Siamo in tempo di Lucca Comics and Games, la più importante fiera italiana del fumetto che quest’anno si tiene dal 1 al 5 novembre 2017. Raduna il meglio delle pubblicazioni nazionali quanto internazionali e, allo stesso modo, presenta tutte le novità per il prossimo anno. Libero Pensiero News ha incontrato un prodotto italiano edito dalla Noise Press di Luca Frigerio, realtà editoriale italiana molto attiva che nell’ultimo anno ha lavorato con autori italiani di fama internazionale. La nostra attenzione è per Kabuki di Vincenzo “Viska” Federici, napoletano classe 1986, disegnatore e autore apprezzato in Italia e all’estero che, al Napoli Comicon di quest’anno, ha presentato questa sua ultima creazione. È stato possibile ammirare, in anteprima allo stand, le tavole del seguito: The Kabuki Fight – Mexico.
Kabuki è un’opera a fumetti in cui l’autore partenopeo mette insieme le sue più grandi passioni, i fumetti e i videogiochi. Chi nato alla fine degli anni 80, avrà sicuramente ricordi delle sale giochi, dei personaggi improbabili che si sfidavano a colpi di joystick, di quei giochi tanto noti, in particolare uno su tutti: Street Fighter II.
È da questa mitologica tipologia di giochi che Federici attinge a piene mani con richiami ai picchiaduro più famosi, come appunto Street Fighter, Virtua Fighter o King of Figther. Sfogliando le pagine del fumetto si ha l’impressione di aver inserito la propria 500 lire e di aver iniziato a giocare, il ritmo procede spedito mentre tra un combattimento e l’altro i personaggi raccontano al lettore la propria storia. La storia di Kabuki parla di amicizia, oneri e stretti legami. I protagonisti a ogni combattimento non affrontano solo un nuovo nemico ma un proprio demone interiore, lungo una strada tortuosa che li porterà a combattere le proprie paure e a fare i conti col proprio passato.
Il protagonista è Pietro, combattente di Kabuki, napoletano guascone ma dall’animo gentile. L’incontro con Meiyo in cerca del padre scomparso, anche lui campione di Kabuki, poterà il giovane napoletano ad aprire una sua vecchia ferita e a mettere a rischio la sua stessa vita per scoprire la verità. Le tavole dell’opera sono a colori (realizzati dalla bravissima colorista Valentina Pinto). La gabbia e il tratto ricordano i comics americani, con elementi che guardano alla tradizione giapponese. Il tutto in un mix perfetto che esalta il tratto stilistico di Federci e rende piacevole la lettura. Il comparto grafico è ben realizzato e richiama le vecchie console nintendo. Il fumetto è consigliato a tutti gli amanti del genere e per chi ama fare un tuffo tra i ricordi, riportando alla mente le sfide tra ragazzini tra supermosse e combo speciali.
Passiamo ora alla nostra intervista e conosciamo meglio Vincenzo e il suo Kabuki.
Da cosa nasce l’idea di Kabuki?
«Bella domanda! L’idea nasce molti, ma molti anni fa, ne parlai la prima volta con un amico autore durante un Lucca Comics and Games, credo fosse il 2008 o 2009. Sono sempre stato attratto dal teatro Kabuki e mi piaceva l’idea di renderlo simile ad un torneo di arti marziali, perché di base sono sempre stato un appassionato del combattimento e delle idee che ci sono alla base di suddette arti. All’epoca avevo solo una vaga idea: una guerriera giapponese, un cattivone finale che avesse in sé questo istinto omicida di stampo demoniaco, un percorso di crescita.
Solo molti anni dopo, lavoravo come professionista già da un pò, l’idea prese davvero corpo. L’avevo un pò accantonata a dire il vero ma poi, per un fortuito caso, mi ritrovai dei character designs già fatti, per realizzare i quali avevo preso spunto dai videogames picchiaduro. Da lì, la storia ha preso vita da sola, in pratica. Nell’arco di poche settimane avevo già scritto tutto, i designs erano pronti e dovevo solo fare delle pagine per imbastire il dossier da presentare agli editori. Scrivevo ovunque, in qualsiasi momento, è stato fantastico!»
Storicamente il Kabuki è una danza tradizionale giapponese usata in rappresentazioni teatrali che narrano episodi di profonda fragilità e drammaticità: cos’è per te il Kabuki, che analogie e che differenze ci sono tra la tradizione e lo stile rappresentato nel fumetto? «Per me il teatro Kabuki rappresenta soprattutto una visione culturale, quella giapponese, rappresenta la storia del Giappone e il suo modo di vedere e narrare gli eventi e le storie, molto differente dal nostro. Basti guardare il manga o le illustrazioni di autori orientali e giapponesi, in particolare, per rendersi conto di quanto siano profondamente differenti da noi. È proprio questo ciò che mi appassiona del Kabuki: il fatto che sia un teatro diverso dal nostro e quindi, per noi, meno canonico. Mi piace fondere le cose, quindi ho pensato che sarebbe stato figo amalgamare questi concetti con i nostri e con i videogiochi. Poi c’è l’estetica del Kabuki, folgorante, non potevo lasciare lì a marcire le ispirazioni che mi davano i costumi di personaggi come Kagami Jishi, lo Spirito del Leone, che è uno dei personaggi principali della tradizione del teatro giapponese. Infatti lui appare tale e quale nel fumetto, miscelato a personaggi canonici dei picchiaduro come Akuma (o Gouki) di Street Fighter o Geese Howard di King of Fighters.»
Nella storia troviamo rimandi a un certo tipo di storie e di videogiochi molto in voga negli anni 90 e al cinema muscolare. Quanto tutto questi elementi hanno segnato la tua vita come persona e come professionista?
«Oh beh, moltissimo!!! Non mi vergogno assolutamente a dire che negli anni ’90 e inizio duemila, al massimo del suo splendore, uno dei miei attori preferiti era Jean-Claude Van Damme! Ho visto quasi tutti i suoi film, il più grande resta “La Prova”, che ha in sé tutto quello che amo delle storie di tornei e delle arti marziali. Poi rendiamoci conto… Van Damme ha interpretato Guile nel film di Street Fighter! Impossibile non amarlo per me! Andai a vedere quel film con mio padre ed il mio più caro amico, era il 1995 e non avevo nemmeno dieci anni. Fu epico! Uscimmo dal cinema gasati come dei drogati, mio padre un pò meno e ancora se lo ricorda. Il cinema muscolare, e soprattutto, i videogiochi hanno influenzato talmente la mia sfera creativa che sono ormai imprescindibili dal mio lavoro. In realtà io ho avuto solo una console da piccolo, il Super Nintendo, ed ero comunque alla fine delle scuole medie, quindi in realtà grandicello. Di fatto, andavo per sale giochi, luoghi a dir poco malfamati nella Secondigliano degli anni ’90, ma dove venivi tranquillamente tollerato e dove potevi rovinarti (economicamente) senza problemi. I videogiochi hanno fatto sì che proseguissi nella strada come autore di fumetti, sono per me una passione infuocata!»
Come spiegheresti alla generazione 2000 cosa erano le salagiochi in Italia?
«Gli direi che per provare sensazioni simili dovrebbero solo tornare indietro nel tempo. Ormai in Italia non esistono più le sale giochi arcade, al massimo sopravvivono le sale biliardo o quelle orrende con le slot machine. Per la generazione 2000 la sala giochi è dove si vanno a piazzare le scommesse e per me è una cosa tristissima. Entrare in sala giochi era un’emozione unica, tutte quelle luci e quelle musiche sintetiche a pochi bit, i ragazzini che si divertivano e che socializzavano. Perché, malgrado tutto quel che si dice, in realtà erano luoghi sociali e, in generale, i videogiochi aiutavano a socializzare, perché ti costringevano a giocare insieme e inevitabilmente facevi amicizia.»
Kabuki è una storia d’onore, d’affetto e amicizia: valori che i protagonisti riportano anche sul ring al momento della danza. Quanto c’è di te in ognuno di loro?
«In ognuno di loro c’è qualcosa di me o delle persone a me care, ma tendenzialmente direi che Pietro è quello che mi somiglia di più, da un punto di vista puramente mentale, non estetico (lui è un gran figo e io no) e nemmeno per il coraggio e l’eroismo. Ma solo perché ho voluto renderlo un ragazzo “di strada”, non cattivo o pericoloso, ma semplicemente uno che sa adattarsi alle situazioni, che si da da fare quando è necessario, grazie al suo background umile. Per Meiyo ho cercato semplicemente di canonizzare il personaggio alla Ryu o alla Terry Bogard, inflessibile, con uno scopo preciso e fissata con l’onore.
Rose è tutt’altra storia, è l’outsider e anche in questo mi ci rivedo un pochino. In generale, comunque, volevo che l’accento massimo fosse messo sull’amicizia, oltre che sull’action chiaramente. Ho cercato di trattare questo tema da diversi punti di vista: l’amicizia tradita, l’amicizia che nasce spontanea e quella che si sviluppa lentamente ma inesorabile. Volevo parlare anche della famiglia attraverso la storia di Meiyo. Insomma, ho trattato temi per me fondamentali e imprescindibili da qualsiasi avventura umana si possa vivere.»
Uno dei protagonisti della storia, Pietro, è napoletano. Qual è il legame con la tua città?«Il mio personale legame con Napoli è di tipo viscerale. Non ci vivo più da un paio d’anni e ne sento profondamente la mancanza. Era necessario per me inserire un personaggio che venisse dalla mia città. Città che mi ha dato tanto, se non tutto, soprattutto dal punto di vista “artistico”. Non ne ho mai vissuto male le complessità, anzi. È una città che ti rende autonomo, può darti tutto e togliertelo, sta a te resistere. Poi è bellissima! Pietro DOVEVA esserci, era fondamentale. Anche perché chi dice che i personaggi fighi debbano necessariamente venire da luoghi esotici o da New York? Chi dice che le avventure debbano avere luogo solo nelle metropoli americane? E, soprattutto, non è detto che parlando di Napoli si debba necessariamente parlare di camorra.»
Kabuki è un fumetto fuori dai canoni della narrativa fumettistica italiana. Quanto è stato è stato difficile realizzare un’opera di questo genere? «È vero che un fumetto come The Kabuki Fight esce fuori dagli standard nostrani, ha un taglio volutamente internazionale a cavallo tra vari generi (americano, francese, un pizzico di giapponese): questo può essere il suo vantaggio o la sua condanna, dipende dai lettori. Per ora hanno risposto bene e questo è davvero il massimo! La difficoltà maggiore era legata al fatto che fosse la mia prima opera autoriale, non al genere di storia rapportata al nostro mercato: settore fumettistico italiano attualmente è pronto al cambiamento. Grazie all’aiuto della colorista Valentina Pinto e dello staff Noise Press sono riuscito a cavarmela alla grande. In più, fondamentale è stato l’aiuto della mia fidanzata Stefania che mi ha soccorso nei momenti difficili.»
Vedremo in futuro vedere altre storie ambientate nell’universo di Kabuki? «Oh sì! La Noise Press ha annunciato, un paio di mesi fa, la lavorazione del seguito intitolato “The Kabuki Fight – Mexico”. Facile intuire dove si svolgerà la storia! Stesso team creativo e voglia di fare ancora meglio. A breve, verranno annunciate altre novità in merito, sia sulla pagina dell’editore che su quella ufficiale di The Kabuki Fight. Per ora ho la bocca cucita!»
Progetti futuri e sogni nel cassetto? «Progetti futuri ce ne sono molti, con l’Italia e l’estero. Per quanto riguarda i sogni nel cassetto sono talmente tanti che non basterebbero decine di interviste. Ne diciamo uno su tutti per ora: vedere un giorno il videogioco di The Kabuki Fight, magari su qualche cabinato arcade in un locale di dubbia fama.»
Non resta che correre in fumetteria e “Join the fight!” per dirlo con parole di Vincenzo, buon Kabuki a tutti!
Salvatore Gennaro Boccarossa