Censura e policy di Facebook
Fonte immagine: vvox

È passato poco più di un mese da quando Facebook ha chiuso decine e decine di pagine fasciste – tra cui quelle dei partiti di Casapound e Forza Nuova – per “incitazione all’odio e alla violenza” adottando, tra l’euforia generale, una delle misure di censura più drastiche ed inedite della storia dei social network: Mark Zuckerberg è diventato tutto d’un tratto l’unico difensore dei valori della giustizia e dell’antifascismo nel rispetto della nostra Costituzione frutto della lotta partigiana.

Sebbene l’esclusione dei fascisti da qualsiasi spazio democratico sia sempre una cosa positiva ed auspicabile, le ambiguità seguite a tale iniziativa sono state chiare fin da subito: chi controlla la policy di Facebook, censura compresa? Chi ne limita il raggio d’azione? La risposta è “nessuno”. Non esiste, infatti, alcun ente che possa limitare o correggere la policy adottata dal gigante di Menlo Park. D’altronde, l’unico modo per regolamentare un social media transnazionale è con legislazioni comuni e condivise tra gli stati: pura utopia. 

La conferma a queste perplessità proviene dalla chiusura, in maniera del tutto arbitraria, operata da Facebook nei confronti di centinaia di pagine filocurde: dopo la recente aggressione di Erdogan alla Siria, ed al popolo curdo in particolare, sono state tantissime le pagine d’informazione ed i post che sono stati censurati poiché “non rispettavano le norme” a causa della solidarietà espressa alla popolazione curdo-siriana, simbolo dell’eroica resistenza all’ISIS ed ormai stremata dal rapido susseguirsi di guerre interne al proprio territorio. Contropiano, DinamoPress, Ex OPG Occupato – Je so’ pazzo, sono solo alcuni esempi di pagine che hanno denunciato tale abuso, sulle quali si è abbattuta la censura del colosso americano; persino la pagina Binxet – Sotto il Confine, il documentario di Luigi D’Alife che racconta della resistenza del Rojava, è incappata nella sistematica violazione delle norme: Facebook è sempre più simile ad uno strumento di propaganda e manipolazione di massa più che ad un social media.

Censura e policy di Facebook
Fonte: DinamoPress

Altrettanto grave è il caso degli ultimi giorni al Congresso americano in cui Zuckerberg ha risposto alle domande di alcuni deputati inerenti lo scandalo Cambridge Analytica, azienda che aveva raccolto impropriamente i dati personali di circa cinquanta milioni di utenti acquistandoli da “mydigitallife”, e li aveva utilizzati per scopi politici condizionando, forse in maniera decisiva, i risultati delle elezioni presidenziali del 2016. È stato facilissimo per Alexandra Ocasio-Cortez evidenziare tutte le contraddizioni della vicenda: alle incalzanti domande della deputata dem circa la reale possibilità di poter far circolare liberamente fake news sulla piattaforma, Zuckerberg è corso ai ripari replicando con una serie di: “non lo so”, “può darsi”, “la gente dovrebbe saper riconoscere se si tratta di una bugia” e altre frasi qualunquiste che sottolineano non solo una gravissima impreparazione dell’esecutivo Facebook di fronte ad uno dei problemi più gravi della comunicazione del XXI secolo, ma soprattutto un’enorme superficialità nel trattamento e nella protezione delle nostre informazioni personali, che diventano nient’altro che merce economica al soldo di altrettanto potenti aziende di comunicazione globale.

Mark Zuckerberg risponde alle domande della deputata dem Ocasio-Cortez riguardo allo scandalo Cambridge Analytica
Fonte: The Guardian

La questione, quindi, assume contorni ben definiti e ruota attorno al concetto di legittimità: può un social, o meglio, una delle più influenti aziende multinazionali del globo come Facebook, che appena due anni fa superava i due miliardi di utenti attivi al mese, scegliere in maniera autonoma cosa i propri utenti possono pubblicare sulla sua piattaforma? I liberal-puristi non hanno perso tempo nell’esprimere la loro posizione in difesa della libertà dell’individuo, secondo cui una piattaforma privata è libera di autoregolamentarsi seguendo il barbaro paradigma del “a casa mia, decido io”. Ragionamento che potrebbe sembrare corretto ma che è in realtà banale, approssimativo, effimero: rifarsi al concetto di privato non è mai stato così sbagliato come in questo caso. 

Per fare chiarezza analizziamo la semantica del termine; la Treccani scrive: “in contrapposizione a pubblico, riferito a ciò che appartiene a singoli cittadini o è da essi gestito”. Ebbene, vero è che Facebook è frutto della mente di un singolo cittadino e che è da esso amministrato ma, ad oggi, la piattaforma è di dominio pubblico: i social network sono infatti il primo canale informativo ed hanno surclassato i vecchi mass-media sia dal punto di vista della quantità di informazioni che da quello della vastità spaziale che essi ricoprono; ed è proprio quest’ultimo aspetto sul quale dobbiamo soffermarci per poter respingere con fermezza ogni possibile restrizione della libertà d’informazione. Di fatto, la censura che conoscevamo è radicalmente mutata: essa non si realizza più su scala nazionale, ma agisce su scala globale. Pensare, pertanto, che una piattaforma di informazione globale possa filtrare i propri contenuti tramite l’utilizzo di infidi algoritmi “nel migliore dei casi è superficialità, nel peggiore è fascismo”, come scriveva Thomas Mann.

Nicolò Di Luccio

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