Crisi del clima, maltempo e un giornalismo che sottovaluta il problema
Foto di Amol Mande da Pexels

Continua a salire il numero di vittime causate dagli eventi meteorologici estremi che hanno colpito varie regioni nel Nord Italia. Liguria, Piemonte e Lombardia sono state letteralmente travolte dal maltempo, con conseguenze catastrofiche in termini di economia, lavoro e perdita di vite umane. L’intensificarsi dei fenomeni meteorologici dovuti a cambiamenti irreversibili nel sistema climatico della Terra dimostra però che il termine semplicistico “maltempo”, usato dalla maggior parte dei giornalisti italiani, non basta più per comunicare e descrivere la gravità di ciò che sta accadendo. Alluvioni sempre più forti, inondazioni sempre più frequenti, una crescente violenza delle raffiche di vento, il repentino aumento di danni a cose e persone non possono non modificare il linguaggio di quella parte del giornalismo che racconta tali avvenimenti. Non è più maltempo, non lo è più da anni: trattasi di crisi del clima, uno stato di emergenza planetaria, la minaccia più grande per la civiltà umana.

La crisi del clima e i doveri del giornalismo

«I ghiacciai si sciolgono, le pandemie globali dettano il nostro presente e sempre più persone stanno perdendo la vita a causa di eventi climatici estremi. Questa è la realtà che si presenta davanti ai nostri occhi e si interseca nelle nostre vite, con uno spaventoso anticipo rispetto agli allarmi che la comunità scientifica ha lanciato per anni e a cui nessun governo, giornale, o televisione, sta dando l’importanza che merita.». La denuncia di Extinction Rebellion Italia mette in risalto la problematica che prima di tutte deve essere affrontata per la costituzione di quella consapevolezza popolare, di quella coscienza ambientale necessaria alla lotta ambientale tanto quanto le misure messe in campo dai decisori politici.

Il racconto giornalistico degli eventi meteo estremi che hanno colpito alcune regioni nel Nord Italia evidenzia quanto affermato dal movimento internazionale fondato in risposta alla devastazione ecologica perpetrata dall’uomo: quel che la scienza definisce ormai da anni crisi del clima, una tragica minaccia per l’intero genere umano, viene in qualche modo ridimensionata dalla scelta di vocaboli (es: maltempo) che prima ancora di descrivere la verità dei fatti divulgata a gran voce dal mondo scientifico, tendono a sminuire la manifesta gravità dei suddetti episodi col fine di non creare panico nei lettori e nella popolazione in generale. È chiaro che la strategia del keep calm and carry on adottato da parte del giornalismo italiano non può più reggere dinanzi alla minaccia più grande del ventunesimo secolo.

Per l’ecologo William Ripple «Gli scienziati hanno l’obbligo morale di avvertire chiaramente l’umanità di qualsiasi minaccia catastrofica e di “dirlo così com’è”». Tale obbligo rientra nel campo della deontologia ovvero l’insieme di quelle norme morali che regolano le attività di una determinata professione tra cui il giornalismo. L’efficacia di siffatta dottrina dei doveri morali implica l’autorevolezza e quindi la credibilità dei giornalisti che hanno l’obbligo di raccontare fatti veri, di interesse pubblico e che riguardino l’attualità. La crisi del clima, argomento quanto mai attuale, concreto e di interesse pubblico, deve perciò essere raccontata per quello che realmente rappresenta, una crisi di dimensioni globali che minaccia la vita terrestre. L’utilizzo di termini atti a ridimensionare l’impatto della crisi climatica sugli ecosistemi naturali e sulla società umana diventa dunque improprio oltre che dannoso alla lotta ambientale stessa.

Secondo il Global Climate Risk Index 2020 dal 1999 al 2018 l’Italia ha registrato 19.947 morti attribuibili agli eventi meteo estremi, posizionandosi al sesto posto nella classifica mondiale inerente il numero di vittime causate dai suddetti fenomeni. Numerosi studi indicano che il riscaldamento globale è causa dell’aumento della forza dei singoli eventi meteorologici estremi: le attività umane rappresentano la sorgente dei cambiamenti climatici, della modifica del ciclo dell’acqua e di tutti i fenomeni estremi che ne conseguono. Quel che parte del giornalismo italiano chiama chiama maltempo, in riferimento ai fatti accaduti nel Nord Italia, è in realtà una vera e propria crisi del clima che miete sempre più vittime e che causa sempre più danni alle economie dei territori colpiti.

Raccontare la verità richiede coraggio: non è compito del giornalismo tranquillizzare il popolo, non è compito del giornalismo preoccuparsi di eventuali reazioni negative da parte dei lettori. Il dovere dei giornalisti risiede nel raccontare ciò che è vero, divulgare notizie senza ridimensionarle o, au contraire, ingigantirle. Non ha più senso parlare di allarmismo di fronte a studi scientifici che certificano la minaccia globale inerente la crisi del clima. Non ha più senso usare termini quali “maltempo” dinanzi a catastrofi climatiche che si verificano sempre più spesso e che colpiscono con sempre più violenza.

Citando Greta Thunberg «Per i leader dei Paesi più ricchi non c’è panico, non c’è un senso di emergenza sul cambiamento climatico. Senza pressioni i politici non fanno molto». Il panico, che molti giornalisti tentano di smorzare, è una reazione del tutto comprensibile quando si ha a che fare con la più grande minaccia alla vita terrestre che l’uomo abbia mai conosciuto ed è forse l’unico sentimento che può spingere l’essere umano ad agire in maniera efficace contro la crisi ambientale.

Marco Pisano

Marco Pisano
Sono Marco, un quasi trentenne appassionato di musica, lettura e agricoltura. Da tre e più anni mi occupo di difesa ambientale e, grazie a Libero Pensiero, torno a parlarne nello spazio concessomi. Anch'io come Andy Warhol "Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare". Pace interiore!

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