contraccezione
contraccezione - fonte: comodo.it

Secondo l’AIDOS – l’Associazione italiana Donne per lo Sviluppo – in una classifica di 45 Paesi, l’Italia occupa il 26° posto per accesso alla contraccezione e livelli di informazione relativi l’educazione sessuale. Una posizione che fotografa un’Italia molto più vicina alla Turchia e all’Ucraina piuttosto che alla Francia o la Svezia.

Uno smacco terribile, dunque, se si pensa che per la riforma Costituzionale appena passata, l’argomentazione maggiormente addotta dai nuovi padri costituenti per giustificarne urgenza e bontà ha riguardato proprio la necessità di riallineare il Bel Paese ai cugini d’oltralpe. Vive la France! A singhiozzo, però.

Dio non voglia che si sappia che anche le donne hanno rapporti sessuali

Bigottismo, incuria o maschilismo: di qualunque matrice sia, l’Italia mostra uno spaventoso e colpevole ritardo nell’accesso gratuito ai più comuni sistemi di contraccezione o nella somministrazione di informazioni circa la sfera delle attività sessuali. Un ritardo che, tra l’altro, troppo spesso si traduce nell’aumento di malattie trasmesse tramite rapporti sessuali non protetti o gravidanze indesiderate, dimostrando una folle mancanza di lungimiranza.

Ma perché questo silenzio assordante? Perché, in Italia, parlare di contraccezione è ancora considerato provocatorio, scabroso, sovversivo. O, peggio, perché si tratta una questione femminile.

Italia, patria di poeti e di scrittori, ma prima di tutto paese ancora saldamente ancorato ad una cultura maschilista in cui tutto ciò che riguarda l’universo femminile viene dimenticato, rimosso e destinato all’alveo della deregolamentazione. Ciò che ne risulta è che il problema diventa politico. Conseguenzialmente, la formulazione di eventuali soluzioni non prevede più un iter di ordine medico-sanitario, ma ad esso si aggiunge il peso della componente moralistica, quella cattolica e in senso lato religiosa.

La narrazione di ciò che concerne la totalità del mondo uterino diventa, in questo pericoloso gioco di rimandi e rilanci, una narrazione rosa assegnata ad un preciso sistema tassonomico e come tale viene derogata alla sola trattazione femminile, smettendo di essere un tema che prescinde il genere e riguarda la società intera.

In questo modo, “derubricata” a questione di genere, la contraccezione diventa una questione molto più facile da ignorare e, l’inedia del legislatore, viene così giustificata dalla componente moralistica. Persino la gravidanza – che subisce lo stesso trattamento – viene abbandonata a sé stessa, senza la formulazione di una disciplina ad hoc che, ad esempio, preveda un piano economico a sostegno delle future mamme che si trovano a dover far quadrare i conti, barattando le preoccupazioni con il denaro.

Non solo sesso, non solo gravidanza: la contraccezione riguarda la salute

Questa deregolamentazione, o per dirla in maniera più precisa, questo disinteresse, produce ovviamente delle conseguenze tangibili che hanno effetti sulla qualità della vita delle donne italiane non solo relative alla contraccezione. A partire dall’adolescenza, infatti, a causa dello stigma sociale associato ai temi della sessualità femminile, le questioni ginecologiche e sessuali subiscono una sorta di “criptazione” destinata a durare anni, producendo inenarrabili danni per quel che concerne la sfera della salute della donna e delazioni per l’adesione a sistemi di prevenzione e cura.  

Soprattutto per gli adolescenti, il pericolo maggiore è proprio la mancanza di un’adeguata educazione sessuale che comprenda anche l’utilizzo dei metodi contraccettivi. Tale situazione viene ulteriormente aggravata dal corto circuito che si innesca allorquando viene taciuto che tra gli utilizzi della pillola ve ne sono alcuni non connessi – o almeno non in maniera diretta – alla malsana (sigh!) idea di non voler procreare (Dio perdoni la nostra anima maledetta). Alcuni disturbi ginecologici, infatti, necessitano di trattamenti più o meno invasivi per le donne, che per forza di cose includono la somministrazione di anticoncezionali.

Una necessità clinica per la quale, anche in questo caso, la componente moralistica opera da ostacolo: in primis, a monte, pregiudicando la somministrazione delle relative informazioni per la prevenzione, e in un momento successivo rendendo complesso o sgradevole persino il momento di acquisto del medicinale: non essendo rara tra gli operatori sanitari la manifestazione di riprovazione per l’utilizzo di quel determinato farmaco, innescando un circolo vizioso di tacite accuse ed immotivati sensi di colpa. Gli obiettori occupano quindi non soltanto gli ospedali, ma anche i presidi farmaceutici sul territorio. Allo stesso modo, occupano posizioni anche all’interno degli organi decisori.

© Lupo Burtscher

Dal 2016, infatti, l’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) ha classificato la pillola anticoncezionale in fascia C, rendendola non più rimborsabile dal Servizio Sanitario Nazionale. Cosa vuol dire? Che le donne sono tenute ad acquistarla a prezzo di mercato non solo per la contraccezione, ma anche nei casi in cui essa venga assunta come trattamento terapeutico giornaliero. Dunque, per semplificare la questione, non solo una donna con problemi ginecologici non ha più diritto ad alcuna detrazione o rimborso sull’acquisto di un medicinale che le permette di svolgere una vita “normale” ma, al contrario, è tenuta a sostenere una spesa che muta a seconda delle oscillazioni del mercato in cui quel determinato farmaco si trova.   

Parlare di obiettori all’interno degli organi decisori può essere un’iperbole utile ai fini dello scritto, ma non si può ignorare il fatto che questo laissez-faire nei confronti della regolamentazione dei farmaci anticoncezionali può rispondere solo a due motivazioni: dimenticanza o malafede. Ovvero, si potrebbe trattare di inedia e cattiva gestione delle risorse, oppure di dittatura della maternità, veementemente contraria alla gestione indipendente dell’esperienza della genitorialità. Quest’ultima si tradurrebbe nell’obbligo per qualsiasi fanciulla feconda, mai esplicitato ma sibilato dallo Stato, di garantire alla propria nazione l’adeguato numero di progenie.

La logica dell’avversione ideologica, così come della svogliatezza, continua a regolare il comparto sanitario e a rendere più costoso e dunque meno accessibile il farmaco contraccettivo, affermando comunque una posizione ideologica forte. Difficile stabilire cosa sia peggiore. Tanto più che non si tratta solo di contraccezione, ma di tutelare il diritto alla salute delle donne. E, se questo può aiutare a trattare tale tema con maggiore serietà ed impegno, anche della salute degli uomini.

Contraccezione: quando il problema diventa politico

Il problema della contraccezione allarga la proprio sfera di attinenza e, da sanitario, diventa ideologico. Anzi, culturale.

L’Italia, infatti, è davvero lontana dagli standard europei in fatto di accesso alla contraccezione gratuita, ad esclusione di alcune Regioni con esperienze virtuose, quali la Toscana, l’Emilia-Romagna o la Puglia, in cui l’accesso ai sistemi di contraccezione in ambulatori o farmacie è gratuita per donne di determinate età o in condizioni di precarietà economica.

Esempi virtuosi che garantiscono la piena applicazione dell’articolo 32 della Costituzione italiana (l’hanno lasciato questo i nuovi padri costituenti, sì?), riducendo le barriere ad oggi esistenti per la prevenzione e la cura di molte sindromi o malattie legate alla sfera ginecologica. Esempi che però cedono ancora troppo il passo alla morale catto-fascista, ben radicata sul suolo italico, che conferma l’assioma secondo cui un problema delle donne rimane alle donne, le quali devono risolverlo tenendo anche conto di una certa dose di moralità altrui.

Il problema dunque non è solo la mancanza di informazioni sulla contraccezione ed i metodi ad essa collegati, figlia di un moralismo anacronistico pericoloso. Il problema si allarga, si trasforma, diventa altro: diventa emblema e simbolo dell’Italia del 2020, maschilista e fallocentrica. Un’Italia che poco bada alle esigenze delle donne ma che anzi, dissemina sul loro cammino difficoltà aggiuntive che al maschio, purtroppo, non competono e non interessano. E di conseguenza, non interessando al maschio, non interessano nemmeno alla politica che, pur essendo femminile nel genere grammaticale, nei fatti si rivela fortemente “pene-riferita”.

Edda Guerra

Edda Guerra
Classe 1993, sinestetica alla continua ricerca di Bellezza. Determinata e curiosa femminista, con una perversa adorazione per Oriana Fallaci e Ivan Zaytsev, credo fermamente negli esseri umani. Solitamente sono felice quando sono vicino al mare, quando ho ragione o quando mi parlano di politica, teatro e cinema.

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