Hofmann Orchestra Rock band. Ouverture.Fonte immagine: Marta Scaccabarozzi - 19 Media Agency
Hofmann Orchestra Rock band. Fonte immagine: Marta Scaccabarozzi - 19 Media Agency

 Gli Hofmann Orchestra presentano il loro nuovo disco intitolato “Ouverture”, esordio dell’alternative rock. Esso è composto da circa dieci tracce rock granitiche, acide e visionarie ove gli aspetti principali che emergono sono il rumore, l’uso di strumenti e suoni non convenzionali, tempi dispari e una tagliente satira nelle liriche. Tale singolo arriva subito dopo l’esordio “Tutti i nudi vengon al petting” e racconta, attraverso la musica, il sentimento di evasione e rinascita. La voglia di riprendere in mano la propria vita e ricominciare nonostante gli eventi negativi che la scalfiscono.

“Ouverture” è stato scritto e composto da Giulio Cecchini. Il lavoro è stato mixato da Davide Lasala con Andrea Fognini e masterizzato da Giovanni Versari. L’arrangiamento è di Cecchini, La Rosa, Taborri. Dieci canzoni rock che si miscelano al genere punk, stoner, noise, ma anche ritmi tribali e strutture poco convenzionali. Tra i titoli della tracklist ritroviamo: “Overture“, “Mustang“, “La mia vita o poco più“, “Via d’uscita“, “Desertica“, “Fuoco fatuo“, “Il mondo dei Bodhisattva“, “Tutti i nudi vengon al petting“, “Mortobotanico“, “Rivoluzioni in svendita“.

Hofmann Orchestra. Fonte immagine: Marta Scaccabarozzi – 19 Media Agency

Ma chi sono gli Hofmann Orchestra?

Abbiamo intervistato la band per conoscerli meglio, incuriositi dalla loro storia, la loro musica e dal loro successo. Di seguito, tutto ciò che c’è da sapere sugli Hofmann Orchesta.

“Hofmann Orchestra”, da dove origina il nome del vostro duo? Cosa rappresenta? E soprattutto, voi tre componenti ufficiali vi conoscevate già da parecchio, eravate amici o la vostra collaborazione è nata a scopo lavorativo?

«Albert Hofmann fu uno scienziato svizzero, famoso per essere stato il primo ad aver testato gli effetti dell’lsd. Il bello è che capitò in maniera accidentale, in quanto venne a contatto con il principio attivo, ma pensando fosse innocuo si mise tranquillamente in viaggio in bici per tornare a casa. Quel viaggio cambiò la sua vita. Aneddoto a parte, in lui abbiamo trovato riflessa la nostra anima visionaria e sperimentale, mentre l’idea dell’orchestra dava quel tocco di sontuosità e di originalità. In merito al nostro incontro, io (Alessandro) e Giulio ci siamo conosciuti tramite un annuncio musicale su fb, abbiamo condiviso le idee di progetto che avevamo, e dopo circa un anno e mezzo di ricerca di un bassista abbiamo conosciuto Stefano. È stato quindi un approccio puramente lavorativo, ma che si è trasformato poi in una naturale amicizia. La vera sorpresa e magia è stata riuscire a convogliare in un unico disco le idee e le bozze musicali che ognuno aveva ideato da solista. Quella è stata la più grande soddisfazione. Trovare una coerenza con tutto il materiale che ognuno proponeva, e scoprire in noi una grande versatilità e malleabilità nel modificare e riarrangiare idee. Alcuni pezzi fortunatamente funzionavano già alla prima stesura, mentre su altri c’è stato un bel lavoro di squadra.»

“Ouverture” è l’album esordio della vostra band. Come nasce?

«Ouverture nasce da vari stimoli. In primis quello di riprendere in mano la vita musicale, che tutti e tre avevamo messo in secondo piano. Nasce poi dall’esigenza di dar forma a quell’ispirazione, impossibile da non ascoltare e che serve a manifestare qualsiasi sensazione, sia positiva che negativa. Il periodo di fermo dalla musica è servito a questo, ossia creare musica, canzoni che abbiamo avuto modo di condividere, di riarrangiare, di riscrivere e di concretizzare. In sostanza, un riscatto da tutte le oppressioni e le difficoltà vissute negli ultimi anni, cercando nella musica una via di sfogo. La tracklist stessa è concepita per partire con sonorità più scure e crude ed arrivare a sonorità più leggere e brillanti, come a simboleggiare una rinascita. Una riscoperta.

Il vostro genere si presta bene anche ad altre lingue. Avete mai pensato di scrivere testi in inglese?

«Facendo un discorso puramente teorico, abbiamo pensato spesso a fare un album con i testi in inglese, magari riscrivendo anche alcuni brani già usciti in italiano.
Nell’atto pratico però non ci siamo ancora mossi in questa direzione per diversi motivi: quello più importante è che nonostante abbiamo quasi tutti vissuto all’estero per un breve periodo, al momento riteniamo sia molto importante avere una certa competenza e tecnica nella stesura dei testi. In futuro magari potremmo cambiare idea e sposare l’idea di Samuel Backett che scrisse “en attendant Godot” in francese, nonostante fosse madrelingua inglese, proprio per riuscire ad esprimersi con maggiore semplicità ed immediatezza.
»

Domanda difficile: sappiamo che è scorretto chiederlo ma se doveste scegliere un brano preferito del vostro EP quale sarebbe e perché?

«Effettivamente è una domanda molto difficile, soprattutto se cerchiamo una canzone in comune con tutti i membri del gruppo. Ognuno ha sempre avuto la sua preferita, in base ai propri gusti o in base al significato del testo. È dura stabilirlo. Potrebbe dipendere anche da quale preferiamo suonare o quale preferiamo in fase di ascolto e a volte le due cose non combaciano. Di solito però etichettiamo il primo singolo “Tutti i nudi vengon al petting” come la sintesi delle sonorità e delle atmosfere del disco, per cui potremmo azzardare dicendo che sia lei la prescelta tra le dieci tracce. Rispetto al suonare forse la seconda traccia del disco, ossia “Mustang (Cambiare car è una scelta di vita)” rimane la più divertente e liberatoria da suonare. Ha un riff potente, un testo ironico ed una struttura non così complessa, per cui finiamo sempre per lasciarci andare e scioglierci parecchio suonandola.»

Hofmann Orchestra: quali sono i musicisti che negli anni vi hanno ispirato?

«Anche per rispondere a questa domanda diciamo che ognuno di noi potrebbe andare avanticitando i propri per ore. Il confronto che avviene quotidianamente tra di noi ci porta a scoprire realtà interessanti su diversi generi. C’è chi attinge più al panorama cantautoriale italiano e internazionale o al progressive, chi al mondo psych e fuzz rock, chi segue più la nuova scena post-punk, insomma un melting pot di suggerimenti e stimoli musicali che sono indispensabili.
Tuttavia volendo però restare sul rock italiano è quasi inevitabile citare quelle band che hanno contraddistinto maggiormente la scena negli ultimi anni e per fortuna ancora lo fanno: Afterhours, Verdena, Marlene Kuntz, CSI o Tre Allegri Ragazzi morti. Volendo invece guardare più al presente ci piace ascoltare altre band di grandissimo spessore tra cui i Calibro 35, Bud Spencer Blues Explosion o i Bachi Da pietra.
Naturalmente già solo in questo ambito ce ne sarebbero molte altre ma citarle tutte sarebbe impossibile. Volendo infine dare un riferimento senza tempo non possiamo non tributare omaggio al rock psichedelico di Beatles e dei primi Pink Floyd.
»

Cosa consigliereste ai giovani d’oggi che vogliono addentrarsi in questo mondo? Per voi è stato faticoso?

«Ai giovani d’oggi vorremmo soltanto dire di essere curiosi. Di provare, di ascoltare e di sperimentare sempre qualcosa di nuovo senza per questo accontentarsi di un prodotto mainstream. Se il rock e la musica leggera in generale non sono mai passati di moda è perché molti artisti hanno portato avanti questa ricerca musicale contribuendo alla loro rivoluzione. La sperimentazione nella storia del rock infatti è sempre stata portata avanti da artisti giovani, visionari e sognatori, che con le loro intuizioni hanno contribuito ad aprire nuove strade, come ad esempio gli stesso punk o il grunge in momenti e luoghi diversi. Se ci pensiamo oggi sono state rivoluzioni epocali nate un po’ per caso ma nello stesso modo. Un problema che poi si riscontra spesso in molti musicisti giovani e non, è una grande difficoltà ad aprirsi verso nuovi generi. Secondo noi è una cosa fondamentale per sviluppare creatività, originalità e sensibilità musicale e un piccolo sforzo andrebbe fatto. In questo modo c’è la possibilità che si creino sempre orizzonti nuovi nel panorama musicale italiano, soprattutto quello mainstream, che spesso tende a standardizzarsi troppo, oscurando un panorama più sperimentale e underground che invece meriterebbe di emergere. In sostanza, provare ad abituare l’ascoltatore medio a cose sempre nuove.»

Sabrina Mautone

Sabrina Mautone
Sabrina Mautone nasce a Napoli il 18/05/96 e vive a Milano. Giornalista pubblicista laureata in Lingue Moderne presso la Federico II e specializzata in Comunicazione e Cooperazione Internazionale per Istituzioni ed Imprese presso l'Università Statale di Milano. Con un master post-lauream in Giornalismo Radio-Televisivo a Roma, lavora da freelancer e segue eventi in Italia e all'estero.

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