NA K14314. Le strade della Mèhari di Giancarlo Siani si può considerare un vero e proprio libro d’inchiesta. L’autore del libro, edito da Alessandro Polidoro, è Paolo Miggiano.

NA K14314. Le strade della Mèhari di Giancarlo Siani è un viaggio attraverso quell’automobile, una citroèn anacronistica, che percorre i posti più impensabili dell’impegno civile. Libero Pensiero ha avuto la possibilità e il piacere di intervistare l’autore del libro, Miggiano, il quale con professionalità e obiettività ha risposto ad alcune domande.

Com’è nata l’idea di scrivere un libro incentrato su una personalità tanto importante e forte come quella di Giancarlo Siani? Quanto tempo ha impiegato per scrivere il libro?

 «Non avrei mai pensato che un giorno avrei scritto un libro su Giancarlo Siani. Eppure le coincidenze lo hanno reso possibile. Ho sempre nutrito un certo imbarazzo di fronte alla sua storia tanto ricca, tanto appassionante, ma anche tanto narrata. Mi sono sempre chiesto: chi sono io per mettere la penna sulla carta e scrivere di lui? Sulla figura di Giancarlo Siani, infatti, hanno scritto in tanti. Si è scritto tutto e a volte anche il contrario di tutto. NA K14314, però, non lo definirei un libro su Giancarlo Siani, esso rappresenta il tentativo di dare conto del come in questi lunghi trentatré anni lo abbiamo narrato, di come lo abbiamo eroicizzato e, a volte, persino abusato. L’idea di scrivere questo libro è nata dalla necessità di fermare in delle istantanee le emozioni che ho incontrato nei volti delle persone, ma soprattutto dei giovani, percorrendo le strade della Méhari di Giancarlo. Emozioni, comprese le mie, che non potevano restare solo nel mio taccuino. Ho scritto prima un breve racconto che fermava le immagini di quel 23 settembre 2013, quando in una staffetta con Roberto Saviano, Luigi Ciotti, Armando D’Alterio, Alfredo Avella, Giovanni Minoli e Daniela Limoncelli, l’auto ritrovata di Giancarlo Siani ripartì per ripercorrere il tragitto che a Giancarlo non fu più possibile percorrere da casa alla sede de Il Mattino dove lavorava. Con quel racconto vinsi il primo premio del concorso letterario Nabokov, che si tiene a Novoli, nel mio Salento. Poi l’idea di ripercorrere l’intero viaggio voluto da Paolo Siani, il fratello di Giancarlo e dalla Fondazione Pol.i.s., che presiedeva. Quanto al tempo, per scrivere NA K14314 è stato necessario più di un anno. Direi il tempo giusto affinché un libro sulla Méhari di Giancarlo, giungesse nelle librerie proprio nell’anno in cui ricorre il cinquantesimo anno da quando un altro aviatore, il francese eroe della Seconda Guerra Mondiale, Roland del La Poype, inventò la Citroen Méhari. Coincidenze!»

Il viaggio con la Mehari può essere definito il viaggio di tutti? O meglio di lettori, curiosi, appassionati, giornalisti, scrittori?

«Si è, o perlomeno dovrebbe esserlo, il viaggio di tutti, istituzioni, associazioni, cittadini, giovani e meno giovani, nessuno escluso. Quello della Méhari è il viaggio della memoria che appartiene davvero a tutti. È il viaggio dei lettori, che mi auguro trovino la narrazione agevole, piena com’è di numerosi aneddoti, non solo dolorosi, ma anche simpatici.»

Qual è il messaggio che vorrebbe passasse attraverso la lettura del Suo libro?

«Il libro del viaggio con la Méhari ripercorre anche i diritti delle vittime dei reati e della necessità di renderli equi ed adeguati, eliminando le disparità tra chi è colpito dalle mafie e dal terrorismo e chi invece muore a causa di altri fenomeni criminali. È un percorso di sensibilizzazione che pone l’accento sulla necessità di adeguare gli strumenti di contrasto alle mafie. Il messaggio che vorrei che i lettori cogliessero dalla lettura di questo libro è quello di pretendere di vivere in un paese normale, libero dalle mafie e dalla corruzione.»

Come definirebbe il libro nel complesso?

«NA K14314 non è un libro di fantasia. In esso non si narra una storia inventata, ma una storia tragicamente vera e un viaggio emozionante che ho personalmente percorso. Un saggio che attinge alla storia di questo Paese, che è storia di violenza, di condanne a morte, di criminali, di morti ammazzati, di vittime innocenti, ma anche storie di impegno, di riscatto.»

Qual è la parte che preferisce di più all’interno del tessuto narrativo e quella (se esiste) che preferisce meno o l’è costata più fatica?

«Non ci sono parti che preferisco di più o di meno in questo libro. Ho cercato di muovermi in punta di piedi in questa storia e la parte che potrebbe piacermi di più potrebbe essere quella intitolata “L’invisibile”, perché provo a raccontare di un giovane di ventisei anni con la passione del giornalismo e della scrittura e lo immagino a scrivere dei fatti attuali. L’ultimo capitolo del libro, “Viaggio nelle zone d’ombra”,  è quello che mi è costato più fatica e non solo per il lungo e laborioso lavoro di ricerca. Ci piaccia o no, soddisfatti o meno, la verità giudiziaria che ci è stata consegnata sull’omicidio di Giancarlo Siani è che egli il 10 giugno del 1985 scriveva un articolo dove ipotizzava che i Nuvoletta avrebbero potuto scaricare Valentino Gionta a favore di una tregua con Bardellino e Carmine Alfieri. In sostanza un patto dove i Nuvoletta scaricavano Gionta, facendolo arrestare proprio nei pressi della loro residenza. L’articolo infastidì molto i Nuvoletta che, dopo lunghe discussioni tra clan, decisero di farlo uccidere. L’ingarbugliata vicenda giudiziaria sul caso Siani pone, però, ancora molte domande. Io me ne sono fatte più di quaranta. Domande, per gettare una luce, per diradare le zone d’ombra. In ogni caso, il capitolo che più mi ha divertito è quello del “Viaggio in ciò che non sopporto”: un modo per dare un metaforico calcio nel sedere a tutta quell’antimafia di facciata, che proprio non mi piace.

Il libro consente una lettura dinamica, che procede in modo multiforme. Com’è riuscito a creare un’opera che non sia banale, e che riesca a sorprendere, risultando originale ed interessante al tempo stesso?

«Grazie per questa domanda, che di per sé rappresenta un giudizio molto lusinghiero per la mia scrittura. Per molti anni il mio mestiere è stato un altro: poliziotto, aviatore. Non mi considero uno scrittore. Durante il viaggio ho incontrato persone importanti ed altre meno importanti. Quelle meno importanti mi hanno suscitato grandi emozioni. La maggior parte di quelle importanti, invece, hanno suscitato delusione e indignazione. Ho viaggiato, ho osservato, ho preso appunti, ho letto molto. Tutto ciò non poteva rimanere nel mio taccuino, semplicemente perché ho passione per la narrazione di certe storie.»

Attraverso la lettura di  NA K14314. Le strade della Mèhari di Giancarlo Siani si comprende l’importanza e la dedizione al lavoro, oltre all’immensa passione di un uomo, un giornalista, che rappresenta il simbolo di ciò che non sarebbe dovuto mai accadere. Siani raccontava i fatti con dignità e interesse, senza paura, facendo del proprio mestiere una vera e propria professione. Tra l’altro, egli era un ragazzo dal temperamento vivace, amava la vita, oltre al suo lavoro. La sera che fu ucciso sarebbe dovuto andare al concerto di Vasco Rossi, concerto che poi saltò.

NA K14314. Le strade della Mèhari di Giancarlo Siani è un libro sorprendente, un vero e proprio viaggio, così come lo definisce il suo autore, Miggiano, e anche una una vera e propria inchiesta senza reticenze.

Capitolo dopo capitolo, viene fuori l’immagine di un giornalista non schierato per i buoni contro i cattivi, immagine ricostruita mediante un accurato lavoro di documentazione: Miggiano ha difatti studiato e preso appunti, facendo ruotare il testo soltanto attorno a fatti la cui veridicità è fuori discussione.

Gerardina Di Massa

 

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