“T’accumpagn vic vic sul a te ca sì n’amic
e te port pe’ quartier addò o sole nun s’
vere
ma s’ ver tutt’o riest e s’arapn e’ fenest
e capise cumm è bell a’ città e’
Pullecenella”
Stradine strette che si incrociano, tutte simili e nessuna uguale all’altra. Sotto un cielo di panni stesi e brevi squarci d’azzurro, che profuma di pulito, di cucine, di caffè, di vita vissuta, le donne chiacchierano dai balconi, sedute fuori ai “bassi”, i ragazzini scorrazzano sui motorini spensierati e ignari dei pericoli, i venditori diventano banditori e, come nella Spagna del ‘500, gridano le loro merci, le finestre sempre aperte fanno sì che tutti ascoltino la stessa musica, le stesse voci.
Ci inoltriamo oggi nel cuore di Napoli, in una delle zone più discusse e, al contempo, più caratterizzanti della nostra città: i quartieri Avvocata, Montecalvario e San Ferdinando, meglio noti come “Quartieri Spagnoli”.
Situati nella parte storica di Napoli, tra via Toledo e il corso Vittorio Emanuele, i Quartieri Spagnoli” nascono nel XVI secolo su iniziativa del vicerè di Napoli, don Pedro da Toledo, da cui la suddetta strada prende il nome. Egli, intorno al 1536, decise la costituzione di uno spazio destinato all’accoglienza delle milizie spagnole incaricate di soggiogare eventuali rivolte e delle guarnigioni che facevano tappa a Napoli, prima di raggiungere le destinazioni di guerra. Il progetto urbanistico fu affidato nelle mani dell’architetto Ferdinando Manlio, che ideò una griglia di vicoli stretti e bui, non più larghi di 5 metri, ai cui margini vennero poste le abitazioni destinate ai soldati : sono i tipici bassi napoletani, monolocali che si affacciano sulla strada nei quali oggi vivono talvolta intere famiglie.
Sin dall’origine, i Quartieri fecero da sfondo allo sviluppo di fenomeni di criminalità e di prostituzione, che li trasformarono in un luogo noto per il degrado e la pericolosità. I soldati, infatti, alla ricerca di svago, erano soliti abbandonarsi ad ogni genere di eccesso, rendendosi spesso autori di abusi e delitti. Vani furono i provvedimenti emanati da don Pedro da Toledo volti a sconfiggere la criminalità e la zona è a lungo rimasta, e per certi versi rimane, una delle aree più difficili del partenopeo.
Tuttavia, la passeggiata nei “Quartieri” è d’obbligo per i turisti della nostra città. Si tratta di un museo a cielo aperto, custode di antiche tradizioni, del folklore partenopeo. E che, recentemente, si è colorato dei disegni della Street-art. Parliamo dei 200 e più lavori di Cyop e Kaf, che illuminano le mura malconce e le porte delle case dei Quartieri:
“e quando il primo passante, vedendomi operare (è chirurgia la pittura, l’ho già scritto), si è fatto avanti e mi ha chiesto di dipingere anche la porta del suo basso, inconsapevolmente ha messo in moto una reazione a catena che, come la biglia di un flipper mi ha catapultato da un muro all’altro, di basso in basso, garage dopo garage, per soddisfare le richieste di quanti (tanti, troppi per le mie sole forze) mi chiedevano un dipinto anche per loro.”
Tra le mura dipinte, spicca il murales di Maradona, realizzato nel 1990 in occasione del secondo scudetto vinto dal Napoli e restaurato nel 2016 grazie al lavoro di Salvatore Iodice e ai 1.000€ raccolti dagli abitanti dei Quartieri: perché l’amore per (il) Napoli da queste parti è una sorta di religione.
Negli ultimi anni, inoltre, i Quartieri respirano aria di cambiamento. Dal 2013, infatti, è stato avviato FOQUS (Fondazione Quartieri Spagnoli): si tratta di un progetto che promuove l’(auto)imprenditoria, le nuove professioni altamente qualificate, la nascita di istituzioni pubbliche e private. Nato in un luogo abbandonato e vuoto, FOQUS incoraggia la trasformazione, il progresso, la mobilità sociale. Un’iniziativa non monotematica, che si prende cura della persona, dai suoi primi anni di vita fino all’età adulta. Il progetto è sostenuto esclusivamente da fondi privati: pertanto, oltre a produrre nuovi posti di lavoro e nuove attività formative, incrementa anche le relazioni sociali tra singoli, costituendo un esempio di grande umanità.
Insomma, un passaggio obbligatorio per i turisti, un luogo che non smette di stupire i napoletani stessi, per i suoi colori, per il continuo vociare, le finestre sempre aperte sembrano quasi invitare i passanti a guardarci dentro, la segnaletica stradale fai-da-te con cartoncini e pennarelli, il confine quasi invisibile tra spazio pubblico e spazio privato. Una “matrioska urbana” che, nella confusione labirintica, affascina e dimentica le problematiche che la affliggono da secoli. Una zona bellissima e difficile, allegra e triste, che parla a voce alta e soffre in silenzio, che mostra ai passanti la sua luce e tiene per sé il buio. Semplicemente contradditoria, come Napoli.
Sonia Zeno