1945, agli sgoccioli della seconda guerra mondiale, l’umanità assiste al compimento delle più grandi stragi di cui la storia vanti il ricordo: l’idea dell’ “arma di distruzione di massa” si traspone a concretezza, il 6 e il 9 agosto di quell’anno, con gli attentati ad Hiroshima e Nagasaki, il cui numero di vittime dirette è stimato fra i 100 000 e i 200 000, quasi esclusivamente civili.

Little Boy” e Fat Man sono le bombe atomiche che l’aeronautica militare statunitense ha sganciato sulle due città giapponesi e che appartengono al novero delle armi nucleari e sono basate su reazioni di fissione nucleare.
In una fissione nucleare, il nucleo di un elemento chimico pesante, decade in frammenti di minori dimensioni, e cioè viene “spezzato”, spontaneamente o tramite bombardamento di neutroni, in nuclei di atomi con numero atomico più piccolo.
La somma delle masse dei frammenti ottenuti è inferiore alla massa del nucleo di partenza, e la massa mancante viene trasformata in energia secondo l’equazione: E=mc2


Un gruppo di scienziati europei rifugiatisi in America (Enrico Fermi, Edward Teller, Eugene Wigner e Leo Szilard) intraprese, a partire dal 1938, ricerche sulle possibili applicazioni militari del principio di equivalenza massa-energia proposto da Einstein, e oggetto degli studi furono l’isotopo 235 dell’uranio e 239 del plutonio.
Questi materiali hanno la capacità di innescare una reazione a catena secondo la quale la scissione di un nucleo produce, come effetto, la scissione di nuclei di atomi vicini, e alcuni dei frammenti formatisi, quali cesio-137, stronzio-90 e iodio-131, possono essere estremamente pericolosi per la salute umana e per l’ambiente, a causa della facilità con la quale si accumulano nei tessuti.

Albert Einstein, nell’agosto del 1939, indirizzò una lettera al presidente Roosevelt, nella quale lo informava della possibilità di costruire una bomba basata sulla fissione nucleare e del fatto che ci fosse la probabilità ipotetica che i tedeschi avessero disposto ricerche in materia.
Con l’ingresso in guerra degli Stati Uniti, nel 1941, fu avviato il programma nucleare che prese il nome di Progetto Manhattan, a capo del quale furono posti il generale Leslie Richard Groves e lo scienziato Julius Robert Oppenheimer, e il cui centro segreto di ricerca fu installato a Los Alamos, in New Mexico.
La decisione dell’impiego della bomba atomica spettò ad Harry Truman, succeduto a Roosevelt nel 1945.
Il nuovo presidente formò un comitato di assistenza che gli suggerì di sganciare l’arma progettata su una città giapponese per colpire installazioni militari.
Nel luglio di quell’anno gli uomini coinvolti nel Progetto Manhattan sperimentarono nel deserto del New Mexico la prima bomba atomica della storia, e poche settimane più tardi gli sviluppi della ricerca scientifica sono stati causa di una delle più grandi tragedie mai perpetrate ai danni dell’umanità.
Nasce allora la questione circa la responsabilità degli scienziati e il ruolo che essi hanno avuto negli attentati del 6 e 9 agosto 1945.
L’ideazione, gli studi e la costruzione della bomba atomica hanno rappresentato, secondo molti, il mezzo attraverso cui la scienza si è piegata alla politica.
Una morale immediatamente intuibile, più umana che scientifica, dovrebbe muovere la ricerca verso il solo fine di miglioramento delle condizioni di vita dell’umanità, e non verso la sua distruzione.
L’accusa sostiene che quegli scienziati ambiziosi avrebbero dovuto fermarsi di fronte alle spaventose potenzialità della bomba atomica, e molti furono i pentiti, tanto che i sensi di colpa della comunità scientifica sono sfociati, durante la Guerra Fredda, in una campagna per il disarmo nucleare, che trova il suo simbolo nel Manifesto di Russel-Einstein del 1955.

Oggi, a pochi giorni dal settantesimo anniversario delle stragi di Hiroshima e Nagasaki, quello che non possiamo fare a meno di chiederci, è se le ricerche di Los Alamos siano state mosse da un’ideologia di difesa, o dalla curiosità che spinge gli scienziati a muoversi oltre i limiti della scienza stessa.
Essi non furono i responsabili delle decisioni politiche o strategiche, ma non si può non riconoscere in loro una certa mancanza di senso umano.

La ricerca scientifica dovrebbe porsi dei limiti? La conoscenza può assumere le sembianze di un’arma di distruzione?

Di certo, l’unica lezione che possiamo imparare è:
“Ricordatevi della vostra umanità, e dimenticate il resto” (Józef Rotblat)

Elisabetta Rosa

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