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La maledizione di essere Lionel Messi

“Sono quattro finali che ci tocca perdere, tre di seguito. È un peccato ma è così. Per me l’esperienza con la Seleccion termina qui. Penso che sia meglio per tutti, per me e per molte persone che lo vogliono. La decisione è presa”.

Questa volta non è uscito a testa bassa, non ha lasciato il campo portando il rammarico negli spogliatoi, dopo un torneo giocato al di sotto delle sue possibilità. Questa volta ha pianto, ed anche tanto, perché covava in sé la più grande delle paure: quella di fallire ancora una volta. 

E Messi ha fallito una volta ancora, il più grande giocatore che ci sia in circolazione ha deluso il suo popolo, nel momento in cui aveva più bisogno di lui. Perché è questo che il mondo ricorderà di Lionel Messi, di quelle tre finali di seguito nelle quali ha potuto sfiorare con un dito la grandezza per poi cadere nel baratro più profondo. Il ricordo di quel giocatore straordinario con la maglia del Barcellona sarà inevitabilmente offuscato da quel maledetto rigore spedito sopra la traversa. Quel paragone con Diego sempre presente, l’essere costretti a vincere a tutti i costi, la pressione di un popolo verso quel successo che manca ormai da troppo tempo. Lionel Messi è crollato nel momento più importante, dopo aver dispensato gioco per 120 minuti e prima ancora in un torneo giocato oltre i limiti umani, dopo essere diventato il miglior cannoniere della storia dell’Argentina. Poco importa dell’errore di Biglia nel momento più importante, della follia di Rojo ed il cartellino rosso forse troppo severo dell’arbitro, dell’errore di Higuain a tu per tu con Bravo. Poco importa se hai trascinato la tua nazione alla terza finale in tre anni. Il ricordo va a quegli undici metri in cui Messi ha fallito, e come per Baggio, sarà lì che andrà il pensiero del mondo. La Pulga non è quella che vince e fa vincere il Barcellona ogni anno, non è il giocatore capace di racimolare trofei su trofei: Lionel Messi è quello che in Nazionale non vince.

La testa si abbassa solo dopo l’errore, Messi guarda i rigori e con le lacrime agli occhi vede trionfare di nuovo il Cile. Sa che avrebbe potuto dare di più ancora una volta, ma la maglia albiceleste è maledetta e nemmeno quella barba scaramantica riesce a spezzare le maledizioni. Va verso la stampa ed annuncia il suo ritiro dalla Nazionale a 29 anni. L’Argentina perde il suo capitano ed il leader della sua squadra. Perde un giocatore irripetibile, che non può essere cancellato nemmeno da questi tre anni di nazionale.

Lionel Messi lascia perché non ce la fa più a veder fallire la sua nazione, lascia consapevole che forse una squadra libera dalla sua grandezza potrebbe riuscire dove lui, che è probabilmente il giocatore più vincente di ogni epoca, non è riuscito. Messi rimane Messi, qualunque sia il modo in cui il mondo voglia vederlo, ma questa volta è stata la sua maledizione a vincere.

Andrea Esposito

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