Al termine di una giornata all’insegna delle contrapposizioni e polemiche, a chiudere il cerchio ci pensa Pier Luigi Bersani che in una lunga intervista con Lili Gruber attacca il governo e difende la CGIL.
Per l’ex segretario Democratico, fortemente preoccupato per l’aria che si respira nel paese, servirebbe una tregua dove tutti possano fare la propria parte per ricucire una frattura profonda che investe il Partito Democratico e il paese stesso.
Errori seri sarebbero stati commessi dal governo in questa situazione, colpevole soprattutto di aver voluto accendere “una miccia al giorno” e scatenare una contrapposizione con sempre nuovi nemici, e in particolare con il sindacato.Non può essere considerato un ferro vecchio” avverte Bersani riferendosi alla CGIL, alla cui manifestazione non si può ignorare che abbia partecipato anche una buona parte dell’elettorato del PD, quella parte di popolo che secondo Bersani è la base con cui più bisogna confrontarsi.

Poi parla dei fatti di ieri, in particolare delle ingiustificate cariche da parte della polizia contro una manifestazione di operai (metalmeccanici della ThyssenKrupp, contro il licenziamento collettivo previsto dall’azienda nello stabilimento di Terni) che hanno portato contusi e feriti. “Alfano deve intervenire in Parlamento e spiegare come sono andate le cose perché sono fatti gravi.” afferma, “bisogna capire cose è successo: gli operai che perdono lavoro non possono essere bastonati“. Su Alfano potrebbe pendere a breve una mozione di sfiducia da parte di SEL, che ne ha chiesto le immediate dimissioni in aula.

Ma è proprio Pier Luigi Bersani che, facendo il paio con le dichiarazioni di D’Alema al Sole24Ore, esclude l’ipotesi di scissioni. Insomma per Bersani il Partito Democratico resta la sua casa, per cui ritiene assurdo anche solo pensare di lasciarla. “Mi sembra invece strano che ci sia un segretario che fa un appuntamento come la Leopolda senza un simbolo del Pd e che nessuno gli chieda se vuole uscire dal partito“.
Insomma se la minoranza legata a Pippo Civati sembra avere ormai portato almeno un piede fuori dal partito, gli ex ds sembrano essere di altro avviso e frenano ancora una volta gli iniziali fermenti dei più giovani colonnelli. La strategia di D’Alema e Bersani sembra infatti quella di continuare la tortuosa e frustrante scelta di rimanere fazione interna al PD, in una posizione critica ma non troppo, legata al tradizionale mondo della sinistra sindacale e istituzionale, in attesa dei passi falsi della leadership renziana. Nessuna intenzione di uscire dunque, nonostante a parole l’ex-segretario nell’intervista a Otto e Mezzo non lesina forti critiche alle riforme principali portate avanti dal suo segretario e dal suo partito, dal Jobs Act – delega indefinita, fiducia inaccettabile – alla legge elettorale – che presenterebbe evidenti profili di incostituzionalità.

Roberto Davide Saba

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