Ieri per la Colombia è stato un giorno importante, che ha segnato il suo futuro: i cittadini colombiani sono stati chiamati ad esprimersi, infatti, sull’accordo che il presidente Juan Manuel Santos aveva siglato con le FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) nella scorsa settimana.

L’accordo di pace è arrivato dopo cinquantadue anni di lotta, in cui forze governative e forze ribelli hanno contato numerose vittime, e quattro anni di negoziati all’Havana. Non per nulla, la notizia è stata accolta con grande gioia dal popolo colombiano, che ha manifestato la sua approvazione nelle piazze immediatamente dopo l’annuncio. La maggior parte dei colombiani, infatti, ha avuto esperienza diretta – o ha conosciuto persone che l’hanno avuta – di rapimenti, uccisioni, bombe, vivendo in un clima di persistente insicurezza.

A poche ore dalle votazioni, arrivano i risultati. L’esito è inaspettatamente negativo. I colombiani hanno rigettato l’accordo.

Contro tutti i sondaggi, che parlavano di due terzi della popolazione favorevoli, il 50.2% ha votato contro, mentre il 49.8% si è dichiarato favorevole. Si tratta di differenze percentuali minime e che eppure segneranno la storia del paese, facendo rimbalzare ancora più lontano il sogno della pace.

Per cosa hanno votato, in poche parole, ieri in Colombia? Le parole chiave sono tre: riforma agraria, azione congiunta contro il narcotraffico e reinserimento degli ex-ribelli nel tessuto sociale dello Stato. La prima riguarda direttamente le Forze Armate della Colombia, in quanto il movimento è nato proprio da esperienze di auto-organizzazione agraria. Il narcotraffico, poi, era diventato un modo per autofinanziarsi e il ruolo delle FARC può rivelarsi decisivo per sconfiggerlo. Infine, la riabilitazione dei guerriglieri mira a non escludere dalla vita sociale e politica persone che per lunghi anni hanno vissuto una vita al di fuori delle regole.

Chi ha votato per il sì è chi ha seguito la linea della “pace come bene superiore” e necessario per la crescita e lo sviluppo democratico del paese. Gli Stati Uniti e l’Europa in generale hanno approvato e incoraggiato l’operazione del presidente Santos. Ma a sostenere questa intesa c’è stato anche chi ha subito direttamente le azioni della guerriglia delle FARC. Fra questi, Sigfrido Lopez è stato rapito e tenuto in ostaggio per sette anni, assieme ad altri undici colleghi che poi ha visto morire in circostanze non molto chiare. «Io voto per il sì perché i bambini nati oggi meritano di vivere in un paese migliore», aveva dichiarato con convinzione, «Votare sì è un atto di responsabilità nei confronti delle nuove generazioni per dare loro un paese che ha superato il conflitto».

Dall’altra parte, però, c’è stato un fronte che fino all’ultima ora si è battuto per non accettare l’accordo e che ha dato i suoi frutti. Questo fronte è capeggiato dall’ex presidente Álvaro Uribe Vélez, il cui padre è morto per mano delle FARC e che in recenti interviste ha affermato: «A questo gruppo terroristico danno anche l’impunità e la legittimità politica a tutti i suoi membri, inclusi quelli responsabili dei massacri, degli attacchi più duri e dei crimini contro l’umanità». In effetti, le maggiori critiche che i cittadini contrari all’accordo hanno portato avanti erano proprie queste: quelle di lasciare i reati passati nell’impunità più totale.

«Non mi arrenderò. Continuerò a cercare la pace fino all’ultimo momento del mio mandato», dichiara il presidente Santos dopo lo spoglio referendario. Infatti, le FARC sono già riconvocate a Cuba per discutere ancora su un nuovo, possibile accordo. Anche Timochenko, il leader delle FARC che ha guidato i negoziati dalla parte dei ribelli, si dichiara volenteroso, nonostante l’esito negativo: «Le FARC confermano la loro inclinazione a usare solo parole come armi per costruire il futuro» e poi «La pace trionferà».

Resta da vedere come. Da una parte, le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia si sono dimostrate, e si dimostrano tuttora, disponibili al dialogo. Dall’altra, però, numerosi cittadini chiedono giustizia. «Io ho votato no. Non volevo insegnare ai miei figli che ogni cosa può essere perdonata» ha dichiarato Alessandro Jaramillo ad Al Jazeera. E in effetti è proprio questo, a parere del “fronte del no”, il punto debole della riforma: i tribunali speciali non bastano. Si chiede una giustizia non temporanea, ma duratura. Una linea, insomma, che non concede sconti a chi ha militato nelle fila dei guerriglieri.

D’altra parte, ciò che preme di più al presidente e ai cittadini della Colombia è essere certi che la violenza – da qualsiasi lato provenga – venga messa da parte. Perché la pace è il primo e più importante investimento sul futuro di un paese.

Elisabetta Elia

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