L’anno scorso il primo Governo Conte, su proposta del ministro della Giustizia Bonafede, ha approvato la Legge n. 3 del 2019 (la cosiddetta legge “spazzacorrotti”). Fra le modifiche al codice penale che dovrebbe entrare in vigore il 1° gennaio prossimo c’è quella dell’art. 159. La riforma prevede la sospensione del corso della prescrizione “dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna“.
Bisogna premettere che la prescrizione è una causa di estinzione del reato: in sintesi, decorso un certo lasso di tempo dalla commissione di un delitto viene meno l’interesse della giustizia a perseguirlo. Più grave è il reato, maggiore è l’intervallo di tempo perché cada in prescrizione. Ci sono poi delle cause sospensive e interruttive della prescrizione, che fanno sì che il periodo di tempo utile per l’estinzione di un reato si allunghi.
Dire che una sentenza di primo grado sospende la prescrizione significa che il termine viene “congelato”.
Quindi, stando alla riforma voluta dal ministro Bonafede, a prescindere se un soggetto venga condannato o assolto in primo grado, il termine di prescrizione si “blocca” finché la sentenza non diventa esecutiva. Considerando che nel sistema penale italiano una sentenza diventa esecutiva una volta esauriti tutti i mezzi ordinari d’impugnazione, la nuova riforma prevede che la prescrizione sia sospesa fino a una pronuncia definitiva della Corte di Cassazione.
L’isolamento politico del M5S sulla riforma della prescrizione
Sul tema della prescrizione si è aperta un’aspra bagarre politica, peraltro iniziata già durante il precedente Governo. Il problema centrale – portato avanti sia dal centrosinistra (PD e Italia Viva) che da destra (Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia) – è che la modifica della prescrizione non sarebbe accompagnata da interventi strutturali sul procedimento penale che lo snelliscano e consentano una durata ragionevole dei processi.
Il M5S, promotore della riforma, è granitico nel difenderla insieme al premier Conte. Bonafede è convinto che la riforma impedirà agli imputati di abusare dei meccanismi processuali per allungare i tempi del procedimento e, in questo modo, far decorrere il periodo di prescrizione. Forza Italia, tramite il deputato Enrico Costa, ha proposto un progetto di legge che rinviasse l’entrata in vigore della riforma; un atto in un primo momento avallato da Italia Viva, che però ha fatto retromarcia dopo un incontro sul tema col premier. La proposta è caduta il 3 dicembre scorso, proprio grazie all’astensione di Italia Viva e ai voti contrari del PD. Quest’ultimo vorrebbe presentare a breve una sua proposta di riforma.
La riforma secondo gli addetti ai lavori
Oltre al pressing politico, la riforma della prescrizione voluta da Bonafede è fortemente criticata anche nel mondo giuridico. Specie perché non interviene sul problema centrale della giustizia italiana, ossia l’eccessiva durata dei processi, e anzi lo aggrava. Secondo molti avvocati il decorso della prescrizione è l’unico baluardo in grado di mettere la parola “fine” a un processo. In una recente intervista Giandomenico Caiazza, presidente dell’UCPI (Unione delle Camere Penali Italiane) ha sottolineato che «la riforma va a minare un principio di civiltà […] che un cittadino non debba e non possa essere in balia della giustizia penale per un tempo indefinito».
Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica di Catanzaro, ha sottolineato in diverse recenti interviste radio e televisive che la riforma della prescrizione «non è la soluzione del problema» e che, anzi, se i processi fossero più brevi non avrebbe ragione di esistere. Ha aggiunto che sarebbe necessaria una modifica sistematica del processo penale, proponendo un’informatizzazione totale della giustizia e un incremento d’organico dei magistrati.
In effetti l’estinzione di un reato per prescrizione rappresenta sempre un fallimento della giustizia. Se un reato si prescrive evidentemente non si è riuscito a statuire in tempi ragionevoli sull’innocenza/colpevolezza di un imputato, ad “attribuire a ciascuno il suo“, che è uno dei principi cardine del diritto. C’è da aggiungere il problema sottolineato da Caiazza, ossia che sospendendosi il corso della prescrizione c’è il rischio che una persona rimanga sotto processo a tempo indeterminato (ed ecco spiegato il tormentone del momento “fine processo mai“).
Eppure con questa riforma l’Italia si allineerebbe col resto dei Paesi Europei. Sia in Francia che in Germania, ad esempio, la prescrizione si interrompe nel momento in cui inizia il procedimento penale, quindi nella sostanza è impossibile che un reato si estingua. Ma in questi sistemi i processi hanno una durata ragionevole, a differenza di quello italiano. Infatti le cause penali in Italia durano in media 3 anni e 9 mesi, considerando tutti i tre gradi di giudizio. Se il dato sembra essere buono, specie paragonandolo alla durata delle cause civili – con una media di 8 anni –, il raffronto con gli altri Paesi europei rende il sistema italiano il peggiore. Infatti la media dei Paesi membri del Consiglio d’Europa per i processi penali è di poco più di un anno.
Prescrizione o processi troppo lunghi: qual è il vero problema
La delicatezza delle questioni che porta con sé un processo penale rende necessario che la sua durata sia ragionevole. Al suo interno vengono in gioco la libertà personale dell’imputato e lo stigma sociale che si trascina dalle indagini al processo, e molto spesso il coinvolgimento fisico ed emotivo delle persone offese. Garantire tempi celeri in un procedimento penale significa da un lato rendere una giustizia effettiva, perché le fasi delle indagini e del dibattimento sono molto più vicine nel tempo al fatto di reato commesso. Questo consente una miglior raccolta delle prove, ma anche una “genuinità” di quelle stesse prove davanti al giudice chiamato a valutarle nel processo vero e proprio. Dall’altro lato una durata ragionevole del processo consente a un soggetto imputato che la sua posizione sia “risolta” in tempi brevi, a prescindere da una condanna o da un’assoluzione.
In sintesi, sembra che per la maggioranza di coloro che con la giustizia si relazionano ogni giorno la prescrizione sia un problema “a valle“. La sospensione del suo corso per un tempo indefinito, come vorrebbe la riforma Bonafede, non sarebbe una soluzione ai processi troppo lunghi. Anzi, se la loro durata fosse ragionevole, non avrebbe nemmeno ragione di scattare.
A lato della prescrizione servirebbe quindi una riforma molto più strutturata rispetto a quella proposta da Bonafede, che preveda meccanismi in grado di ridurre la durata dei processi. Si parla da tempo di un potenziamento dei riti alternativi a quello ordinario – il patteggiamento, il rito abbreviato – accanto a una seria depenalizzazione. Ma anche che i tribunali siano pieni di scartoffie è un fattore di rallentamento non indifferente, per cui sarebbe anche il caso di dare un definitivo via libera, come proposto da ultimo dal Procuratore Gratteri, a un’informatizzazione “a tappeto” degli atti del processo e del sistema di notifiche fra Procure e indagati.
Raffaella Tallarico