Maradona

Si yo fuera maradona, vivirÍa como Él

Come fai a tessere le parole per descrivere una perdita così grande? Ci ho pensato per tutta la notte, quasi fosse scomparsa una persona cara a me, quasi come se avessi perso qualcosa di vicino e non potessi più ritrovarla qualunque fosse lo sforzo. Io sono un figlio degli anni ’90, non ho avuto la fortuna di vederlo ogni settimana, e per forza di cose non posso sapere cosa significasse vedere quel tango ballato sui malmessi campi di Serie A, eppure da piccolo sapevo rispondere perfettamente alla domanda “Chi è il calciatore più forte di sempre?”, facendo brillare gli occhi di mio padre con l’unico nome che lui avesse voluto sentire: Diego Armando Maradona. Eppure un ragazzino di 6/7 anni nati negli anni ’90 non può aver vissuto i suoi anni a Napoli, non lo ha visto portare una squadra, che prima di lui era una mera comparsa nello straordinario Campionato Italiano, nell’Olimpo degli dei dal quale lui proveniva. Ma allora perché piango come gli altri?

Le parole di un certo Edson Arantes do Nascimiento, in arte Pelé, sono state forse le più significative sotto molti punti di vista. Un giocatore leggendario, da sempre contrapposto a Maradona sia per nascita che per caratura calcistica, che nel salutare il suo “rivale” naturale gli dice che un giorno giocheranno insieme in cielo, quasi fosse il sogno di un bambino, di un calciatore che nonostante l’età desidera giocare con colui che 10 anni dopo gli avrebbe rubato la scena nell’immaginario collettivo per il titolo di “Miglior calciatore di sempre”. Basterebbe la frase del numero 10 brasiliano per capire cosa ha rappresentato Maradona per i calciatori, e per chiunque abbia calcato un campo di gioco con quel numero leggendario disegnato sulle proprie spalle, sognando ovviamente invano di imitare le gesta dell’argentino. Ma i messaggi arrivati da tutto il mondo ci parlano di un vuoto incolmabile per chi gioca a questo sport, e non solo. Ci raccontano di un eroe che ha reso questo sport magico agli occhi di chiunque, e in ogni parte del mondo. Di una persona umile che era pronto a giocare un match di beneficenza ad Acerra per un bambino malato, anche contro il volere della società, che ha sempre speso una parola buona per i suoi colleghi più i giovani, e sono proprio le loro parole a doverci far capire cosa ha rappresentato per noi.

Maradona e Pelé
fonte immagine: outlookindia.com

Potremmo stare qui per ore a ripercorrere i gol e le magie di Maradona, dalla doppietta all’Inghilterra del Mondiale 1986 al gol contro il Verona al di fuori di ogni logica, passando per la punizione contro la Juventus, e ne dimenticheremmo sicuramente qualcuna di questa carriera vissuta dispensando gioia a chiunque ami questo sport. Preferisco ricordare un Napoli Fiorentina giocatosi il 17 settembre del 1989, con Maradona nuovamente a disposizione degli azzurri alla quinta giornata e pronti al sorpasso dei bianconeri in vetta alla classifica. Un altro numero 10 straordinario di nome Roberto Baggio non era però d’accordo con la passerella per l’argentino, e con la sua doppietta manda gli azzurri sotto di due reti all’intervallo. Maradona entrò nel secondo tempo e sbaglio anche un rigore, raggelando il pubblico del San Paolo, ma quello che raccontava la sua gestualità era di rimanere calmi perché tanto quella partita l’avrebbero vinta e fu esattamente così che andò, perché lui non era uomo che non manteneva le promesse. Era leader spirituale della squadra e dell’intera città, come quando danzando sulle note di Live is Life nella gelida Monaco sembrò sciogliere anche i compagni di squadra, facendogli capire che loro quel match contro il Bayern lo avrebbero vinto e quella Coppa Uefa l’avrebbero portata a casa poi in finale, perché così doveva andare, perché lui aveva deciso che sarebbe andata così.

Non ho ancora risposto alla domanda, e mi scuso perché probabilmente la risposta razionale non c’è e non ci sarà mai. Perché oltre ad essere un ragazzo degli anni ’90 sono anche un figlio di Napoli, e nascere in questa città vuol dire ricordarsi il nome di Maradona ancor prima di quello dei tuoi familiari, anche per coloro ai quali il calcio non fa alcun effetto (e poveri loro, aggiungerei). E per questa città Maradona ha rappresentato un riscatto sociale, per un popolo che si sentiva per certi versi al di sotto delle altre regioni d’Italia, che ha visto un suo figlio ritornare a casa e fare da guida verso un traguardo mai raggiunto e mai più sfiorato, e mi perdonino gli argentini che mai leggeranno queste parole, ma Maradona non era veramente argentino. Era Napoletano, più di molti altri. Era il nostro orgoglio, il nostro capopopolo, il simbolo con il quale ci si identificava per capire che nella vita, anche se nasci nell’angolo più povero e squallido della terra, puoi sognare di giocare e vincere il Mondiale, perché lui c’era riuscito prima di noi e ci aveva dato l’esempio. E non c’è un motivo logico per il quale pensiamo questo: è così e basta, è viscerale come l’innamoramento, e non puoi cancellare un sentimento così nemmeno se lo vuoi.

La prima volta di Maradona al San Paolo, 1984
fonte immagine: areanapoli.it

Oggi piange l’Argentina, piange Napoli, piangono tutti coloro che hanno giocato a calcio e lo amano ben oltre le bandiere e i colori, e piange anche chi non ci ha mai giocato. Perché Maradona è di tutto il mondo, è di tutti noi. È di chi crede che ci sia la magia nel mondo e sogna di poterla sentire dentro di sé, di chi crede che esistano i simboli nel mondo e vuole seguirli anche oltre la razionalità, di chi è convinto che ci sia qualcuno di superiore a dettare le regole del gioco ed è certo di averlo visto giocare con la maglia del Napoli e il 10 sulle spalle. Oggi non è il giorno per parlare degli errori, perché non ci interessano, perché abbiamo sempre perdonato nostro figlio e lo faremo per sempre. Oggi è il giorno in cui sentiamo un vuoto, non importa se lo hai vissuto o meno. Ed è vero che le leggende non muoiono mai, e Maradona resterà leggenda per tutta la vita, ma quella parte di magia dentro di noi identificata con un ragazzo povero di Villa Fiorito dai capelli ricci che sognava un mondiale, quella è morta dentro di noi e colmare un vuoto così è impossibile.

Andrea Esposito

fonte immagine in evidenza: calcionapoli1926.it

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