Specchio di un fenomeno intergenerazionale, a partire dai primi anni Duemila i Baustelle, per mezzo di canoni musicali, se vogliamo, non desueti per le nostre latitudini – melodie e parti sinfoniche di certo non mancano mai all’appello nei loro dischi –, hanno saputo ritagliarsi un proprio spazio, adoperando uno stile e un linguaggio ben definito, facilmente riconoscibile ad un orecchio attento; il che ha portato il gruppo toscano a lambire a terreni sempre più popolari, attraversando indenne due delle decadi in cui l’arte di cui si fanno portavoce ha subito i maggiori mutamenti.
Battezzati dalla gioventù sonica e poi forgiati dal sacro fuoco del grunge, i Baustelle si sono resi testimonianza di quella ventata d’aria fresca che al panorama musicale italico mancava ormai da tempo. Nelle melodie della band capitanata da Francesco Bianconi, la canzone d’autore, per come l’abbiamo conosciuta in Italia, compie una sorta di autoanalisi e viene, in un certo senso, sdoganata: pur avendo un perno solido nell’indie rock d’oltreoceano, non sono rare le svisate verso sonorità del tutto antitetiche, tra cui possiamo annoverare chiari riferimenti alla musica classica, alla musica strumentale della colonna sonora e dell’orchestrazione e, perché no, al più moderno pop.
Parallelamente all’abilità nel traghettare l’attenzione dell’ascoltatore verso microcosmi sonori sfaccettati, a rendere i Baustelle una tra le realtà di maggiore impatto della scena indipendente nazionale, è l’assoluta maestria nel riuscire, in versi tagliati e incollati di stampo dadaista, a cucire assieme stralci di vita vissuta e parole suonate.
Per presentarvi una testimonianza dei Baustelle, abbiamo contattato Diego Palazzo che con il complesso originario di Montepulciano ha avuto modo di collaborare in veste di chitarrista ritmico. Lo ringraziamo per la disponibilità e per averci regalato parte del suo tempo.
A seguito della tournée di presentazione del quinto album in studio “I mistici dell’Occidente”, sei entrato a far parte dei Baustelle. Te lo aspettavi? Quale approccio hai adottato?
«L’aver condiviso il palco con i Baustelle rimane, tuttora, l’unico progetto in cui sia stato coinvolto attivamente come coadiuvante. Pur premettendo che conosco il frontman Francesco Bianconi da una vita, fu una sorpresa tanto inaspettata quanto gradita: il sapermi membro di un gruppo dove i rapporti umani, il senso di condivisione di visioni comuni e la musica vengono prima di tutto, mi ha portato ad accettare l’incarico senza pensarci due volte. Ancor prima di prendere parte a questa fantastica avventura, sentivo che, sin dal principio, si sarebbe creata una certa affinità artistica! In fase di composizione, pensando a dei modelli che variavano a seconda di quanto si voleva raccontare, si partiva quasi sempre da una cellula melodica a random: una volta raccolti gli imput e i frammenti, essi venivano messi insieme come pezzi di un puzzle. Vi assicuro che per seguire un processo del genere, con così tante anime ed elementi in gioco, a prescindere da grande determinazione e chiarezza intellettuale, ci vuole metodo e disciplina»
L’immaginario dei Baustelle copre un ampio spettro tematico e ha un’ampia stratificazione letteraria. Qual’è la loro cifra stilistica?
«I Baustelle cantano di argomenti tipici della tradizione lirica: amore, vita, esistenza, il difficile rapporto come individui al contesto ontologico di riferimento, il sentirsi soli ma non diversi dagli altri e la ricerca di qualcuno con cui condividere la propria cognizione del dolore. In fase artistico- compositiva convivono due anime nietzschane, ovvero quella “apollinea” caratterizzata dalla scrittura misurata e ragionata e quella “dionisica” che si distingue per l’impeto, per l’urgenza di esternare all’universo intero quanto si ha dentro.»
Sia nel terz’ultimo album pubblicato dai Baustelle “Fantasma” che negli ultimi due, vale a dire “L’amore e la violenza” e “L’amore e la violenza – Vol.2”, non si può negare come il tuo contributo sia stato notevole. Ti ritieni soddisfatto di quanto seminato?
«È stato Francesco a coinvolgermi, man mano, sempre più nel processo creativo: abbiamo passato pomeriggi interi nel suo studio, piano, voce e chitarra, a lavorare sulle canzoni. Giacché vi sono molteplici influenze, passioni e guilty pleasure, ogni disco dei Baustelle rappresenta un mondo a sé, un viaggio verso la ricerca estetica. Rispetto a “Fantasma”, in “L’amore e la violenza” e “L’amore e la violenza – Vol.2”, l’idea di base era quella di spingerci verso nuovi lidi sonori. È stata una comunione di intenti davvero prolifica, tant’è che alla fine delle registrazioni avevamo un sacco di materiale; così, ci siamo propositi di raccogliere i brani rimasti fuori in un secondo volume, volutamente più conciso e lineare rispetto al primo, in modo tale che fungesse da contraltare.»
Per finire, quale caratteristica, ulteriormente a quelle precedentemente enunciate, hai apprezzato di più nei Baustelle?
«Ritengo che, per il percorso che hanno fatto, i Baustelle abbiano, in qualsiasi occasione, dimostrato di essere padroni della propria narrazione, in pieno controllo della propria immagine e del processo artistico. Può sembrare un qualcosa di scontato per chi mastica musica da ere geologiche fa, ma non è cosa semplice mantenersi fedeli a sé stessi con l’incedere delle stagioni.»
Vincenzo Nicoletti