa, e lo esprime con una stoccata alla contro-Leopolda della Camusso: “qui c’è l’Italia che non si arrende e si rimette in moto, crea posti di lavoro”, supportato dalle testimonianze di successo di quindici imprenditori tra cui Farinetti, Guerra, Bertelli e Cucinelli. Renzi continua ponendo l’accento sull’importanza della lotta all’evasione ed alla corruzione, che impediscono agli investitori di fare impresa ed all’Italia di attirare investimenti esteri, ed annunciando di non voler essere incaricato per più di due mandati, segnando la fine della sua esperienza da premier “al massimo entro il 2023”.

A Roma il cuore della discussione è il Jobs Act, praticamente mai citato a Firenze: davanti a una folla stimata dagli organizzatori in un milione tra studenti, pensionati, disoccupati, precari e cassintegrati la Camusso annuncia la volontà di proclamare lo sciopero generale in opposizione alla riforma del lavoro, suscitando risposte poco preoccupate dal governo che – parola di Renzi – andrà avanti con la sua riforma senza farsi fermare dalle polemiche sull’articolo 18. La differenza tra la Leopolda e Piazza San Giovanni è tutta qui: a Firenze ci sono imprenditori, politici, dichiarazioni di intenti e sogni di ripresa, la vicinanza tra il premier ed il ceto medio-alto è ideologica prima che fisica; mentre a Roma c’è la realtà dura e cruda dell’Italia che fatica ad andare avanti e che vede nel Jobs Act un’ulteriore repressione di quei diritti conquistati con fatica e non una possibilità di far ripartire la crescita. C’è un mondo di rappresentanza sindacale, di lotta per i propri diritti, di lavoro precario e sottopagato che rappresenta sempre di più l’Italia contemporanea ma non trova spazio nel microcosmo della Leopolda, al massimo è confinato a protestare fuori ai cancelli dell’ex stazione, come ha fatto una delegazione di Meridiana insieme a degli operai delle acciaierie Ast di Terni. I 230 kilometri che separano Roma e Firenze rappresentano bene anche la distanza tra l’ala renziana del PD e quella minoritaria, in forte contrasto col governo, presente con Cuperlo, Civati e Fassina alla manifestazione capitolina.

C’è spazio anche per un piccolo incidente diplomatico nel rapporto già teso tra il premier e i sindacati: a Firenze Davide Serra, dopo aver dichiarato di aver fatto richiesta della tessera del PD (a Londra, dove ha sede la sua Algebris Investment) e di essere disponibile a finanziare il PD di Renzi e della Leopolda, rilascia agli intervistatori una proposta-shock: “limitare il diritto di sciopero dei dipendenti pubblici sarebbe giusto”. Subito Delrio corregge il tiro e smentisce le intenzioni di Serra, perché in un momento così delicato per i diritti dei lavoratori una gaffe del genere non si può lasciar correre col rischio di creare ulteriori tensioni con i sindacati.

Simone Esposito

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