Genova è una città che, già dal suo nome antico – Ianua, città di Giano, il dio dalle due facce – svela una sua peculiarità: l’essere contemporaneamente una cosa ed il suo opposto.

Non è facile in sé spiegare Genova, figurarsi per chi genovese non è, e non lo è nemmeno comprenderla – ammesso che sia possibile fondersi a tal punto con una città che si ama e si odia contemporaneamente.

Genova non è solo il ponte Morandi, costruito sopra le case, come non è solo il fiume Bisagno cementificato, né tantomeno è qualcosa di cui ridere come un Sindaco non protagonista al punto da non essere riconosciuto da un’inviata mandata in diretta allo sbaraglio da un canale all-news – ed altrettanto in fretta e furia crocefissa dai social che non perdonano.

Genova è una città di mare, innegabilmente, ma è anche una città di collina, con quei suoi saliscendi così frequenti, tanto paralleli al mare – come la via XX Settembre – quanto verso le valli e i colli su cui è adagiata.

Genova è Levante e Ponente, perché a Genova la tradizione marinara si è imposta su est e ovest, e come ci sono Sestri Ponente e Sestri Levante ci sono il Ponente genovese – Pra’, Voltri, Pegli… – ed il Levante genovese – Nervi, Quarto dei Mille, Quinto… – e poi, ancora più in là, le riviere di Ponente e di Levante, più lontane da Genova e più frequentate da frotte di piemontesi e milanesi.

Su questi foresti, come li chiamano i genovesi, e sull’apparente contrasto tra l’apertura marinare a e la chiusura ligure occorre aprire una parentesi: chi arriva a Genova o in Liguria per lavorare e contribuire all’arricchimento del territorio, dopo un’iniziale diffidenza che è naturale ovunque, diventa parte della comunità; chi invece arriva, magari per un mordi e fuggi, prende e sfrutta quelle risorse che questa terra ha da offrire – tra tutte un bel mare pulito, checché se ne dica – viene trattato come un saccheggiatore che non contribuisce alla crescita, e che pertanto deve pagare tutto il possibile.

Genova è il Porto Antico, cuore pulsante di quel crocevia di genti e merci che fu la Superba Repubblica, è il labirinto di caruggi stretti e di edifici non troppo alti per non rubarsi il sole a vicenda che si chiama centro storico – e non immaginiamo via Prè o via del Campo buie, peggio di come le ha cantate De André –, è la monumentalità moderna di via Venti e De Ferrari, è Albaro con le sue ville, è la Foce che si ispira anche a Torino, è quel cocktail di Sudamerica e camalli portuali chiamato Sampierdarena, è i casermoni di Voltri e le ville di Albaro, è la ricchezza di Nervi e la povertà apparente di Boccadasse, è l’apertura al mondo dei terminal del porto e la chiusura ai foresti del cimitero di Staglieno, è Marassi che a pochi metri di distanza ha le porte da calcio del Ferraris e quelle metalliche del carcere, è Bolzaneto con quella macchia indelebile del G8.

Genova è l’arrembanza garibaldina dello scoglio di Quarto, è lo scambio di vite di Caricamento e di Sottoripa, è la tranquillità di chi ha messo radici a Carignano.

Genova è la ferrovia che è la vera metropolitana, è la metropolitana che sembra solo un tram, è l’autostrada che prima del crollo di ponte Morandi faceva da tangenziale dentro la città.

Genova è il Portogallo: una cadenza inconfondibile esportata in terra iberica, una malinconia che si trova tanto nei fado di Amalia Rodrigues quanto nelle canzoni di Luigi Tenco, la propensione per la navigazione.

Genova è l’Argentina, e anche l’Uruguay: ispira un forte sentimento di attaccamento, e lo straziante struggimento del tango di Astor Piazzolla è lo stesso messo in musica da Gino Paoli e Bruno Lauzi.

Genova è anche noi, che amiamo il football e indossiamo i jeans dello stesso blu del suo mare, Genova è quella croce rossa in campo bianco che fa tanto Londra ma ha viaggiato più degli inglesi.

Genova è uno stato d’animo che non si può descrivere: si ama e si odia, tutto insieme, ma tutto distinto e coi suoi tempi.

Ed è tutto quello che è scritto in queste righe, ed ancora altro, che fa sorgere una connessione di nostalgia e di sintonia con Genova, quello stesso sentimento che fa dire all’emigrante di Ma se ghe penso che non solo tornerà, ma che è facile immaginare la città vista dal mare, con la Lanterna vero faro a guidare pensieri, speranze e ricordi.

Simone Moricca

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