Grand Tour: il viaggio come esperienza formativa

Inteso come un momento di arricchimento culturale e umano, il viaggio diventa durante l’età dei lumi un’esperienza imprescindibile di crescita per i rampolli dell’aristocrazia europea, sulla spinta dell’ottimismo nella ragione e del cosmopolitismo. Tutto ciò è alla base della nascita del Grand Tour, ossia il viaggio di istruzione che vede ricchi giovani dell’aristocrazia, soprattutto quella britannica, attraversare l’Europa Continentale per studiarne i diversi aspetti culturali, politici e sociali. L’ultima tappa doveva essere obbligatoriamente l’Italia.

D’altra parte, il viaggio è un tema caro alla letteratura di tutti i tempi, questo anche perché la sua essenza è vicina a quella della vita: il suo caratteristico dinamismo è quello delle trasformazioni umane, un divenire dove è importante il percorso più che il punto di partenza o di arrivo. L’uomo che parte lo fa per esplorare lo sconosciuto e renderlo quindi familiare.

Durante l’Illuminismo, il viaggio va ad assumere un valore di per sé, indipendentemente dalla soddisfazione di qualsivoglia bisogno, il fine ultimo diventa la curiosità e l’appagamento della stessa in nome del sapere e del bisogno di evasione. Fu Richard Lassels a coniare nel suo viaggio del 1670 il termine “Grand Tour”: sotto questo nome finirono tutti i viaggi di istruzione che avevano come fine la formazione del giovane gentiluomo attraverso il “confronto”.

« Nessuno è in grado di comprendere Cesare e Livio come colui che ha compiuto il Grand tour completo della Francia e dell’Italia

(Richard Lassels, “An Italian Voyage, or compleat Journey Throught Italy)

Il termine “tour” sottolinea in modo preciso la natura di questo viaggio, inteso come un giro, particolarmente lungo, che ha come traguardo irrinunciabile l’Italia. Culla di civiltà e terra dei classici, è in Italia, la meta privilegiata, che i giovani incontrano davvero l’Europa.

Origini del Grand Tour

Le origini del “Tour” si possono far risalire al XVI secolo, anche se il suo apice fu toccato alla fine del XVII e del XVIII secolo. Poteva durare dai pochi mesi fino ad anni (anche 8) ed è proprio per questo che fu un fenomeno sociale che coinvolse in primis i giovani rampolli dell’aristocrazia, più ricchi di tempo e denaro. Il “Grand Tour” fu anticipatore del turismo moderno: il viaggio iniziò ad essere considerato un modo per imparare, conoscere le altrui culture, ammirare la natura e il mondo. Tale esperienza, dunque, non era semplicemente un modo per occupare il tempo, ma un momento formativo essenziale nella vita dell’individuo non solo dal punto di vista culturale, ma spesso anche sessuale: una sorta di “iniziazione” anche ai vizi e ai piaceri mondani.

Il motore che muove è la curiosità e il viaggio diventa una sfida all’ignoto.

Diari di bordo!

C’era però anche la controparte negativa: il Grand Tour non era esente dai pericoli e proprio per questo bisognava prestare particolare attenzione alle locande o ai posti di ristoro. La preparazione del viaggio doveva essere minuziosa, richiedeva mesi di studio e di grande attenzione a ogni particolare; una serie di norme e regole delineavano il profilo del buon viaggiatore, capace di prendere il meglio dall’esperienza e ridurre al minimo i rischi. Così il “travel book”, il taccuino pieno di appunti del viaggiatore pregno di resoconti si trasforma e si rielabora in un “manuale”.

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Questa guida contiene indicazioni e consigli dettagliati e utili per chi viaggiava: spesso scritto come una sorta di diario di bordo, con stile epistolare si raccontavano dettagli e curiosità, si consigliavano luoghi ed esperienze e così si permetteva di affrontare più serenamente il tour.

L’idea di Grand Tour dal punto di vista letterario prende avvio probabilmente dopo la pubblicazione di “Remarks upon Several Parts of Italy” di Joseph Addison. Addison è fortemente influenzato dalla cultura classica e il modo in cui si rapporta all’Italia è probabilmente filtrato da ciò. Visitando l’Italia, egli va alla ricerca di conferme di quanto appreso dai classici e per questo motivo resta particolarmente deluso quando la realtà appare diversa da quella immaginata.

Nel 1668 Maximilien Misson, magistrato francese, scrive “Nouveau Voyage d’Italie”, guida al Grand Tour che ebbe grande fortuna e fu largamente utilizzata dai viaggiatori ottocenteschi. Misson riuscì a carpire gli interessi del lettore-viaggiatore tipo e a trasferire questa conoscenza nei suoi scritti. L’opera è senza dubbio un importante antecedente per la guidistica successiva, ma soprattutto va ad influenzare la tipologia di viaggio stesso che sarà intrapreso. La forma epistolare permette a Misson di selezionare e trattare liberamente gli argomenti: la varietà dei temi si piega alle preferenze personali dello scrittore, che arriva a sottolineare l’importanza di cercare anche le “tracce imperfette” dei luoghi.

“Viaggio in Italia” di Goethe

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Il “Viaggio in Italia” di Goethe fu una sorta di fuga: egli si mise in viaggio in fretta e furia, quasi come un fuggiasco, partendo di nascosto. Alla base vi era la sua necessità di evasione, quel tentativo estremo di riprendere interesse per il mondo: assuefatto dal suo ambiente e dal trascorrere quotidiano delle sue giornate, per Goethe l’Italia è la speranza di una nuova rinascita.

L’opera che elabora in seguito al viaggio non è l’insieme preciso dei suoi appunti, quanto piuttosto una rielaborazione degli stessi: non si tratta di un impersonale resoconto quanto piuttosto di un racconto personale; ciò è stato facilitato dalla forma epistolare, che gli permette di avviare una riflessione sul senso del viaggio stesso, su quello previsto e prefissato e su quello che effettivamente avuto. L’Italia per lui sarà terra di ispirazione

La rivelazione per Goethe non sarà tanto Roma, sebbene resterà particolarmente colpito dalla capitale che sarà la sua casa per molto tempo, quanto piuttosto Napoli. Con le sue strade luminose, il mare e la gente libera e felice, la città partenopea sarà definita il “paradiso” da Goethe.  

Qui a Napoli egli vedeva l’arte e la vita quotidiana scontrarsi e unirsi.  

  « Anche a me qui sembra di essere un altro. Dunque le cose sono due: o ero pazzo prima di giungere qui, oppure lo sono adesso.
Da quanto si dica, si narri, o si dipinga, Napoli supera tutto: la riva, la baia, il golfo, il Vesuvio, la città, le vicine campagne, i castelli, le passeggiate… Io scuso tutti coloro ai quali la vista di Napoli fa perdere i sensi!
»

Vanessa Vaia

Vanessa Vaia
Vanessa Vaia nasce a Santa Maria Capua Vetere il 20/07/93. Dopo aver conseguito il diploma al Liceo Classico, si iscrive a "Scienze e Tecnologie della comunicazione" all'università la Sapienza di Roma. Si laurea con una tesi sulle nuove pratiche di narrazione e fruizione delle serie televisive "Game of Series".

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