Per indicare le posizioni estremiste di quella che, in gergo giornalistico, viene chiamata ultradestra, si fa generalmente riferimento ad un’interpretazione radicale delle ideologie tipiche della destra classica, come – in questo caso soprattutto – il nazionalismo.

In Austria il partito che più di tutti risponde a tale descrizione è il Freiheitliche Partei Österreichs (FPÖ, in italiano Partito delle Libertà) di Norbert Hofer, che ha stravinto il primo turno delle elezioni presidenziali di domenica scorsa, con una percentuale di preferenze del 35,5 %.

Prima di proseguire, è necessario premettere che l’Austria è una repubblica semipresidenziale, in cui il presidente federale è eletto direttamente dai cittadini con la maggioranza assoluta dei suffragi, per sei anni e un massimo di due mandati.

Il ruolo politico che sino alla settimana scorsa è appartenuto a Heinz Fischer, socialdemocratico di sinistra, pur avendo un valore prevalentemente protocollare, possiede un forte significato rappresentativo dell’unità nazionale, e mai come quest’anno la scelta è dipesa dalle posizioni dei candidati sui principali temi di attualità, tra cui l’immigrazione.

In questo senso, le recenti minacce del ministro della Difesa Doskozil sulla possibile chiusura delle frontiere con l’Italia hanno rappresentato un campanello d’allarme da non sottovalutare, e che oggi assume una nuova accezione.

È il caso di dire infatti che, stando così le cose, i confini austriaci non sono mai stati più serrati, viste le prese di posizioni dell’ultradestra, che tuttavia, va precisato, non è ancora arrivata al potere, poiché – pur con una netta maggioranza – il Partito delle Libertà dovrà sfidare i verdi di Alexander van der Bellen nel ballottaggio del 22 maggio prossimo.

Di certo c’è che sia i socialdemocratici che i popolari sono rimasti fuori dalla contesa, che gli austriaci si sono espressi, questa volta in maniera piuttosto netta ed inequivocabile, sul futuro politico del Paese, e che quella che fino a ieri poteva essere definita soltanto un’esternazione infelice del ministro della Difesa, adesso può essere considerata come l’espressione di una frangia maggioritaria della popolazione austriaca, come tale non più trascurabile dall’Europa unita.
E dire che l’attuale governo austriaco, retto dal socialista Werner Faymann, aveva già inasprito la politica sull’immigrazione, respingendo energicamente l’idea dell’accoglienza illimitata.

Adesso si attende il secondo turno, tenendo presente che qualora il risultato del fine settimana si dovesse confermare, si avrà, per la prima volta nella storia contemporanea dell’Austria, un presidente non appoggiato da nessuno dei partiti che hanno dominato la scena politica negli ultimi settant’anni.

È possibile osservare – pur non condividendo alcuna posizione dell’ultradestra estremista – che i supremi valori democratici, informatori dell’idea stessa di Europa unita, pretendono oggi il loro tributo, che in altre parole significa che se i popoli degli Stati UE continueranno ad esprimersi in senso così univoco, verrà presto il giorno in cui l’Unione Europea dovrà decidere se applicare determinati principi su scala continentale o permettere che ogni Stato prenda definitivamente la propria strada.

Carlo Rombolà

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