Le elezioni in Brasile possono chiudere i conti tra Lula e Bolsonaro
Jair Bolsonaro e Luiz Inacio Lula – fonte immagine Nanopress.it

Domenica 2 ottobre circa 150 milioni di brasiliani si recheranno alle urne per uno degli appuntamenti elettorali più importanti dell’anno: il quale si preannuncia incandescente. Il Brasile sarà chiamato a scegliere tra due istrioni della politica locale: Lula e Bolsonaro. Il primo, tornato in campo dopo gli ultimi anni passati in carcere a causa di varie condanne per corruzione (poi annullate), affronterà a viso aperto l’attuale Presidente, un populista di destra, ex militare e che, all’epoca della sua elezione, fu soprannominato il “Trump sudamericano“.

Seppur si attenda l’esito del voto popolare per comprendere chi sarà il prossimo volto del più grande “Paese incompiuto” che la storia ricordi, i sondaggi parlano chiaro: Bolsonaro è dato in svantaggio di circa 10 punti percentuali nei confronti del suo avversario. Numeri che indicano come Lula possa vincere già al primo turno (cosa improbabile). Inoltre, gli analisti concordano sul fatto che quella in corso sia la campagna elettorale più tesa, violenta e polarizzata degli ultimi anni e che, nel caso in cui l’ex ufficiale dei paracadutisti dovesse perdere, potrebbe non accettare “sportivamente” una sconfitta. Il mondo si trova di fronte all’ennesimo “test democratico” del Brasile.

Il contesto in cui i brasiliani si recheranno ai seggi non è dei migliori. Tra pandemia e crisi economica, il Brasile affronta uno dei periodi più difficili della sua storia. Nel 2018 Bolsonaro vinse le elezioni con la promessa di fare di Brasilia un’economia di libero mercato, cancellando gli interventi statalisti del passato. Purtroppo i risultati, a 4 anni dal voto, non sono entusiasmanti: complici fattori esterni quali la crisi energetica e alimentare conseguente alla guerra in Ucraina e una pandemia a dir poco mal gestita, il tasso di crescita si è mantenuto bassissimo, l’inflazione è alta, la disoccupazione è alle stelle e circa 33 milioni di persone affrontano un’insicurezza alimentare definita dall’ONU “grave”. Emblematico, a questo proposito, il ritorno del Brasile all’interno della Mappa della fame delle Nazioni Unite dopo 8 anni.

Il ritorno di Lula e l’ombra del colpo di stato

Uno dei motivi per cui sarà interessante seguire il voto brasiliano è sicuramente il ritorno di Lula. Tra i più popolari presidenti del Brasile, ha guidato il Paese tra il 2003 e il 2010 ed è stato il fondatore del Partito dei Lavoratori, la principale formazione politica brasiliana. Condannato per corruzione nel 2017, è rimasto in carcere per oltre un anno perdendo i diritti politici, tra cui la possibilità di candidarsi nuovamente nel 2018. La condanna fu annullata nel 2021 dalla Corte suprema, la quale stabilì che la sentenza di condanna mancava di imparzialità. Così, dopo varie peripezie, l’ex Presidente è tornato più deciso che mai con il fine di restituire al Brasile il ricordo di un’epoca felice.

Lula, infatti, è ricordato soprattutto per quegli anni in cui sembrava davvero che il Paese sudamericano fosse maturato, cioè quando gli osservatori internazionali accreditavano l’ex Presidente come icona del socialismo mondiale e Brasilia come potenza economica nascente e nuovo attore geopolitico del Sud del mondo. Era l’epoca dei BRICS, di cui il Brasile rappresentava, non a caso, la prima lettera. Ma soprattutto erano gli anni delle commodity, sfruttate da Lula per provare a impiantare standard minimi di giustizia sociale in un Paese afflitto da crescenti disuguaglianze.

La campagna elettorale di Lula, dunque, viaggia su due binari paralleli. Da un lato c’è il ricordo di un periodo positivo della storia economica e sociale brasiliana, caratterizzato dalla crescita degli standard di vita della popolazione, dall’altro c’è il sollievo di vedere in campo l’unica speranza di contrastare l’autoritarismo del suo avversario. Per riuscire nell’intento, l’ex Presidente sta cercando di intercettare anche i voti dei conservatori, scegliendo come vice-presidente l’ex governatore di San Paolo e fervente cattolico Geraldo Alckmin, suo rivale nel 2006.

Tra le proposte di Lula ci sono temi sociali e ambientali, come l’aumento dei fondi destinati a programmi di sostegno e altri interventi, da portare avanti con dei finanziamenti delle banche pubbliche e deficit, per la lotta alla povertà. Centrali nella sua campagna sono anche il contrasto alla deforestazione in Amazonia, che Bolsonaro ha trasformato in un disastro ambientale, e il riacquisto dello stato di alcune raffinerie cedute a Petrobras, la compagnia petrolifera privata più grande del Brasile. In politica estera, Lula vorrebbe far uscire il Paese dall’isolamento diplomatico locale stringendo rapporti con i progressisti sudamericani quali Boric in Cile e Petro in Colombia.

Dall’altro lato della barricata c’è Bolsonaro, appartenente al Partito Liberale e di orientamento ultra-conservatore, nazionalista e soprattutto populista. Noto per la sua ammirazione nei confronti delle dittature brasiliane degli anni ’80, è un ex militare appartenente al corpo dei paracadutisti ed è stato sostenuto proprio dall’esercito nella sua scalata al potere. Sul suo conservatorismo pesano le posizioni discriminatorie nei confronti della comunità LGBTQ+, delle donne, delle persone di ascendenza africana e meticcia e il rapporto a dir poco controverso con i diritti civili e politici. Durante la pandemia da Covid ha seguito alla perfezione l’esempio del suo ispiratore nordamericano, Donald Trump, negando per mesi l’esistenza del virus con il risultato di dover costruire centinaia di fosse comuni dove seppellire le centinaia di migliaia di persone decedute.

La sua campagna elettorale non si fa notare per i temi, bensì per i toni. Bolsonaro non ha un programma vero e proprio, in quanto preferisce scagliarsi contro Lula, considerato un “pericoloso comunista” che potrebbe attentare al benessere delle fasce più ricche della popolazione. Infatti, l’ex militare oltre a rappresentare un punto di riferimento per l’esercito, una casta da sempre capace di influire in maniera determinante sui meccanismi politici sudamericani, è anche un importante figura su cui fanno affidamento i potenti proprietari terrieri locali impegnati in Amazzonia. Il suo obiettivo è quello di presentarsi come un anti-sistema perseguitato dai suoi rivali politici e dalle istituzioni del Brasile, come dimostrano gli attacchi alla commissione elettorale brasiliana.

La campagna elettorale è molto tesa, tanto che ci sono già stati episodi di violenza tra i sostenitori dei due candidati. Lo scorso luglio, un importante membro del Partito dei Lavoratori di Lula, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco da un sostenitore del suo rivale, Bolsonaro. Non è un caso che in Brasile si passi dalle parole ai fatti con estrema facilità, dato che durante la stessa campagna elettorale l’ex militare ha mimato la pistola con il pollice e l’indice, scherzando spesso sul fatto di voler sparare addosso ai membri del partito di Lula.

Uno dei timori più grandi in vista di queste elezioni, visto il clima, è che Bolsonaro non possa accettare la sconfitta. Vari analisti hanno messo sul piatto l’ipotesi che l’ex paracadutista abbia lavorato sodo in questi anni per guadagnarsi l’appoggio dell’esercito e consolidare il suo potere all’interno delle istituzioni brasiliane, cosa che in passato fu messa in discussione dai presidenti socialisti, con il fine di servirsene nel caso in cui le cose non si fossero messe per il meglio. Preoccupano, in particolare, le dichiarazioni del Presidente e soprattutto dei funzionari legati agli ambienti militari circa il sostegno incondizionato alla causa del proprio leader. Lo stesso presidente, poi, insiste da mesi nel mettere in dubbio l’esito del voto elettronico, affermando che non potrebbe riconoscere l’esito del voto in caso di sconfitta: essere arrestato, essere ucciso o vincere, Bolsonaro non vede alternative.

Quale futuro per il Brasile, l’eterno Paese incompiuto

A prescindere da chi vincerà le prossime elezioni, il Brasile dovrà affrontare una serie di sfide che metteranno in difficoltà qualsiasi governo, di destra o sinistra che sia. Alcune si possono facilmente intuire da quanto già precedentemente stabilito, come la legittimità democratica del voto, messa in dubbio dal Presidente uscente, dall’esercito e probabilmente dai ceti agiati della popolazione che sotto Bolsonaro hanno beneficiato di impunità e ricchezza. La polarizzazione che attanaglia il Brasile, poi, farà il resto.

Anche in politica estera le cose potrebbe cambiare, almeno sulla carta. L’ex militare ha inaugurato un nuovo rapporto con gli Stati Uniti, complice l’ammirazione di Bolsonaro per l’ex Presidente Trump e le collaborazioni militari avviate da Temer. Si crede che con l’avvento di Lula le cose possano cambiare, come confermano le dichiarazioni del socialista nei confronti della Cina, con cui il Brasile intrattiene ottimi legami commerciali. L’obiettivo è quello di inserirsi all’interno di quei circuiti internazionali alternativi che puntano a ridisegnare il mondo e gli equilibri internazionali. Quello della collocazione internazionale è un problema importante in un Paese che, seppur grande e popolato, soffre da sempre di “nanismo internazionale” e di complessi di inferiorità nei confronti degli altri giganti.

Ridisegnare la rotta della politica estera brasiliana, però, non sarà semplice. Seppur la tentazione di svoltare verso Oriente sia forte, le condizioni non sono più quelle di vent’anni fa. All’epoca il Brasile era sulla cresta dell’onda grazie all’export, inserito in un ciclo economico virtuoso da cui è uscito da un pezzo. Inoltre, le condizioni sociali della popolazione sono radicalmente cambiate, così come la sua collocazione politica. I brasiliani sono profondamente polarizzati, inclini alle manifestazioni di piazza (anche violente) ma meno intenzionati a inimicarsi gli americani, per legami sociali e religiosi, ma troppo legati economicamente alla Cina per restarle indifferente. Sospeso tra l’appoggio a Mosca e il fervente (e intermittente) anticomunismo, per il Brasile, nonostante il cambio della guardia al Planalto, i dossier sul tavolo si preannunciano di difficile risoluzione: costringeranno il futuro governo a perseguire una politica estera meno coerente dei proclami elettorali e più attinente alla difficile realtà brasiliana.

Donatello D’Andrea

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