Psichedelici e psichiatria
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Negli ultimi anni il dibattito sull’utilizzo di sostanze psichedeliche nella cura di alcune malattie psichiatriche sta diventando sempre più ricco, rafforzato da numerose pubblicazioni di studi clinici in merito a questo tipo di trattamento. È evidente come l’opinione pubblica, estremamente polarizzata sul tema, abbia rallentato un approccio scientifico alla discussione, ma ciò non ha costituito grandi problemi per molti studiosi e accademici, che hanno comunque continuato a nutrire la loro curiosità con ricerche e studi sempre più completi. Dato l’attuale crescente bisogno di ampliare la metodologia di cura di patologie mentali, gli studi sull’utilizzo di queste sostanze hanno portato a importanti risultati: è necessario dunque chiarire di che tipo di sostanze si tratta e perché sono così importanti nella comprensione dei processi neurofisiologici e nel trattamento di molte patologie psichiatriche e neurologiche.

Innanzitutto quando si parla di psichedelici ci si riferisce a una classe di sostanze con effetti psicoattivi che creano poca o nessuna dipendenza e hanno la capacità di espandere la coscienza e causare amplificazioni e alterazioni sensoriali. La parola ‘psichedelia’ – unione delle parole greche ‘anima’, ψυχή (psiche), e ‘manifestare’, δήλος (delos) – viene coniata nel 1956 dallo psichiatra canadese Humphry Osmond, amico dello scrittore inglese Aldous Huxley, autore del celebre saggio Le porte della percezione, il quale ha dichiarato in un’intervista alla rivista The Paris Review che gli psichedelici forniscono intuizioni penetranti sulle persone che si hanno attorno e sulla propria vita, richiamando alla memoria una gran quantità di materiale nascosto in un tempo relativamente ristretto.

Nell’ambito della psicoterapia psichedelica, sotto l’osservazione degli studiosi ci sono la psilocibina, l’Lsd, l’Mdma e altre sostanze psicoattive, come la nuova esketamina, l’enantiomero S della ketamina, un anestetico che è stato usato per molti anni per trattare la depressione (gli enantiomeri sono entità molecolari che sono immagini speculari ciascuna dell’altra e non sono sovrapponibili). Si tratta di sostanze che nell’ambito medico verrebbero affiancate a sessioni di psicoterapia mirate a massimizzare i benefici delle esperienze e a ridurne i rischi, che in realtà si sono rivelati minimi. Il Prof. Stefano Pallanti, fondatore dell’Istituto di Neuroscienze, spiega in un articolo che l’esketamina ha ottenuto l’approvazione della FDA (Food and drugs administration) specificamente per l’uso come spray nasale per i pazienti con depressione resistente al trattamento. Nello specifico all’interno dell’articolo scrive:

L’Esketamina deriva da una parte della molecola della ketamina ma è più potente, si può usare a dosaggi più bassi con un minor numero di effetti collaterali. Attualmente è indicata per le persone con depressione resistente al trattamento. Cioè tutti quei pazienti che hanno provato almeno altri due antidepressivi (per almeno sei settimane ciascuno) senza aver sperimentato la remissione o almeno un miglioramento del 50% dell’umore“.

Il National Institute of Health, sulla scia di questi successi, è finanziatore per la prima volta di uno studio che coinvolge sostanze psichedeliche: prima di tutte la psilocibina, di cui i ricercatori della John Hopkins University stanno indagando l’efficacia contro la dipendenza dal fumo di sigaretta.

Un ulteriore studio pubblicato sul Journal of Clinical Psychiatry, partendo da sette ricerche selezionate in base a dei criteri scelti, ha evidenziato che indipendentemente dalle caratteristiche dei pazienti e dal tipo di terapia, questo trattamento diminuisce il pericolo di suicidalità, al contrario di quanto si pensava.

Gli psicologi coinvolti nella ricerca, Daniel GrossmanPeter Hendricks della University of Alabama at Birmingham, definiscono ottimistiche le prospettive future della terapia psichedelica nella cura della depressione; inoltre si tratta di un’innovazione che gode di scarsissima concorrenza, considerando che la medicina, almeno sotto il profilo farmacologico, stenta a fare progressi significativi nel campo dei disturbi mentali.

Ma attorno alle sostanze psichedeliche ruotano ancora molte polemiche. Per circa due decenni a partire dagli anni ’50 esse sono state al centro di profonde ricerche in ambito medico per la cura dell’alcolismo e di altre forme di dipendenza o per alleviare ansia e depressione nei malati terminali. Timothy Leary, uno dei più importanti studiosi e sostenitori della cultura psichedelica, le sperimentò e ne consigliò l’utilizzo per liberare la mente e, più in generale, per aprirla a nuove esperienze trascendentali. L’etichetta popolare che lo studioso americano attribuì agli psichedelici sortì un effetto negativo nella società degli eccessi degli anni ’60, provocando la reazione delle fazioni conservatrici della società americana. Infatti, dopo anni di legalizzazione, nel 1970 Richard Nixon ne vietò l’utilizzo, impedendone dunque anche la ricerca medica, decisione che subito dopo venne adottata da tutte le realtà occidentali.

Psichedelici e psichiatria: nuove prospettive per la salute della mente
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Solo di recente, dopo più di vent’anni, è stato possibile riprendere gli studi su queste sostanze, la cui storia si intreccia profondamente alle dinamiche sociali, culturali e politiche del Novecento. La sostanza più studiata attualmente è la Ketamina, che conta più di cinquanta trial clinici, seguita dalla psilocibina, indagata per combattere depressione, dipendenze e ansia in pazienti terminali. L’LSD attualmente, invece, è ancora poco studiato, ma è considerato molto promettente per il trattamento di disturbi dell’umore e ansia.

Questa sostanza (dietilammide dell’acido lisergico) fu sintetizzata nel 1938 dal chimico svizzero Albert Hofmann, il quale era impegnato in ricerche su un fungo parassita delle graminacee – l’ergot della segale cornuta – per conto dell’azienda farmaceutica per cui lavorava, con l’obiettivo di sintetizzare un nuovo farmaco che stimolasse le funzioni cardio-respiratorie. Ma gli effetti psicotropi di quella sostanza gli furono chiari soltanto cinque anni dopo, nel 1943, quando ne assunse per caso una piccola dose. Questa esperienza lo portò ad approfondire le ricerche e gli esperimenti, che attuava su se stesso insieme ai suoi collaboratori. Nel 1979 Hoffman pubblicò il libro LSD – My problem child, per raccontare l’esperienza della scoperta dell’LSD e le problematiche legate a questa sostanza.

Sicuramente l’opinione pubblica, a partire dagli anni ’70, non ha per nulla facilitato la promozione di una possibile rimessa in discussione dell’utilizzo di psichedelici in ambito medico: si diceva, ad esempio, che l’LSD bruciasse le cellule del cervello, che facesse nascere feti anormali e che dunque fosse estremamente pericoloso.

Ma dopo anni di tabù la ricerca psichedelica inizia, finalmente, a muovere i primi passi decisivi, anche in Italia. Giorgio Samorini, botanico e tra i primi ricercatori italiani nel campo degli psichedelici, che si occupa nello specifico della relazione tra piante psicoattive e cultura umana, sottolinea come ad oggi un ritorno agli allucinogeni sia necessario. Il diffuso utilizzo degli psichedelici al di là degli ambienti underground ha portato a un cambio di paradigma mediatico: rendere illegali le sostanze psichedeliche non è servito a fermarne la diffusione nella società, ma solo a bloccare il loro utilizzo per la ricerca nell’ambito della psichiatria.

L’interesse per la psichiatria psichedelica sembra dunque amplificarsi, anche se è difficile sapere quando saranno accettate le prossime terapie. Il problema fondamentale è la mancanza di interesse economico per quanto riguarda lo sviluppo di questa terapia. Le sostanze psichedeliche sono per lo più prive di brevetto e di finanziamenti da parte dell’industria farmaceutica, per cui risulta difficile portare avanti degli studi approfonditi, studi che ad oggi faticano ad essere condotti, considerando, inoltre, lo scarso interesse della ricerca nell’ambito della cura dei disturbi mentali. Anche se la strada per la creazione di una narrativa funzionale alla psichiatria psichedelica è ancora lunga, riescono a intravedersi i primi segni di un cambio di paradigma mediatico, una delle basi che potrebbero contribuire a un cambio di rotta del paradigma etico, dove non hanno posto i pregiudizi.

Mena Trotta

Mena Trotta
Classe 2001, laureata in filosofia e studentessa di antropologia culturale ed etnologia all'università di Bologna. Mi nutro di curiosità, fotografia e parole. Fermamente convinta del potere sovversivo dell'arte, in ogni sua forma.

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