“Ancora troppo poco” è la prima sensazione che viene in mente riguardo l’approvazione alla Camera della nuova legge sulla cannabis terapeutica.

Poco per una serie di motivi abbastanza lunga che vertono però sul fatto che il paese non riesce a slegarsi da retrovie culturali che ancora oggi continuano ad accomunare la cannabis a qualsiasi droga.

Il risultato della votazione è abbastanza evidente: 317 voti favorevoli, 40 contrari e 13 astenuti. Ciononostante la proposta risulta essere abbastanza debole come già accennato.

Va tuttavia riconosciuto che la nuova legge sulla cannabis terapeutica qualche novità importante la propone soprattutto nell’accomunare il trattamento ad altri farmaci.

I medici, infatti, potranno d’ora in poi prescrivere il trattamento a base di cannabis per terapia del dolore ed altri usi (sempre tra quelli autorizzati dal Ministero) e il farmaco sarà a carico del SSN per una durata massima della cura di tre mesi.

Anche per ciò che riguarda sperimentazione e ricerca c’è qualche passo avanti soprattutto per il fatto che la legge prevederà per medici e sanitari campagne di aggiornamento e informazione sull’uso della cannabis in medicina.

Ma i tasti dolenti appaiono altri, legati inscindibilmente a un sottobosco di diffidenza che finirà per limitare la cosa.

Le regioni avranno il compito di monitorare i pazienti che fanno uso dei trattamenti a base di cannabis (registrando dati personali e quant’altro) e di individuare le quantità di farmaco necessarie anno per anno.

La criticità principale della legge è che è mancato il coraggio di fare di più, di compiere quel passetto che avrebbe portato la cannabis terapeutica ad essere sia necessità (per i malati) che opportunità.

La produzione sarà appannaggio esclusivo dello Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze con l’opzione “altri Enti se necessario” che tradotto significa che per il momento nessun altro potrà produrre cannabis terapeutica.

Tralasciando debitamente quelli che in aula hanno gridato che si tratta del “primo passo per liberalizzare lo spinello” torna in auge la domanda quasi amletica alla quale nessuno pare voler veramente rispondere: ha senso continuare a distinguere tra cannabis terapeutica e non?

Evidentemente no perché farlo ci ha mantenuto molto indietro culturalmente con l’unico effetto di lasciare quasi tutto nelle mani della malavita.

Perché legalizzare la cannabis non significa guardare al malato terminale che necessità di cure per il dolore tralasciando il quindicenne che non sarà più etichettato a vita per una denuncia rimediata fumando uno spinello (termine ormai obsoleto, ma che piace tanto ai moralisti della nostra era).

Significa piuttosto aprire ad un altro tipo di società che sappia assumersi finalmente delle responsabilità vere, che tuteli in modo serio e coerente e che, finalmente, riesce ad uscire da quel limbo indotto dall’ancora onnipresente “questione morale”.

Mauro Presciutti

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