Zingaretti PD
Fonte: tpi.it

«Vinciamo in Emilia Romagna e poi cambio tutto. Sciolgo il PD e lancio il nuovo partito»: queste le testuali parole del segretario nazionale del PD Nicola Zingaretti prima delle elezioni regionali. Ora, il primo pronostico si è avverato (la vittoria in Emilia Romagna); al secondo non sembra crederci nemmeno lui.

Da un’iniziale enfasi di sovvertimento totale della struttura interna ed esterna del Partito Democratico, tanto da presagirne perfino il cambio del nome, nei commenti post-elezioni ogni riferimento a partiti nuovi o nuovi partiti è puramente scomparso. A parte le pletoriche affermazioni, ovvero opere di auto-convincimento, “dobbiamo fare meglio”, “il PD deve rilanciarsi”, inviti su carta bollata a fare rivoluzioni interne, che ormai sono l’abitudinale ouverture dei discorsi di un piddino medio, niente di concreto o riformista si intravede nella fisionomia del PD.

Partendo da una anche malcelata aspettativa di sconfitta in Emilia Romagna, (aspettativa, in verità, generale) lo sbilanciamento riformista del segretario dem è apparso piuttosto come un mea culpa anticipato per applicare un cerotto a una ferita non ancora aperta. L’iniziale riformismo dopo le elezioni è ritornato ad adagiarsi sugli allori del conservatorismo. Il PD continuerà a voler includere movimenti civici, ma senza una pulizia interna e una linea d’azione seriamente di sinistra otterrà solo l’appellativo di Partito delle scissioni.

Del resto è dal 2016, ovvero dal naufragio della leadership di Renzi con tutta la scialuppa, che il Partito Democratico quasi quotidianamente promette esami di coscienza e analisi introspettive per riscoprirsi, riformarsi, risorgere. Cambiano i dirigenti ma non il contenuto e se la forma è garanzia di sostanza, basta vedere che in tre anni il partito ha cambiato quattro segretari e nemmeno mezza idea su come si possa governare un Paese.

Zingaretti fa bene a ringraziare le Sardine

Siamo onesti: in Emilia Romagna non ha vinto il PD, ha vinto Bonaccini. Ha vinto perché il 67,6% della popolazione si è recata alle urne e il 50,2% si è accorta che con un tasso di disoccupazione del 5% e il Pil pro capite più alto d’Italia in Emilia Romagna non si sta poi tanto male. Ha vinto il governatore uscente Bonaccini in una zona storicamente e fortemente caratterizzata da un’egemonia culturale di sinistra.

Ha vinto anche grazie alle Sardine che hanno contribuito a una campagna elettorale nemmeno troppo impegnativa, che ha portato la gente a votare contro Salvini e non per il PD; sostanziale differenza. A prescindere dal grado di simpatia, c’è da riconoscere l’effetto moltiplicatore delle Sardine, che hanno alzato l’asticella della partecipazione popolare a un diritto democratico quale quello di voto dal 37,7% delle Regionali 2014 a un 67,7% nel 2020.

Stando ai fatti è ovvio che Zingaretti voglia aprire alle Sardine e agli ecologisti: è l’unico modo per restare a galla, ma non altrettanto ovvio che questi desiderino le porte aperte. Mattia Santori, uno dei leader delle Sardine, ha appunto chiosato la proposta d’inclusione dicendo «Non siamo nati per stare sul palcoscenico, ci siamo saliti perché era giusto farlo. Ma ora è tempo di tornare a prendere contatto con la realtà e ristabilire le priorità. Se avessimo voluto fare carriera politica l’avremmo già fatto. E invece, prima di tutto, desideriamo tornare ad essere noi stessi, elettori e cittadini, parenti e amici» . Si chiude il sipario con un Santori mai stato più chiaro in vita sua.

Con un Movimento 5 stelle fuori fase, il bipolarismo partitico dall’asse Di Maio-Salvini passa a Zingaretti-Salvini e se il PD è uno dei poli di cui si preannuncia lo scioglimento, nel medio-lungo periodo rimarrà solo l’altro polo: il sovranismo populista della destra e il sistema di valori che un partito di sinistra dovrebbe innervare finirebbe invece in un buco nero.

Più che i meriti di Zingaretti, bisogna considerare i demeriti di Salvini

Stavolta in Emilia Romagna il quesito era Liberazione o Resistenza?, tuttavia, in virtù del welfare di cui gode la Regione, i cittadini proprio non hanno capito da cosa si dovessero liberare. Diverso discorso vale per la Calabria, afflitta da tanti cancri sociali e in cui la formula Salvini/centro-destra ha attecchito con un 50,9% a favore di Jole Santelli.

I baci ai salami, gli auguri di buona produzione alle galline di Berceto, la vergognosa citofonata del Scusi, lei spaccia? a casa di un tunisino, il digiuno, l’hashtag #oggivotoLega diventato virale su Twitter, le infinite violazioni del silenzio elettorale, le preghiere alla Madonna di Madjugorie, le tecniche di populismo becero stavolta non hanno funzionato. Salvini ha invaso tutte le piazze dell’Emilia, bisogna dirlo, non si è fermato un minuto. Ha trasformato queste regionali in una sfida nazionale, in un referendum su se stesso, oscurando anche l’immagine della sua candidata Borgonzoni sovraesponendo mediaticamente la sua faccia, e ha perso.

Salvini ha perso anche nella famigerata Bibbiano, il paesino su cui ha incentrato la sua propaganda elettorale: tuttavia l’offensiva della Lega sovranista non è stata avallata.

La bella favola utopica del PD nuovo ed unito

Nel 1947 e poi nel 1964 Sandro Pertini si arrabbiava con i socialdemocratici e poi con quelli del PSIUP gridando «Non solo queste scissioni tornano a danno del socialismo, ma anche del movimento operaio e del Paese! Con le scissioni abbiamo provocato la delusione del popolo italiano, sicché tutti ora ci guardano con diffidenza. Noi socialisti, quando non sappiamo cosa combinare, ci dividiamo. Se domani tre socialisti finiscono naufraghi in un’isola deserta, sa cosa fanno? Prima issano un cencio bianco perché una nave li veda, poi strappano il cencio in tre parti e formano tre correnti del Partito Socialista. Una maledizione, da cosa viene tale maledizione io non lo so. Forse da una radice anarchica. Un po’ da Bakunin c’è, senza dubbio. I miei compagni non vogliono che lo dica ma, se non siamo un po’ anarchici, siamo troppo individualisti» .

Il socialismo è passato, l’individualismo, le fratture interne, l’attitudine a formare partiti nei partiti a sinistra è rimasta, così come la voglia di dividersi dalle persone ma senza nuove idee.

Per cui la domanda è: Zingaretti vuole sciogliere il PD per costruire cosa esattamente?

Melissa Bonafiglia

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