Antonio Sepe racconta il suo Capitan Napoli, il supereroe che fa a pugni con la vita
Fonte immagine: https://nientedadire.it/2021/06/15/capitan-napoli-leroe-partenopeo-sceneggiato-da-antonio-sepe/

Il progetto “Capitani Italiani” della casa editrice Remer Comics (che pubblica quest’anno anche una versione nuova e il secondo capitolo di The Kabuki Fight di Vincenzo Visca, di cui abbiamo avuto modo di parlare in un precedente articolo) si pone come obiettivo di raccontare una storia e un mondo fatto di eroi nostrani, senza per questo rincorrere o imitare la più lunga e consolidata tradizione del fumetto americano.

I personaggi di Capitani Italiani sono uomini e donne legati profondamente al loro territorio, ne hanno una profonda cultura e attaccamento, non imitano altri eroi, sono loro stessi e sono perfettamente credibili. Le loro storie appassionano, raccontano la storia odierna del nostro Paese muovendosi tra le ombre e le brutture dello stivale. Sono persone che con le loro maschere sostituiscono (e in alcuni casi riprendono) quelle della tradizione e affrontano i problemi di un Paese più che reali in una realtà distopica.

Il prodotto non è solo valido nei contenuti, ma anche dal punto di vista stilistico e di fattura: le tavole sono disegnate e colorate da professionisti italiani affermati a livello internazionale con pubblicazioni di altissimo livello alle spalle. L’edizione su cui ho avuto la fortuna di avere tra le mani non ha nulla da invidiare alle edizioni Marvel o DC. Oggi avremo modo di parlare con Antonio Sepe, sceneggiatore e creatore di uno dei Capitani, precisamente Capitan Napoli.

Il supereroe della città partenopea è affiancato nel suo percorso da altri personaggi che ne favoriranno la crescita sia dal punto di vista umano che come eroe. La storia risente della cultura americana anni ’80 e ’90 con la quale Antonio è cresciuto (e anche il sottoscritto), mantenendo allo stesso tempo un forte attaccamento a tutto quello che può essere considerato “Made in Naples”. Una Napoli che non è ne quella della cartolina ma neppure quella di Gomorra, ma ha una identità propria in un universo e una ambientazione che pare modellato su basi solide e ben dettagliate.

Il background di ogni personaggio è credibile, ben costruito e mette voglia di volerne conoscere di più. Scrivere non deve essere stato semplice, perché il rischio di cadere nella “brutta copia” di qualcosa di più famoso è sempre dietro l’angolo. Devo dire che Antonio ha saputo gestire bene gli elementi della sua storia, tra piccoli omaggi e belle trovate. Se siete alla ricerca di qualcosa di diverso e anche di ispirazione per dimostrare che idee folli posso invece diventare realtà, progetti come “Capitani Italiani” e “Capitan Napoli” fanno per voi.

Se avete amato un film come Lo chiamavano Jeeg Robot, non potete non leggere un prodotto del genere. Ma ora lasciamo la parola ad Antonio e conosciamo la mente dietro Capitan Napoli!

Antonio, raccontaci un po’ della tua storia, il tuo legame con la scrittura e come ti sei avvicinato al mondo dei fumetti.

 «Ciao a tutti gli amici di Libero Pensiero e grazie mille per questa intervista. Quanto tempo abbiamo? No, perché io lo so che se attacco a parlare di scrittura, fumetti e tutto quello che li circonda qua facciamo notte (e anche l’alba direi). Però provo a farvela breve: Spider Man 276 Marvel Italia, agosto 1999. Rileggo quell’albo 15 volte in un giorno e decido che voglio scrivere esattamente così e voglio farlo su un fumetto. Ovviamente prima con Topolino, Brandon, Lupo Alberto e Cattivik divoravo storie e strips… però se mi chiedi quando mi sono innamorato del fumetto e ho deciso di usarlo come forma di espressione è con quel numero dell’Uomo Ragno.»

Dei super eroi anche per le città italiane: quindi è possibile? Cosa diresti per convincere qualche scettico?

 «Scrivere per me è considerare l’impossibile. Come ogni forma di comunicazione e di arte, anche la scrittura ci permette di andare oltre il possibile, il conosciuto. Pertanto sì, è possibile. E se dovessi convincere qualche scettico, gli direi di sfogliare uno degli albi dei Capitani Italiani e di non fermarsi alla copertina (tra l’altro fighissime!). Ma è un consiglio che darei sempre e comunque. Giudicare da un nome, da una copertina (benché faccia parte del gioco quando fai fumetti) è riduttivo. Poi oh, mica possiamo convincerli tutti… ma so dove abitate.»

Come nasce l’universo fumettistico di “Capitani Italiani”? Il progetto dedicato a “Capitan Napoli” come si colloca al suo interno?

 «Lunga storia anche questa. Chiederei l’aiuto del mio “boss” Fabrizio Capigatti (creatore dell’universo dei Capitani Italiani) ma lui ha deciso di emigrare in Australia… e quindi devo riassumere io. Nel 2012 Fabrizio butta giù un’idea, eroi e supereroi che si muovono tra le città italiane. Il primo parte da Venezia: Marco, il leone della Laguna. Da lì un susseguirsi di storie, personaggi che percorrono la Penisola… e poi nel 2017 un incontro al Comicon tra me e Fabrizio ha fatto sì che nascesse Capitan Napoli. Dal 2018 in poi è stata tutta una bellissima storia che continua grazie al supporto delle persone che lavorano al progetto (in primis Diego Bonesso) e alla gente che ci sostiene.»

A cosa ti sei ispirato per raccontare la sua storia?

Daredevil, Tartarughe Ninja e… Erri De Luca. Lo so, sembra strano. Ma se le prime due sono fortunatissime serie a fumetti ambientate a New York e raccontano di lotte, mutazioni e corruzione l’ispirazione più “napoletana” l’ho trovata in un grande della Letteratura. In un passaggio di uno scritto di De Luca che parla dei napoletani e li definisce “popolo tellurico”; da lì i poteri di Nino (il protagonista di Capitan Napoli) che attraverso i pugni può creare scosse sismiche… ma scoprirete tanto altro leggendo.»

Antonio Sepe, Capitan Napoli, Remer Comics

 «Napoli di per sé è una costante sfida. Non sai mai veramente da che lato prenderla. Da che punto di vista raccontarla. Per un supereroistico poi. Per la storia di Capitan Napoli mi sono ispirato ai luoghi che ho frequentato e vissuto. Partendo da un vicolo di Forcella e arrivando (per ora) a Piazza del Plebiscito, Napoli è il ring dove Nino si muove. Ma non è solo la Napoli visibile ad occhio nudo… come per ogni città, bisogna “andare a fondo” per vederla meglio.»

Qual è stata la sfida più interessante nello scrivere una storia ambientata a Napoli che però, in maniera limpida, si ispira allo stile del fumetto anglo-americano?

 «La sfida più grande, comunque, per me è quella di abbattere gli stereotipi. Che è il motivo per cui la copertina del numero 1 presenta un Nino con una felpa ispirata alla maglia di Maradona in una piazza Garibaldi semi distrutta. Non so se ci sono riuscito… però vorrei che le persone capissero che ci sono delle cose imprescindibili per un fumetto supereroistico e la teatralità è una di queste. Poi dietro a quella “divisa” c’è molto altro… ma no spoiler!»

In che misura l’immaginario culturale tipico di Napoli è presente nel fumetto e cosa ha significato per te dargli una “nuova connotazione”?

 «C’è e non c’è. Ci sono parole, personaggi, luoghi della tradizione di Napoli, ma raccontando di un supereroe ho voluto fare meno possibile riferimento alla “cultura” in senso stretto. Ho preferito prendere da Napoli quello che poteva servirmi ed essere propedeutico a una storia supereroistica… poi però ti accorgi che a modo suo Napoli esce anche in modi inaspettati. Ma anche qui vorrei che i lettori si accorgessero di come viene fuori la mia città.»

Nel ritratto dispotico che porta all’estremo le difficoltà che incontriamo ogni giorno, quanto invece un progetto come “Capitan Napoli” si propone di raccontare la realtà di tutti i giorni?

 «Ovviamente è un’opera di fantasia, ma certe volte e sempre più spesso la realtà supera la fantasia. Ci sono riferimenti, situazioni e condizioni che raccontano della città. Ma l’intento non è demonizzare, solo quello di raccontare. Così anche per tutte le testate della serie dei Capitani. Le città sono lo sfondo, il palco in cui si muovono gli eroi, e spesso questa “scenografia” prende la scena e ingloba tutto.»

Sono previsti progetti che vedranno riunirsi insieme i Capitani Italiani contro un nemico comune?

 «Sì, ma vogliamo fare a tutti una grandissima sorpresa. Intanto ci sono già albi-crossover e “Universo” lo starting point per tutti i neofiti del mondo dei Capitani.»

Pensi che ci saranno invece storie stand alone per altri personaggi che compaiono nel volume?

 «Come per alcune storie, il gradimento del pubblico è fondamentale. Capire cosa piace e se un personaggio può uscire da un contesto, oltre al piano editoriale, è sempre la prima cosa. Se lo chiedi a me, però, ho da sempre un pallino: raccontare un prequel su un certo clan…»

Quando vedremo il capitolo 3 e che cosa dobbiamo aspettarci per il futuro della serie e di Capitan Napoli?

 «Mi stai chiedendo quindi di dirti come finirà la mia run di Capitan Napoli? Il terzo, per me come sceneggiatore e creatore del personaggio, sarà l’ultimo numero. La chiusura di un ciclo, di un momento che segna la nascita del personaggio… o forse la fine. Facciamo che vi dico di non affezionarvi ai personaggi. Facciamo che vi dico che dovrebbe uscire per il 2023 e facciamo pure che vi dico che… no, questa non ve la dico!»

Quanto la pandemia ha influito su un settore che fino a qualche anno fa sembrava in forte crescita e che i numeri considerano ancora tale, ma che sembra non riuscire a trovare ancora la giusta considerazione?

 «Il fumetto vive un periodo florido, questo è innegabile. In Italia i fumetti da qualche anno occupano le classifiche di vendita di libri e letteratura. Il problema è il dislivello tra le grandi produzioni, editori e piccola impresa. La pandemia ha permesso al fumetto di intrattenere ancora di più, il problema è che solo alcuni di questi sono effettivamente entrati nelle case degli italiani. Il blocco forzato delle fiere poi non ha aiutato i piccoli editori. Come autore Remer però mi sono sentito molto tutelato perché la stessa casa editrice ha trovato sempre modi per esserci e far uscire i propri prodotti. Nel caso del secondo volume di Capitan Napoli grazie all’aiuto di un crowdfunding (che ho anche scritto). Insomma, ci siamo fermati per prendere fiato. Ma ora si ricomincia a correre.»

Quali sono state le opportunità invece che sono venute fuori da un periodo come gli ultimi anni, se ce ne sono state?

 «Come dicevo, il crowdfunding è stata una di queste. Arrivare al pubblico con un altro tipo di comunicazione è stata una bella sfida. E anche i social hanno aiutato molto, tanto. Direi queste, per quanto mi riguarda.»

Quali sono i tuoi progetti futuri?

 «Un libro scritto a quattro mani con la bravissima Stefania Gimmelli, una nuova storia a fumetti disegnata dalla talentuosa Cecilia Formicola (sempre per Remer Comics), una regia musicale e un master da completare. Se resto vivo, ci vediamo nei prossimi mesi insomma

Salvatore Gennaro Boccarossa

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