Dal 2 al 22 ottobre, BASE Milano ha proposto, nell’omonima città, la mostra dal titolo “68 – Un grande numero. Segni immagini e parole del 1968 a Milano”. Vengono qui rievocate, lungo i corridoi del grande salone dove è stata allestita la mostra, pagine della storia mondiale che ha visto come protagonisti i giovani del tempo, impegnati nella lotta per valori ancora oggi spesso dimenticati.

Una mostra, questa di BASE Milano, che permette allo spettatore di immergersi negli scenari di rivolta di quegli anni grazie alla varietà delle fonti presentate: si spazia infatti da fotografie (scattate da personalità come Uliano Lucas, Walter Barbero, Norbert Chautard), a video, descrizioni, citazioni di canzoni in voga in quegli anni, brevi pensieri di alcuni studenti della scuola Iuav di Venezia, libri e giornali che ben documentavano il pesante clima del tempo. Non da dimenticare infine i numerosi Workshop svoltisi all’interno della mostra per tutto il suo periodo di attività.

BASE MILANO 68

Di seguito l’intervista all’organizzatrice della mostra, Marina Mussapi, che insieme a un’ampia squadra di giovani e meno giovani, ha contribuito a far rivivere il ricordo del ’68 a 50 anni dalla sua ricorrenza.

Che cosa è BASE Milano?
«Nato nel 2016 negli spazi industriali dell’ex Ansaldo, BASE Milano è un progetto per la cultura gestito da un’impresa non profit con l’obiettivo di promuovere l’innovazione nelle industrie creative e incentivare la contaminazione tra arti, linguaggi e pubblici. BASE si traduce oggi in 12.000 metri quadri di sale per spettacoli e conferenze, bar con cucina, spazi di lavoro, incubatore, laboratori, residenza d’artista e foresterie, con un calendario fitto di esposizioni, spettacoli, incontri e scambi. Al centro di uno dei più grandi progetti di rigenerazione urbana in Europa, BASE è uno spazio in continua evoluzione. Il nome definisce anche la sua missione: l’inizio di qualcosa di nuovo, il supporto che fa stare in piedi un oggetto e lo rende solido, ma anche il luogo di partenza per viaggi ed esplorazioni.»

Qual è lo scopo della mostra e a quale pubblico è indirizzata principalmente ?
«L’obiettivo della mostra è quello di andare oltre i pregiudizi positivi o negativi stratificati in questi cinquant’anni sul Sessantotto. Un racconto storico e non una tesi celebrativa o denigratoria, con l’intento di offrire nuovi spunti di riflessione sul 1968 a MilanoLa chiave di lettura è legata alle forme di comunicazione e ai linguaggi espressivi che venivano utilizzati dai movimenti per rappresentarsi, scuotere l’opinione pubblica e affermarsi nella scena mediatica. È stato fatto un lavoro importante di ricerca e reinterpretazione dei materiali d’archivio per costruire una narrazione che si snoda attraverso tutte le forme di comunicazione dirette, immediate, fondamentali per organizzare le manifestazioni, fino a modalità più strutturate che diedero voce alla protesta di quel periodo. Si parte quindi dalla velocità ed essenzialità del segno per concentrarsi sui contenuti, per arrivare progressivamente a dare sempre più spazio all’immagine e ai colori, recependo stimoli e influenze dall’underground e dalla controcultura.

Avendo diversi livelli di lettura e di interpretazione, la mostra è rivolta a una pluralità di pubblici, anche se l’obiettivo era quello di riuscire a coinvolgere e parlare soprattutto alle nuove generazioni che poco sanno di questo particolare momento storico che ha avuto però profonde ripercussioni sul mondo come lo conoscono oggi. Per questo motivo intorno alla mostra è stato organizzato un articolato palinsesto di attività, laboratori e visite guidate rivolti alle scuole, affiancato a un programma di formazione per docenti, seminari per ricercatori e storici, workshop creativi per illustratori, fotografi e professionisti incentrati sulla comunicazione visiva ispirata al 1968 e sul fotogiornalismo nei movimenti di protesta, insieme a una serie di incontri pubblici che hanno animato le tre settimane di esposizione.»

Quale squadra ha lavorato per realizzare la mostra e da quali ideali è animata?
«Uno degli aspetti più interessanti della mostra è stato proprio l’inedito dialogo e la contaminazione dei diversi soggetti che hanno dato vita al progetto: Fondazione ISEC, con il suo straordinario patrimonio storico; BASE Milano, progetto deputato alla riflessione interdisciplinare, allo scambio culturale e all’innovazione; l’Università Iuav di Venezia, con il corso di laurea in Disegno industriale e multimedia e il corso magistrale in Design del prodotto e della comunicazione visiva, forte dello sguardo dei suoi giovani studenti, accompagnati in questo percorso da Paola Fortuna. L’intento è stato quello di provare a rileggere quegli anni attraverso lo sguardo di ventenni di oggi immersi in un universo visivo che trova nelle immagini, fisse e in movimento, più che nella parola, i propri codici espressivi.»

Ritiene che le condizioni lavorative dei giovani siano migliorate o peggiorate negli ultimi anni?
«Il mondo del lavoro è mutato profondamente negli ultimi anni. Sono nate nuove professioni, si sono trasformate le aspettative. È un discorso molto complesso perché la riflessione sul lavoro è inevitabilmente legata a quella sullo stile di vita e credo che la mia generazione stia mettendo molto in discussione i modelli e i sistemi in cui è cresciuta. Più in generale è aumentata la percezione delle infinite possibilità a disposizione, ma allo stesso tempo lo scenario è quello di un mondo sempre più volatile e precario. Percepisco una tendenza strutturale degli stessi giovani a valorizzare poco il proprio lavoro dato il contesto di “crisi” che chiede di rivedere al ribasso le proprie aspettative. Il mio punto di vista forse è molto parziale perché mi ritengo una persona privilegiata avendo avuto la possibilità di fare quello che voglio, nonostante le difficoltà. Il mondo delle industrie culturali e creative ha anche un lato oscuro fatto di precarietà, svalutazione delle professioni, condizioni contrattuali impensabili, scomparsa della distinzione tra sfera privata e lavorativa, tutti elementi che rappresentano l’altra faccia della medaglia di un settore che offre molti stimoli e gratificazioni.»

BASE Milano 68

Ritiene che i giovani di oggi siano ben rappresentati dai responsabili del Governo? Se no, come possono fare per far sentire la loro voce?
«La politica da tanti anni ha completamente trascurato i giovani. Basta guardare a qualche dato: gli under 35 di oggi hanno un reddito inferiore del 26% rispetto ai loro coetanei di 25 anni fa. L’Italia è ultima tra i Paesi OCSE per spesa pubblica in materia d’istruzione. Solo il 18% degli italiani è laureato, meno della metà della media OCSE, mentre solo il 64% dei giovani laureati tra i 25 e i 34 anni ha un lavoro, contro l’83 percento della media dei paesi industrializzati. L’Italia ha dunque un sistema universitario che non è attrattivo per i giovani e che non prepara adeguatamente alle sfide del mercato del lavoro.

Se guardiamo invece alle riforme del lavoro, non sono state prese misure strutturali per far fronte a una disoccupazione giovanile che è il doppio della media europea, né adottati strumenti che hanno recepito i cambiamenti del mercato del lavoro come per esempio la tutela di lavoratori autonomi under 35 (che in Italia rappresentano il 46% delle nuove aperture di partita Iva ogni anno).Questa non è la fotografia di un Paese che gestisce le proprie risorse pensando al futuro e investendo su di esso.

Perché mancano politiche per i giovani? Forse perché i giovani non le richiedono con forza. Purtroppo, le giovani generazioni non fanno sentire la propria voce, non si organizzano, non partecipano. La politica soddisfa le categorie sociali che le garantiscono voti, e i giovani non votano, ragion per cui la leva politica che riescono a esercitare è pressoché nulla. Manca, tra i giovani, la percezione di sé stessi come una categoria sociale coesa e portatrice di interessi omogenei. È fondamentale prendere coscienza e potenziare la domanda politica di riforme a favore dei giovani.

L’unica soluzione che si prospetta è quindi una mobilitazione con l’intento di ristabilire un nuovo patto intergenerazionale, che preveda la distribuzione giusta delle risorse tra passato e futuro e che garantisca un investimento sui giovani, dando a questi gli strumenti per costruirsi un futuro migliore di quello riservato ai nostri nonni e genitori.»

 

Cristina Barbero

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