Barbara Palombelli
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I primi “sospetti” sul conto di Barbara Palombelli abbiamo cominciato a nutrirli a Sanremo, quando – dopo essersi definita addirittura una ragazza ribelle – è riuscita a trasformare un dialogo sull’empowerment femminile in un monologo in cui le donne vengono descritte come le sole responsabili dei propri fallimenti. Nessun riferimento al sistema patriarcale, dunque. Per la ragazza ribelle, chi non riesce a diventare una “vera donna” evidentemente non ha lavorato abbastanza duramente e nemmeno studiato fino alle lacrime.

A mesi di distanza da quell’aberrante considerazione, la giornalista Barbara Palombelli è tornata a puntare il dito contro le donne. Passata dal palco dell’Ariston al tribunale di Forum, questa volta non le accusa di non aver fatto abbastanza per ottenere una promozione sul posto di lavoro, ma di aver avuto una condotta esasperante nei confronti di compagni, padri, sconosciuti, divenuti poi i loro carnefici.

«Questi uomini» si chiede una preoccupata Palombelli «erano completamente fuori di testa, completamente obnubilati oppure c’è stato un comportamento esasperante e aggressivo anche dall’altra parte?» In un colpo solo, dunque, la conduttrice giustifica il femminicidio e legittima il patriarcato. Il tutto in appena 40 secondi, d’altronde lei sì che è una vera donna!

Quaranta secondi, quindi, per svilire anni di lotte combattute contro la logica del “se l’è cercata”, contro la convinzione che un abbigliamento succinto è automatico sinonimo di consenso, contro quegli stereotipi che giorno dopo giorno sottraggono dignità a tutte le donne. Le stesse che, appena qualche mese fa, Barbara Palombelli aveva invitato a ribellarsi per difendere i propri diritti. Qualcuno le ricordi che i diritti non si difendono solo nelle piazze, ma anche nelle trasmissioni televisive e che a lederli non sono solo gli uomini violenti, ma anche i giornalisti sconsiderati. Lei stessa, ponendo al pubblico quella domanda e facendola arrivare nelle case di tutti i telespettatori del programma, non ha certo fornito un contributo alla causa femminista. Anzi, ha favorito – qualora ce ne fosse bisogno – una normalizzare di quella narrazione che subordina la violenza di genere a una presunta colpa femminile.

Ecco perché occorre tenere bene a mente, a maggior ragione se di mestiere fai la giornalista e con le parole ci lavori, che la scelta narrativa impiegata non è mai neutrale e può avere lo stesso fatale potenziale della mano per mezzo della quale trovano la morte le vittime di femminicidio.

Raccontarle come colpevoli di infedeltà o di atteggiamenti provocatori e esasperanti – che spesso, guarda caso, coincidono con l’allontanamento dal tetto coniugale o con un nuovo innamoramento – riproduce dinamiche assai pericolose. Una simile narrazione, infatti, rafforza la convinzione che gli uomini si siano “limitati” a reagire a un torto subito, facendo aumentare l’empatia nei loro confronti e rimuovendo dalla scena le vere protagoniste della vicenda, ma non solo.

Permette anche di occultare quelle dinamiche che, tipiche del sistema patriarcale, impongono alla donna di reprimere ambizioni e desideri per dedicarsi al compiacimento, pieno ed esclusivo, di qualsiasi individuo di sesso maschile si trovino ad avere a fianco. Quindi no, cara Barbara Palombelli, non sono certo le donne a essere esasperanti ma lo è il sistema al quale siamo state forzatamente socializzate e la sola domanda che è lecito porsi è perché sulle reti televisive nazionali sia ancora possibile ascoltare simili pericolose scempiaggini.

Virgilia De Cicco

Virgilia De Cicco
Ecofemminista. Autocritica, tanto. Autoironica, di più. Mi piace leggere, ma non ho un genere preferito. Spazio dall'etichetta dello Svelto a Murakami, passando per S.J. Gould. Mi sto appassionando all'ecologia politica e, a quanto pare, alla scrittura. Non ho un buon senso dell'orientamento, ma mi piace pensare che "se impari la strada a memoria di certo non trovi granché. Se invece smarrisci la rotta il mondo è lì tutto per te".

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