L'architettura rinnovata: Napoli tra Barocco e Rococò

Il volto di Napoli ha da sempre quel fascino plurivalente che soddisferebbe tutti i gusti: estro e semplicità si mescolano per creare la nota ambiguità che caratterizza l’aspetto e l’anima di Partenope.

Molto di ciò che è possibile ammirare oggi affonda le sue radici nel XVI secolo, quando la Spagna ebbe la meglio sulla Francia e conquistò il dominio del regno delle due Sicilie. Nel 1503 iniziò il viceregno spagnolo a Napoli, avviando una crescita smisurata che stravolse la fisionomia urbana della città e che culminò con la costruzione di Via Toledo, ai cui margini sorgevano i grandi palazzi aristocratici, e dei quartieri spagnoli, che si estesero fino al Settecento, nati per ospitare le truppe e posizionati di fronte alle abitazioni nobiliari.
Grazie all’impulso dei Gesuiti e dei viceré spagnoli, il Barocco dilagò a Napoli in quanto arte che ben si prestava ad incarnare lo spirito profondo della città, con la sua esuberanza, gli eccessi, la caoticità che,
complice il clima mite e soleggiato, si colorava dei toni della natura in fiore, caratteristica peculiare che distingue il Barocco nostrano da quello romano ed europeo.
La bellezza dello stile raggiunge i picchi in piccole costruzioni come la Chiesa di San Giacomo degli Spagnoli, dov’è conservato il monumento funebre di Don Pedro de Toledo, ma soprattutto nella celebre Cappella Sansevero, che custodisce il Cristo Velato, scolpito da Giuseppe Sammartino su commissione di Raimondo di Sangro.

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Il Cristo Velato


Il fascino del Barocco napoletano richiamò artisti da ogni parte d’Italia: tra tutti, l’architetto bergamasco Cosimo Fanzago che rinnovò la Certosa di San Martino, firmandola con la sua marca stilistica (è anche l’autore delle guglie di Palazzo donn’Anna, della Basilica di San Domenico e di San Gennaro): la doppia scalinata che si apre sul cortile oppure conduce ad una terrazza, sfruttando anche in questo caso la benevolenza climatica del luogo.

È questo il picco dello stile barocco, diffusosi in Italia prima a Roma e poi a Napoli, che destò l’attenzione della critica internazionale soltanto nel XX secolo, con la pubblicazione del volume Architettura barocca e rococò a Napoli di Anthony Blunt, che riassume la storia del Barocco napoletano dalle origini fino all’avvento di personaggi del calibro di Luigi Vanvitelli. L’originalità di questo scritto sta nell’individuazione di una corrispondenza tra la forma del dolce natalizio, il rococò, e l’architettura napoletana, diversa rispetto a quella del resto dell’Italia. A partire dal ‘700, infatti, lo stile Rococò rivoluzionò la facciata della quasi totalità degli edifici del centro storico, estremizzando lo stile barocco napoletano, che lo aveva già anticipato di qualche anno. Tardo Barocco e Rococò si intersecarono e si affiancarono a lungo, pur esprimendo due diverse concezioni della realtà.

Il termine rococò deriva dal francese rocaille, che significa “roccia”; obiettivo principale dello stile era infatti rivoluzionare gli oggetti e le opere d’arte in base alla loro conformazione orografica. Gli interni, invece, furono rivisitati mediante l’uso intensivo del marmo policromo, di grate lignee, cancelli in ottone, acquasantiere e soprattutto nuove ruote claustrali. Un cambiamento investì anche l’architettura sacra, con l’aumento di foglie e frutta nelle decorazioni che vanno ad aggiungere una nota leggera allo stile Quattrocentesco e Cinquecentesco, intensificando ed esplicitando il rapporto con la natura. Tra gli esponenti minori ma intensamente attivi a Napoli durante il maturo Settecento ricordiamo Giuseppe Astarita, Ignazio Stile, Giuseppe Pollio e Gaetano Barba, al quale va attribuita la collaborazione nella costruzione della chiesa della Trinità dei Pellegrini alla Pignasecca nel 1791, storico quartiere che faceva parte della tenuta della famiglia Pignatelli di Monteleone, la quale sovvenzionò la costruzione dell’edificio e dell’omonimo ospedale, nato per ospitare bisognosi e pellegrini in visita a Napoli. Nello stesso quartiere troviamo anche uno dei palazzi monumentali più famosi di Napoli, Palazzo Spinelli di Tarsia, situato nell’omonima piazzetta, la cui costruzione fu voluta da Ferdinando Vincenzo Spinelli, principe di Tarsia, e realizzata su progetto di uno degli architetti napoletani più in voga nel Settecento, Domenico Antonio Vaccaro.

Nella via parallela alla Pignasecca, via San Liborio, troviamo un altro edificio monumentale risalente alla stessa fase, che rappresenta un altro picco dell’architettura civile settecentesca: Palazzo Trabucco, strutturato su cinque livelli e arredato con sgargianti decorazioni in marmo e stucchi del Barocco napoletano che ornano le strutture portanti, come le colonne e le lesene. Come molti altri edifici di Napoli, anche la struttura di palazzo Trabucco presenta lo schema portale-vestibolo-cortile,alla cui fine si trova la stupenda scala aperta, con i tre archi eretti sulle rampe, mentre i quattro pilastri della scala e la sua facciata sono fregiati con elementi floreali e naturali, che richiamano la tendenza naturalistica del movimento artistico napoletano.  Alla metà del XVIII secolo, il connubio tra Barocco e Rococò lascerà infine spazio all’architettura di stampo neoclassico.

Dall’architettura e la scultura alla tradizione, barocco è anche il presepe per come ci appare oggi: dal Seicento in poi alla sola grotta della Natività si aggiunsero le altre attività (mercanti, pescatori, lavandaie, pastori) che sono poi diventate parte integrante di un simbolo partenopeo a metà tra il sacro e il profano.

Uno stile che sembra colpire il visitatore per quel disordine eccentrico che appartiene all’anima di Napoli: un disordine che, come suggerito da Blunt, richiede uno sguardo capace di andare oltre, a scoprire le regole e le leggi nascoste dall’oro sgargiante che attribuiscono al caos un ordine tutto suo.

Sonia Zeno

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