Bakayoko razzismo istituzionale

Lo scorso 3 luglio, il centrocampista francese Tiémoué Bakayoko è stato fermato da una pattuglia di poliziotti a Milano. Il giocatore del Milan e l’altro passeggero a bordo della vettura sono stati perquisiti a causa di uno scambio di persona, ovvero per due persone di origine nordafricana sospettate di avere scatenato una rissa in città. Il mediano è stato così costretto a scendere con le pistole puntate al volto e sottoposto a perquisizione in mezzo alla strada. Il calciatore è stato immobilizzato per diversi minuti, fino a quando gli agenti non hanno capito di chi si trattasse.

Ripresa la scena da un passante, nel momento in cui il video è stato messo su internet, le immagini della perquisizione hanno fatto molto discutere per le motivazioni del fermo e per le maniere alquanto violente utilizzate dalla polizia. Ad accusare la pattuglia della polizia di razzismo è stato lo stesso centrocampista, che attraverso un video su Instagram ha affermato che gli agenti, comportandosi in quel modo, avevano messo lui e il suo amico in pericolo. Nel video Bakayoko si mostra incredulo rispetto alle ragioni del fermo, dato che non erano state fornite agli agenti indicazioni precise riguardo ai sospettati. Del resto, rimanendo a quanto dichiarato dalla stessa questura, le forze dell’ordine erano alla ricerca di due persone di origine nordafricane che viaggiavano su un SUV, di cui una con indosso una maglietta verde.

Pertanto, è dovuta intervenire la Questura di Milano, che attraverso un comunicato ha cercato di fare chiarezza un merito alla vicenda: «Con riferimento al video diffuso in data odierna – specifica la Questura di Milano nella nota -, relativo a un controllo effettuato da un equipaggio dell’UPGSP (le volanti, ndr) a carico del giocatore del Milan Bakayoko, si rappresenta che lo stesso, occorso in un contesto operativo che giustificava l’adozione delle più elevate misure di sicurezza anche in funzione di autotutela, si è svolto con modalità assolutamente coerenti rispetto al tipo di allarme in atto. Identificata la persona e chiarita la sua estraneità ai fatti per cui si procedeva, il servizio è ripreso regolarmente senza alcun tipo di rilievo da parte dell’interessato».

La questura ha difeso la pattuglia dichiarando che gli agenti sono intervenuti seguendo la prassi, sostenendo così che le accuse di razzismo erano fuori luogo. Ha affermato che Bakayoko e il suo amico corrispondevano per caso alla descrizione, ma in realtà non esisteva alcuna ricostruzione dettagliata dei tratti fisionomici degli autori del presunto reato. Questo comportamento della polizia ha comunque indotto l’unità italiana di Amnesty International a parlare di profilazione etnica. Sospettare un individuo quando l’unico o il principale motivo per farlo è l’origine etnica o la religione equivale infatti a commettere una discriminazione diretta nei suoi confronti.

Nel suo comunicato, la celebre Organizzazione non governativa spiega che: «La profilazione etnica è la pratica che prende di mira individui o gruppi specifici in base alle loro caratteristiche senza un motivo obiettivamente giustificato, partendo da un presupposto generalizzato del loro coinvolgimento in attività criminali, spesso senza alcun reato specifico ancora da indagare: una sorta di “minacciosità preventiva” basata sul pregiudizio». La profilazione etnica viene perciò commessa dal senso comune nei confronti delle persone appartenenti alla comunità nera, ovvero da percezioni negative interiorizzate che contribuiscono in larga parte a relegarle le soggettività nere ai margini della società, il più delle volte senza una completa consapevolezza.

In ogni caso, più grave della vicenda in questione è la sua negazione da parte delle istituzioni. Le pratiche di profilazione etnica non sono infatti solo una percezione delle persone o dei gruppi coinvolti, ma sono incorporate nelle leggi e nei regolamenti della nostra società. Ne consegue che Bakayoko è stato vittima di razzismo istituzionale, cioè dell’esistenza di norme e consuetudini previste dalle istituzioni, che pongono le minoranze razziali ed etniche in una posizione di svantaggio rispetto alla maggioranza razziale o etnica di una data società. La forza del razzismo istituzionale è difficilmente percepibile poiché sta dentro il funzionamento di istituzioni rispettate all’interno della società, quindi riceve una condanna pubblica molto inferiore rispetto al razzismo individuale.

L’avversione che si riscontra quando si parla di razzismo istituzionale non ci permette di risalire alle sue cause e alla formulazione di possibili soluzioni. Negare il problema non aiuta infatti a risolverlo, ma contrariamente a ripeterlo nel tempo. Pertanto, non serve addossare la colpa alla singola pattuglia di polizia, come se fosse stato un episodio a sé stante quello di cui è stato vittima Tiémoué Bakayoko. Al contrario, andrebbe riesaminata la storia coloniale del nostro Paese, che non si limita al ventennio fascista, per cominciare ad affrontare seriamente ed efficacemente il funzionamento delle nostre istituzioni nel presente. Bisogna quindi riflettere e insistere sui nodi problematici che portano alla recrudescenza di quel pensiero politico, per evitare che si verificano altre situazioni di razzismo istituzionale all’interno della nostra società.

Gabriele Caruso

Gabriele Caruso
Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, mi occupo soprattutto di indagare la politica italiana e di far conoscere le rivendicazioni dei diversi movimenti sociali. Per quanto riguarda la politica estera, affronto prevalentemente le questioni inerenti al Regno Unito.

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