Black Mirror stagione 5

Tutti si lamentano di Black Mirror stagione 5.
Quando raggiungi una certa popolarità è inevitabile. La serie di Charlie Brooker, d’altronde, è forse stata la prima serie dall’estetica pop in grado di porsi in maniera antologica e ossessiva certi interrogativi, costringendo lo spettatore a riflessioni sul presente e sul futuro tecnologico e informatico, spesso lasciandolo interdetto davanti allo schermo.
Il mondo che si andrà a vivere, secondo Black Mirror, ha l’aspetto e e le viscere di un medioevo informatico, un’età oscura che rimodula l’umano, i suoi significati e il suo spirito, rendendoli black come gli schermi dei nostri smartphone.
Non è stato, di certo, il primo prodotto a trattare certe tematiche suggestive e angoscianti, ma il primo a comunicarlo con una certa consapevolezza, con un linguaggio accessibile e in pillole – cosa molto utile per un pubblico generalista e sempre meno avvezzo ai polpettoni futuristico-esistenziali di tre ore.

Ma cos’è che non va in Black Mirror stagione 5?

Niente, o meglio, niente di così grave, salvo un fisiologico rilascio dovuto al successo e al clamore attorno al prodotto.
A questo proposito analizziamo meglio le tre puntate che compongono la quinta stagione.

Black Mirror stagione 5

Episodio 1: Striking Vipers

Nella prima puntata intitolata Striking Vipers, si da ampio spazio al contesto ambientale e temporale, miscelando in maniera intelligente svariate tematiche, quali eros, tradimento, pornografia, fluidità sessuale, il tutto attraverso l’impalcaltura fornita dalle tecnologie virtuali (un topos ormai sviscerato in ogni maniera in Black Mirror, ma le suggestioni nel fantascientifico sono state cavate tutte per questo periodo).
La puntata ha il grande merito di sottolineare con grande lucidità come le nuove tecnologie determinino uno spostamento nell’asse esperienzale umano, erodendo pilastri morali, a volte sessuali, che diamo ingenuamente per assodati. Le pecca di questo episodio è la scrittura non così avvincente che lascia di tanto in tanto buttare un occhio al cellulare (ops..).
L’interrogativo di fondo, brillante, però, rimane: dato lo sviluppo e la pervasività delle tecnologie, soprattutto quella a realtà aumentata (Oculus, VR..) fra poco avrà ancora senso parlare di reale e di virtuale come dimensioni separate e distanti? Insomma, se un giorno si sarà in grado di vivere nel virtuale, di immergersi così tanto in quest’ultimo, provando le stesse sensazioni, mantenendo gli stessi stati di coscienza e non degradando il corpo, il virtuale sarà ancora propriamente un “virtuale”? O sarà più logico parlare di una realtà estesa, unica, senza distinzione tra quella originaria e quella percepita dal nostro cervello e dai nostri sensi, frutto di ambienti programmati ma totalmente autonomi e esperibili a trecentossesanta gradi una volta avviata l’app/gioco/interfaccia.

Black Mirror stagione 5

Episodio 2: Smithereens

Passiamo alla sconda puntata di Black Mirror 5, Smithereens, che pone un altro interrogativo molto affascinante, arrivando a toccare il concetto di Dio, in questo caso carnificato nel volto e nella mente di Billy Bauer, un alter ego di Zuckerberg. D’altronde Zuckerberg e quelli come lui cosa sono? Con le loro invenzioni hanno deciso, seppur involontariamente, un’enormità di destini, ricalcando l’idea più verosimile e artchetipica che possiamo avere di Dio.
Curioso che il Dio informatico di Smithereens assomigli a un profeta di nostra conoscenza.
In ogni caso questo episodio più che indurre interrogativi è una presa di coscienza sulla potenza delle idee, sulla responsabilità che derivano dalle stesse e come, queste, possano cambiare la storia, e con sè, trascinare la vita di tante persone, determinandone gioie, dolori, destini.
L’idea, qualunque essa sia, all’inizio ha l’aspetto dell’innocenza, ma che si trasforma in un leviatano, oppure un enorme deus ex indifferente e implacabile, quando passa nelle mani degli altri. L’idea può essere una teoria nata fra le cattedre accademiche che diventa una bomba atomica, pensateci.
Un’atmosfera d’indifferente rassegnazione si abbatte sul finale dell’episodio, che porta nel dibattito alcuni dilemmi universali, di genere umano, di società, attraverso la storia e la disperazione di un singolo, da sempre in balia di questi fenomeni incomprensibili.

Black Mirror stagione 5

Episodio 3: Rachel, Jack and Ashley Too

Sul terzo episodio Rachel, Jack and Ashley Too che vede protagonista Miley Cyrus c’è da fare un discorso a parte. Una roba da filmetto tv da vedere in estate che suscista anche una certa simpatia. Ci ha delusi? Ci ha delusi. Perché Black Mirror ci ha mostrato di saper giocare macabramente e con un certo sadismo sulle nostre certezze, sulla nostra precaria serenità, alcune volte distinguendosi per la sensibilità e la consapevolezza sul futuro che andremo a vivere. Ora, invece, questa sua attività ludica sembra essersi scostata, o meglio, impantantata, nel presente, ma non nel contenuto (come fatto abilmente a tratti per le prime quattro stagioni) bensì nella forma: un vizio narcisistico che porta a specchiarsi nella versatilità narrativa di fiction e di linguaggio del prodotto. Da un po’, infatti, la serie preoccupa più di esplorare generi diversi, abbracciale stili e registri quanto più variegati, col fine di garantire un’offerta quanto più corposa al suo ampio pubblico.
“Accontentare un po’ tutti per non scontentare nessuno” sembra la filosofia di Black Mirror stagione 5 (ma anche della quarta stagione…) che, nonostante ciò, mantiene le sue peculiarità, le sue tematiche forti e la sua ragion d’esistere. Salvo, appunto, quest’ultima dimenticabile puntata.

Black Mirror stagione 5

La paura però è legittima, e potrà essere un serio elemento di dibattito nelle stagioni a venire: siamo sicuri che seguendo questa strada, prima o poi, Black Mirror non smarrisca la sua stella polare che, a dispetto del nome, rimane una delle più luminose e coraggiose di tutto il panorama intrattenitivo?

Enrico Ciccarelli

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