violenza sulle donne problema culturale
Fonte foto: Lindsey LaMont on Unsplash

Inauguriamo un altro anno, entrando ufficialmente nel 2022, ma gli ultimi report disponibili sulla violenza sulle donne presentano dati tutt’altro che confortanti: si tratta un problema culturale reale. Le violenze domestiche durante la pandemia sono aumentate e l’Italia continua a trattare il tema della violenza sulle donne come un dibattito sul singolo caso giudiziario.

Openpolis in collaborazione con “Con I Bambini” cura un osservatorio sulla povertà educativa nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Dal loro ultimo report sulla violenza sulle donne emerge che spesso ci si dimentica delle ripercussioni sugli orfani dei crimini domestici. Il report realizzato da Openpolis prende in considerazione i dati raccolti da EIGE (European Institute for Gender Equality), ISTAT e dai centri antiviolenza (CAV).

La situazione che emerge è tutt’altro che rassicurante, ed assume la forma di un endemico problema culturale: nel marzo del 2020 è stato registrato un aumento del 22% delle telefonate al 1522 rispetto allo stesso mese dell’anno precedente; 111 è il numero degli omicidi con vittime delle donne nel 2019, il 91% dei quali è classificabile come femminicidio.

Il femminicidio, infatti, non è un semplice omicidio in cui a essere vittima è una donna, ma è una fattispecie specifica che prende in considerazione la discriminazione di genere sottesa all’atto criminoso. Una delle definizioni più adottate è infatti proprio quella proposta dall’EIGE che definisce “il femminicidio come un atto compiuto da un partner intimo della donna, dove per partner intimo si intende il fatto che l’autore condivida la stessa residenza con la donna vittima della violenza”.

Proprio l’EIGE nel suo ultimo report mette in evidenza come sia aumentato durante questi anni di pandemia il rischio di violenze intime. In Italia nei mesi tra marzo e giugno del 2020 sono stati riferiti 1673 episodi in più rispetto al 2019 e già in quest’anno il numero di omicidi volontari in cui la vittima è stata una donna è pari a 38. Tra questi omicidi volontari, 34 sono riconducibili ad un omicidio compiuto in ambito familiare e in 25 di questi casi l’omicida è stato il partner o l’ex partner.

Come si evince dal report Openpolis, tra marzo e giugno 2020 le chiamate al 1522 sono state 15.280 e nel periodo del lockdown ci sono state mediamente più di 100 chiamate al giorno. Il 76% delle donne dichiara di non aver denunciato la violenza subita e l’83% dichiara di non aver denunciato quando l’autore della violenza è stato il partner attuale.

Considerando i dati a livello regionale: Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio, Sicilia, Veneto e Puglia sono le regioni in cui l’aumento degli omicidi nei confronti delle donne sono aumentati nel 2019 se si rapporta il numero di omicidi al tasso di popolazione regionale.

Ci sono altri due aspetti della violenza sulle donne da considerare e hanno a che fare con le ripercussioni che contesti di violenza possono generare sui figli. C’è stato, infatti, un aumento dell’86% di figli che hanno assistito a violenze in famiglia tra marzo e giugno 2019 e lo stesso periodo del 2020 e più della metà dichiara di aver provato sensazioni di ansia e paura in quei momenti di violenza.

Per gli orfani di crimini domestici il decreto ministeriale 71/2020 regolamenta ancora meglio le misure di sostegno agli orfani di crimini domestici e di reati di genere, in particolare mettendo a disposizione borse di studio e gratuità della frequenza di istituzioni democratiche.

Un altro aspetto della violenza domestica e sulle donne, inoltre, è quello che riguarda il ritorno delle vittime nella casa dell’uomo violento. Può succedere infatti che le donne vittime di violenza decidano poi di compiere questo passo. Il 5,6% delle donne che non hanno denunciato le violenze hanno infatti dichiarato come motivazione principale il ritorno a casa dal maltrattante.

I motivi per cui le donne vittime di violenze decidono di compiere questo passo ci sono illustrati da un’indagine dell’Istat del 2014 che tra le principali motivazioni riporta: il 38% ha indicato come motivazione la promessa di cambiamento, il 30% ha affermato di avergli voluto dare una seconda possibilità e il 5% ha infine dichiarato che la separazione era oggetto di vergogna e proprio quest’ultimo dato ci dà la dimensione di quanto sia la dimensione culturale ad essere determinante in molti casi, quella che fa provare alle donne vergogna anche quando sono le vittime.

Sabrina Carnemolla

Sabrina Carnemolla
Studio Comunicazione Pubblica e Politica a Torino dopo la laurea triennale in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali conseguita a Napoli, la mia città. Un po' polemica per natura, nel tempo libero affronto la dura vita di una fuorisede.

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