Il 22 maggio 1978 in Italia è stata promulgata la cosiddetta Legge 194, che ha decriminalizzato e disciplinato le modalità di accesso all’aborto.

Prima dell’approvazione di questa legge, in Italia l’interruzione volontaria di gravidanza era considerata punibile penalmente: nel caso in cui la donna era consenziente, infatti, rischiava dai due ai cinque anni di galera, insieme a colui che aveva eseguito l’aborto.
Con la Legge 194 è stato invece stabilito che il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) è permesso nei primi 90 giorni alla donna:

«[…] che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito

[art. 4, legge 194]

Superati i primi novanta giorni, l’aborto può essere eseguito solo qualora si verifichi una delle seguenti condizioni:

«[…]
a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna;
b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.»

[art. 6, legge 194]

Nonostante ciò, a quasi quarant’anni dall’approvazione della legge, sono ancora molte le difficoltà che le donne si ritrovano a dover affrontare per accedere a quello che è a tutti gli effetti un loro diritto. L’ostacolo più difficile da sormontare è probabilmente quello dell’obiezione di coscienza.

«[…] In termini bioetici, essa si fonda sul principio dell’integrità deontologica delle professioni sanitarie, per il quale, laddove il paziente richieda al medico il compimento di azioni che contrastino con la sua coscienza, questi ha il diritto-dovere di trasferire il paziente a un altro medico per farsi sostituire

[Definizione ripresa dall’enciclopedia Treccani]

Un medico che si è appellato all’obiezione di coscienza è esonerato dall’eseguire le attività dirette all’interruzione volontaria di gravidanza, ciò tuttavia non lo esonera dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento. Mentre sarà l’ente ospedaliero e la casa di cura autorizzata a dover assicurare l’espletamento delle procedure previste per eseguire l’aborto, come stabilito dall’art. 9 della legge 194/78.

Secondo la relazione annuale del Ministero della Salute edita nel 2015, dal periodo esaminato si evince un aumento dei medici obiettori: dal 58.7% del 2005 al 70% del 2013. I dati evidenziano anche una notevole differenza tra regioni, difatti alcune di queste registrano percentuali superiori all’80%: 93.3% in Molise, 90.2% in Basilicata, 86.1% in Puglia, 81.8% in Campania, 80.7% nel Lazio e in Abruzzo.

Nonostante ciò, la relazione sottolinea una certa stabilità del carico di lavoro settimanale per i medici non obiettori. Considerando, infatti, che un medico lavora in media quarantaquattro settimane all’anno, si è calcolato un carico di lavoro pari a 1.6 IVG a settimana effettuate da un medico non obiettore. Secondo questi dati il numero di non obiettori risulta congruo al numero di aborti effettuati, non impedendo così a questi ultimi di svolgere i loro restanti doveri.

L’analisi di dati più recenti rilasciati dal Ministero in merito a questo tema mantiene questa visione ottimistica del fenomeno, concludendo anche che il numero di IVG è diminuito e di conseguenza il numero di ginecologi non obiettori è proporzionato alla domanda.

Purtroppo, il dato e la realtà in questo caso non coincidono. In un’intervista rilasciata al nostro giornale, la dott.ssa Agatone, ginecologa non obiettrice e presidente della LAIGA (Libera Associazione Italiana Ginecologi per l’applicazione della legge 194/78), ha confutato questa visione: «[…] Il discorso va letto esattamente al contrario: i non obiettori diminuiscono e quindi il numero di aborti fatti alla luce del sole, in ospedale, diminuiscono, e ciò perché ci sono meno operatori. Ma questo non vuol dire che le donne non necessitino di abortire, e c’è la possibilità che vadano nel clandestino, che nella relazione non è studiato».

La conseguenza naturale è la possibilità che le donne si rivolgano a strutture non autorizzate per praticare l’IVG, fattispecie che nella relazione ministeriale è affrontata tramite un rapporto statistico-matematico che non rispecchia fedelmente la realtà.

aborto diritto IVG
Non Una Di Meno, Bologna

Parlando di aborto, è importante citare anche l’utilizzo del RU486, ossia un medicinale arrivato in Italia solo nel 2009 che offre alle donne un’opzione non chirurgica per abortire nel rispetto della Legge 194. Il RU486 può essere preso entro la settima settimana di gravidanza e, come spiega il dott. Giorgio Vittori in una dichiarazione rilasciata a Repubblica, «agisce sul progesterone, un ormone che favorisce e assicura il mantenimento della gravidanza per le sue diverse azioni sulle strutture uterine, bloccandone l’azione». Questo farmaco agisce combinato a una seconda sostanza, la prostaglandina, provocando l’espulsione del materiale abortivo entro poche ore, tramite sanguinamento e contrazioni. Questo metodo, rispetto a quelli tradizionali, permette alla donna di abortire senza ricorrere ad anestesia o a interventi chirurgici.

Per l’anno 2010 e per il 2011 sono disponibili i dati originati dalla rilevazione compiuta appositamente per quantificare il fenomeno. Nel 2010 sono state indicate dalle regioni 3.836 IVG effettuate con RU486 e prostaglandine (3,3% di tutte le IVG effettuate nell’anno). Nel 2010 questo metodo risulta essere stato utilizzato solo per due casi nelle Marche e risulta non essere stato affatto utilizzato in Abruzzo e Calabria.

A queste considerazioni va aggiunto che nonostante il numero di strutture che permettono l’aborto farmacologico sia aumentato, fino a raggiungere 125 strutture nel 2011, vi sia un forte squilibrio nella distribuzione di quest’ultimi. Si trovano infatti regioni quali la Lombardia e l’Emilia Romagna, che presentano rispettivamente 29 e 20 centri che praticano questo servizio, contrapposte a Campania, Sicilia, Calabria e Sardegna che ne posseggono 2.

Aborto diritto IVG
Tabella presente nel documento del Ministero della Salute, relativa all’utilizzo dell’aborto farmacologico nel 2010-2011 (pag.5)

Le difficoltà legate a quest’opzione non sono, quindi, poche.

aborto diritto IVGÈ sulla base di questi dati che è stata organizzata la manifestazione tenutasi il 28 settembre in oltre 30 piazze italiane, guidata dal movimento femminista Non Una Di Meno, che da due anni smuove gli animi di donne e uomini riguardo al problema della violenza di genere. Uno dei punti focali della manifestazione è stata difatti la necessità di rivendicare il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza.

Dopo le conquiste dei movimenti femministi degli anni Settanta, che hanno dato voce all’importanza della rivoluzione sessuale, ci si ritrova nel 2017 a dover lottare per rivendicare un diritto garantito dalla legge, ma che purtroppo in Italia sembra esistere sulla carta, ma non nella realtà.

Andrea Chiara Petrone

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