In lotta contro il patriarcato: gli uomini da che parte stanno?, donne
Fonte: www.radiondadurto.org

Gessica Notaro, aggredita al volto con l’acido dall’ex compagno violento, precedentemente denunciato alle Forze dell’ordine. Valentina Pitzalis, ustionata dall’ex marito che non accettava la decisione della donna di porre fine al loro matrimonio. Noemi Durini, 16 anni, percossa a colpi di sassi e uccisa dal suo fidanzato di soli 17 anni che al momento dell’arresto sorrideva alla folla. Vanessa Zappalà, uccisa da un colpo di pistola mentre passeggiava con le sue amiche dopo aver finalmente trovato il coraggio di prendere le distanze da un compagno violento che, ancora una volta, non accettava tale decisione. Saman Abbas, uccisa per essersi opposta ad un matrimonio combinato dalla propria famiglia con un cugino molto più grande di lei. Questi nomi sono tristemente noti: donne sfregiate o uccise dal proprio compagno, dall’ex partner, da un familiare, da uomini ossessionati dal concetto di possesso e superiorità. Il fenomeno del femminicidio ancora non trova un punto d’arresto. Sul colpevole siamo invece tutti d’accordo. Anche se stando alle recenti dichiarazioni di Barbara Palombelli, forse non è così.

Dai dati ISTAT emerge difatti che «le donne subiscono minacce, sono spintonate o strattonate, sono oggetto di schiaffi, calci, pugni. Altre volte sono colpite con oggetti che possono fare male. Meno frequenti le forme più gravi come il tentato strangolamento, l’ustione, il soffocamento e la minaccia o l’uso di armi. Tra le donne che hanno subìto violenze sessuali, le più diffuse sono le molestie fisiche, cioè l’essere toccate o baciate contro la propria volontà, […] gli stupri e i tentati stupri. Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner, parenti o amici. […] Gli sconosciuti sono autori soprattutto di molestie sessuali. […] Oltre alla violenza fisica o sessuale le donne con un partner subiscono anche violenza psicologica ed economica, cioè comportamenti di umiliazione, svalorizzazione, controllo ed intimidazione, nonché di privazione o limitazione nell’accesso alle proprie disponibilità economiche o della famiglia».

Un quadro spaventoso che conduce ad una ancor più spaventosa considerazione: il patriarcato c’è, esiste e non teme giudizi né conseguenze. Questo retaggio culturale dalle origini alquanto remote mina il processo di emancipazione culturale e di uguaglianza sociale. Proprio l’educazione intergenerazionale ha consentito di portare avanti tale pensiero, contribuendo alla nascita di una distorta correlazione tra la figura dell’uomo e i concetti di supremazia e possessività. Il patriarca è difatti colui che detiene potere e privilegi in ogni ambito di vita: lavorativo, familiare, sociale.

La donna, in siffatto scenario, assume un ruolo marginale divenendo pedina nelle mani di un abile giocatore. È l’uomo a decidere pertanto le sorti della sua esistenza. Tale retaggio culturale va dunque scardinato e demolito.

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Ritratto di una famiglia patriarcale

A tal proposito, diverse associazioni sono oggi impegnate nella lotta contro il patriarcato, nella valorizzazione dell’identità femminile e nella promozione di una cultura paritaria. L’Associazione FEDRA, ad esempio, si occupa di affermare la presenza della donna nel settore sociale, culturale, politico, e di abbattere gli stereotipi di genere e i pregiudizi; essa mette a disposizione delle donne in difficoltà avvocati e psicologi in grado di offrire loro il sostegno e il supporto di cui hanno bisogno, organizza corsi sull’affettività e sull’educazione al rispetto, offre un primo ricovero a donne e minori vittime di violenza. Anche Differenza Donna, nata a Roma nel 1989, si occupa di “far emergere, conoscere, combattere, prevenire e superare la violenza di genere.”

Nel 2007, in seguito alla pubblicazione di un appello nazionale dal titolo “La violenza contro le donne ci riguarda: prendiamo la parola come uomini”, prende vita l’associazione Maschile Plurale: uomini con età, vissuti e percorsi tra loro differenti combattono da quattordici anni al fianco delle donne, al fine di portare avanti una battaglia importante di cui essi sono co-protagonisti. L’obiettivo è indurre un cambiamento culturale e sociale a partire da una riflessione individuale: il patriarcato è l’origine del sessismo, della possessività relazionale, della mascolinità tossica. In poche parole, il patriarcato diviene l’antitesi della virilità e del coraggio.

La presa di consapevolezza circa l’esistenza di una simile realtà sembra aver smosso la coscienza collettiva: da Nord a Sud molti uomini sono scesi in piazza uniti da un filo di lana rosso volto a simboleggiare la propria vicinanza alla parte lesa della società, molti uomini si sono uniti alle donne nella battaglia contro il patriarcato, contro il femminicidio, contro la violenza di genere.

Una minaccia, uno sfregio, un omicidio non sono la conseguenza di un raptus, ma la conseguenza di una realtà distorta e di una mente malata. È la sete di vendetta che porta al femminicidio, è la bramosia di possesso, è l’incapacità di far propria l’idea della donna libera e indipendente. È su questi punti allora che bisogna intervenire, aprendo la strada a progetti educativi rivolti ad ambo i sessi.

Appare difatti opportuno e indispensabile educare sin dalla tenera età alla parità di genere e al rispetto dell’altro, della sua persona e del suo ruolo, decostruendo l’immaginario odierno che vede contrapposti l’uomo e la donna in un rapporto di subordinazione, di controllo e sottomissione. Perché l’emancipazione è il risultato di un percorso sì articolato, ma unitario, e la lotta contro il patriarcato non può esser vinta se a combattere sono solo le donne. Anche gli uomini devono scendere in campo.

Aurora Molinari

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