Nelle ultime settimane, oltre a quanto avviene in campo, nell’Italia del pallone è successo un po’ di tutto: striscioni discutibili, assalti, risse, bombe carta. Da nord a sud, isole incluse. Gli attori protagonisti sono stati quasi sempre gli ultras, senza dimenticare anche le scorribande dei calciatori. Prima di entrare nel merito della situazione, però, è doveroso fare una piccola premessa: non c’è alcuna intenzione di criminalizzare il mondo ultras a priori, ma nemmeno di difenderlo a spada tratta; solo un tentativo di guardare le cose come sono tenendo ben presente che una cosa è il tifo ed un’altra è il crimine, la delinquenza e il vandalismo.

Anche perché diventa davvero arduo pensare di difendere il mondo del tifo organizzato quando si cita, ad esempio, ciò che è successo domenica nel derby della Mole prima e durante la partita, con l’aggressione al pullman della Juventus da parte dei tifosi granata, e il lancio di una bomba carta dal settore ospiti bianconero all’adiacente curva Filadelfia che ha causato 9 feriti.

Diventa difficile pensare di difendere il mondo dei tifosi quando si parla di ciò che è successo una decina di giorni fa a Varese, quando la notte prima di Varese-Avellino un gruppo di persone (sulle quali è giusto comunque ricordare che la polizia sta ancora indagando) è entrato all’interno dello stadio Franco Ossola, distruggendo il campo e una panchina, segando le porte e lasciando forti scritte contro la dirigenza sulla pista da ciclismo che circonda il rettangolo di gioco.

Anche la notizia fresca fresca dei tifosi bresciani che ieri sera, dopo la partita contro il Vicenza, hanno assaltato i bus dei tifosi biancorossi (che si è scoperto poi essere appartenenti ai centri di coordinamento dei club e non agli ultras vicentini) distruggendo un vetro che ha poi ferito un bambino di 12 anni, rende difficile una loro difesa. O l’assalto avvenuto ad Assemini da parte di alcuni tifosi del Cagliari che sembrerebbero aver aggredito alcuni giocatori rossoblu, rei, a detta dei tifosi, di non stare facendo nulla in campo per evitare la retrocessione in B dei sardi.

Una cosa simile è stata raccontata di Bergamo, dove i giornali locali hanno parlato di una durissima contestazione da parte degli ultras della Dea in allenamento, addirittura di un vero e proprio raid e un tentativo di processo ai giocatori. Salvo poi scoprire, anche a detta di Mister Reja, che questa contestazione non c’è mai stata, e men che meno atteggiamenti violenti verso i giocatori, ma semplicemente un accorato incoraggiamento a mantenere la serie da parte dei tifosi neroazzurri ai propri beniamini.

Puntiamo per un secondo i fari proprio su questo aspetto: il processo mediatico al mondo del tifo organizzato a cui ci stanno facendo assistere nelle ultime settimane giornali, tv e social network, ai quali si sono aggiunti prontamente i valorosi Alfano e Tavecchio, dichiaratisi non più disposti a sopportare queste angherie e questi ricatti da sedicenti manipoli di manigoldi. Toni apocalittici, da guerra senza quartiere. Neanche per il rischio terrorismo, che pure non è certo sfumato e che comunque continuiamo ad avere a pochi chilometri dalle nostre coste, abbiamo sentito toni sì tanto allarmati come contro i tifosi.

E allora via libera ad articoli, servizi e dibattiti in cui tutto fa brodo: ogni episodio, anche il più piccolo, è associato al calderone della prepotenza e della violenza ultras, anche se vecchio di anni; il modello da seguire è quello inglese, partendo dal pugno di ferro che ebbe la Thatcher (la quale in realtà non debellò affatto il fenomeno della violenza degli hooligans, ma semplicemente lo spostò altrove, lontano dagli occhi delle telecamere) e arrivando fino ai più disparati e assurdi metodi repressivi, pregni di luoghi comuni e preoccupante superficialità.

Il presidente della Figc Tavecchio (lo stesso della frase su Optì Pobà e le banane) addirittura propone il divieto di introdurre qualsivoglia tipo di striscione all’interno degli impianti, a seguito del polverone degli striscioni all’Olimpico in Roma – Napoli verso la signora Leardi, mamma di Ciro Esposito (in quell’occasione però, a ben vedere, i messaggi assolutamente discutibili e dei quali si sarebbe potuto francamente anche fare a meno dei romanisti, in realtà non comportavano alcuna violazione di reato, ma tant’è…). Mettendo in un unico calderone questi con gli striscioni di solidarietà a Genova colpita dall’alluvione, al piccolo tifoso della Salernitana Armandino affetto da una rara malattia o tanti altri messaggi positivi.

Da parte dei media solo un unanime coro di “sì, vada per la repressione senza quartiere, purché sia veloce”. Non una parola, però, verso l’assunzione di determinate responsabilità; nessuna voce che si approcci razionalmente alla questione, nessuna traccia neanche della volontà di farlo. Chiaramente, se prendiamo in esame Varese, Cagliari o Brescia c’è ben poco da analizzare.

Ma se invece prendessimo in esame, ad esempio, il derby di Torino di domenica, oltre a provare ribrezzo verso quanto successo, viene da chiedersi come sia stato possibile che siano entrati degli esplosivi così potenti all’interno di uno stadio, e di chi sia la responsabilità che ci siano entrati. Dai media, invece, nessuna parola in merito. Se prendessimo in esame quanto accadde prima di Roma-Feyenoord di Europa League, dove chiaramente la colpa è degli olandesi senza sé e senza ma (e ci mancherebbe altro), viene comunque da chiedersi: nessuno poteva fare niente per evitarlo? A chi compete rendere effettivo il divieto della vendita di alcoolici in centro città, anche e soprattutto da parte dei venditori abusivi? Chi avrebbe dovuto evitare che i tifosi del Feyenoord si concentrassero a migliaia sulla scalinata di Piazza di Spagna (dove poi hanno fatto quello che hanno fatto)? Sindaco, questore o prefetto?

Ripetiamo, semmai ce ne fosse bisogno, che non è nostra intenzione difendere il mondo ultras a spada tratta, anche perché i casi riportati sono decisamente indifendibili. Semplicemente è nostro obiettivo rifiutare di parlare e approcciarci a questi episodi beceri e in generale alla questione della violenza negli stadi con altrettanta violenza, dialettica per lo più mista ad isteria e superficialità, come dimostrato finora dai media. C’è sempre la via di mezzo, quella della ragione. Preferiamo, forse maldestramente, seguire quella.

Fonte immagine in evidenza: toro.it

Michele Mannarella

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