Bonafede, Covid-19
Ministro Bonafede al Senato. Fonte: Corriere.it

Per Alfonso Bonafede, un tempo noto come Dj Fofò, ormai sono lontani i tempi spensierati in cui faceva scatenare folle di ragazzi all'”Extasy” di Mazara del Vallo. Oggi a scatenarsi, ma per motivi ben diversi, sono i cittadini italiani che s’interrogano sull’operato di Bonafede: riforma della prescrizione, amministrazione delle carceri durante la pandemia da Covid-19 e caso Di Matteo, tutto sfociato in una mozione di sfiducia andata a buon fine per il Ministro.

Veniamo alla riforma della prescrizione, cavallo di battaglia della propaganda pentastellata. Una riforma, quella griffata Bonafede, che pone non pochi interrogativi riguardo la durata del processo, che dovrebbe garantire – nell’idea di fondo – una “verità processuale” in tempi rapidi. Insomma, verrebbe quasi da dire che bisogna difendersi dal processo, piuttosto che nel processo. Tuttavia ciò che sembra dimenticare Bonafede è il principio disciplinato all’articolo 111 della Costituzione e all’articolo 6 della CEDU a proposito della “ragionevole durata del processo”. E non solo: altre garanzie costituzionali sembrano essere violate da questa controversa riforma, come l’art. 27 Cost., che guarda alle pene come una “sanzione rieducativa del condannato”. E allora, ad esempio, se si dovesse arrivare alla condanna dopo 10 anni dall’inizio del processo perché si è bloccata la prescrizione, la pena conserverebbe la sua funzione educativa?

Per ciò che riguarda l’amministrazione delle carceri durante l’emergenza Covid-19, ci sono due aspetti da dover analizzare: il primo attiene ai domiciliari consentiti ai detenuti sotto il regime del 41bis e in alta sicurezza rispetto al quale Bonafede, in audizione in commissione antimafia, ha dichiarato che il numero dei detenuti scarcerati è di 256. L’inevitabile conseguenza di questa scelta ha portato alle dimissioni del capo del DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) Francesco Basentini. Le critiche non si sono fatte attendere, infatti il Ministro è corso subito ai ripari con un decreto che consente di rivalutare, alla luce del mutato quadro sanitario, con diversa situazione, la disponibilità delle strutture penitenziarie e ospedaliere ribadendo che «La mafia mina le fondamenta della democrazia del nostro paese e dobbiamo mettercela tutta affinché la giustizia faccia sempre il suo corso, fino all’ultimo».

Il secondo aspetto riguarda la diffusione della Covid-19 all’interno delle carceri: il primo decesso dovuto al virus registrato in un penitenziario risale al 2 aprile nel carcere della “Dozza” a Bologna. inoltre, secondo il Garante Nazionale dei privati di libertà, al primo maggio sono stati registrati 159 casi di Covid-19 tra i detenuti, e 215 tra il personale penitenziario. Questi i dati rilevati e accertati, ma potrebbero essere molti di più. Tutto ciò si inserisce in un quadro già complicato, quelle delle carceri e del sovraffollamento che vide l’Italia, per questo motivo, essere condannata nel 2013 dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Infine, il “caso Di Matteo”, che ha visto quest’ultimo accusare con un certo clamore proprio il Ministro della Giustizia, sostenendo che due anni fa gli negò una promozione dopo le lamentele di alcuni boss mafiosi. Proprio Di Matteo ha affermato, durante la trasmissione televisiva “Non è l’Arena” su La7: «Nel giugno del 2018 […] venni raggiunto da una telefonata del ministro Bonafede, il quale mi chiese se ero disponibile ad accettare il ruolo di capo del DAP o in alternativa quello di direttore generale degli Affari penali. Chiesi 48 ore di tempo per dare una risposta. Nel frattempo alcune note informazioni che il gruppo operativo mobile (GOM) della polizia penitenziaria aveva trasmesso alla procura nazionale antimafia, ma anche alla direzione del DAP, e quindi penso fossero conosciute dal ministro, avevano descritto la reazione di importantissimi capimafia, legati anche a Giuseppe Graviano e altri stragisti, all’indiscrezione che potessi essere nominato capo del DAP. Quei capimafia dicevano: “se nominano Di Matteo è la fine”».

Sempre Di Matteo racconta che, sentitosi con Bonafede, quest’ultimo nei giorni successivi avrebbe cambiato idea offrendo al magistrato un altro ruolo, quello che in gergo viene definito direttore agli affari penali, che lo stesso magistrato avrebbe poi rifiutato. Bonafede, alla fine, replica respingendo le accuse di aver preso una decisione perché condizionato da un gruppo di mafiosi. Un teatrino non degno di un Ministro della Repubblica italiana che oggettivamente rimane inadeguato al ruolo che ricopre.

Visto l’operato di Bonafede il 20 maggio sono state presentate due mozioni di sfiducia nei suoi confronti, una da parte di Più Europa a carattere più generale, sul versante populista e giustizialista del Ministro, e quella presentata dal centrodestra, circoscritta alle scarcerazioni durante l’emergenza da Covid-19, entrambe respinte. Decisivo, in questo frangente, è stato il voto contrario di Italia Viva, proprio di quel Renzi che non ha mai avuto una certa sintonia con il M5S e in particolare con Bonafede. C’è chi fa dietrologia affermando che Renzi abbia chiesto qualcosa in cambio al Governo, ma si può fantasticare di tutto. Bonafede, nel discorso in Senato, difende comunque il suo operato. «Mai spalancato le porte delle carceri». Ma rimane un Ministro che appare oggettivamente inadeguato.

Gaetano Manzari

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