lorenzo tosa
lorenzo tosa

Breve e non esaustiva analisi sul giornalismo postmoderno, mortificato da personaggi come Lorenzo Tosa che sulle macerie della deontologia hanno eretto il totem della propria persona e raccolto attorno a orde di utenti smarriti.

Preambolo: lo scenario oscuro

Come mai nella storia dell’informazione, al di là delle congenite mistificazioni, la notizia è diventata democratica e alla portata di tutti. Non solo tutti la possono recepire, ma tutti la possono trasmettere o veicolare in tempo reale alla platea più vasta possibile ed eternamente connessa grazie a internet.
Non serve essere giornalisti, possessori di qualche abilitazione o specializzazione, ma basta una connessione, un pc, un like, un condividi, un repost.
In questo nuovo “infosistema” che qualcuno chiama “infodemia”, i cronisti diventano dei ripetitori, dei vettori anonimi, spesso ritardatari. Stare sul pezzo e raccontare in tempo, oggi, significa superare i limiti fisici e psichici umani e stare al passo di quelli tecnologici, per eventi e storie che corrono alla velocità del primo click.

lorenzo tosa clickbait
La situazione giornalistica in un meme.

La notizia, così, diventa patrimonio di tutti, viene a mancare l’esclusività, non c’è più chi, per ruolo, meriti professionali o strumenti, ha la precedenza, il privilegio di usare la propria voce per diffonderla.
Ne consegue che – in questo nuovo scenario dopato – la notizia non è più vendibile, ma è libera come l’ossigeno, ubiquitaria. Democratica, appunto. Una grandissima conquista.

Le conseguenze del nuovo scenario: la nascita del fattopinione

Ma c’è un “però”, e dopo i però, solitamente, non c’è mai nulla di buono.
Coloro che per lavoro maneggiano la notizia, infatti, vedono deprivarsi della loro materia prima. Da qui sorge in loro la necessità di trovare un nuovo prodotto, qualcosa di nuovamente esclusivo che giustifichi la professione: nasce la notizia mista ad opinione, “il fattopinione”.
Il fattopinione è la notizia inquinata dal proprio sguardo parziale, che corrompe l’evento di per sé neutro. Un qualcosa che nelle intenzioni dovrebbe arricchire il fatto in sé ma, vittima dei ritmi supersonici, diventa soltanto un veleno egotico e superficiale per l’informazione veicolata.

… e dei giornalisti-influencer

In questa dinamica, a cambiare non è solo la natura dell’informazione, ma anche quella del comunicatore. Si assiste, infatti, all’ascesa di una classe giornalistica che incarna questa tendenza comunicativa “personalistica”. Giornalisti che, invece di arricchire la notizie, invece di fare luce e individuare le sfumature degli eventi, li riducono a un giudizio personale, semplificato e devoto a un’ideologia con fine ultimo di rafforzare la propria immagine pubblica e macinare like e consensi.

lorenzo tosa e andrea scanzi
fonte immagine: monteirorossi.it

Il massimo esponente: Lorenzo Tosa

“Sono un giornalista professionista, direttore di Next Quotidiano, opinionista su TV8, con 450’000 follower e 1 milioni di persone raggiunte in un mese, la mia è la terza pagina Facebook personale più seguita in Italia”.
Questo dice la sua home sul suo sito personale. E tanto basta per avvalorare il nostro discorso, la quantità come virtù.
Prima di diventare la terza pagina Facebook più seguita in Italia, Tosa vanta un percorso di collaborazioni con il Corriere Mercantile, Secolo, Primocanale e Il Fatto Quotidiano. Nell’agosto 2015 riceve la chiamata dai Cinque Stelle coprendo il posto da Ufficio Stampa per il gruppo regionale ligure nonostante lui che si collochi “politicamente a sinistra”. Abbandonerà nel 2018 in occasione dell’alleanza con la Lega in forza di una ritrovata ortodossia con i propri ideali, a latere di una lettera di dimissioni di cui frammenti sono ancora visibili sui social.

Lorenzo Tosa, insomma, è il massimo rappresentante (per seguito e popolarità) di questo nuovo pattern giornalistico, ovvero del fattopinione mediocre ed esiziale. La personificazione del trionfo del personal brand, della quantità a discapito dell’informazione. Il postmoderno mostro di Frankenstein che sposa una visione narcisista degli eventi in piena logica auto-promozionale. Una visione che si serve di uno stile di scrittura stucchevole, ben pensante, continuamente indignato, vittimista, settario che, come suggerisce la Treccani, individua un comunicatore intransigente è fazioso sul piano ideologico.
Un professionista che non manca giorno per assumere forzatamente un’opinione polarizzata, antagonista, semplificata, conscia di fare più rumore (e raccogliere più attenzioni) nell’esagitato mondo del web. Un ultras con la penna in mano al posto del megafono che sfodera diuturnamente un tono provocatorio, lacrimoso, indignato, non aperto verso l’altro e che, con il suo modo di comunicare, rende inconciliabile qualsiasi possibilità di confronto costruttivo.

Insomma, Tosa e quelli come lui (Biagio Simonetta, Andrea Scanzi…) non informano, non discutono, non creano dibattito. La loro è pura osannazione dell’Io, indecente trastullamento ego-riferito in pubblica piazza (social), la questua cadenzata e programmata editorialmente dell’attenzione altrui che si risolve nella transumanza degli utenti smarriti.

“Seguitemi di qui”, “Seguitemi anche sul canale Telegram” nei commenti di ogni loro post. E qui palesano la propria astinenza di attenzioni che si autoalimenta del plebiscito social. Colpevoli, beccati sul fatto.

Lorenzo Tosa
Commento di Tosa a un suo post pubblico.
Commento di Biagio Simonetta a un suo post pubblico.

Lorenzo Tosa, insomma, è un leader d’opinione ma senza una vera opinione in un mondo liquido e proteiforme. Il suo proselitismo (perché di questo si tratta) verso il suo monumento (profilo) pubblico non ha solo una portata di massa, ma puntiforme, e per questo capillare e a tratti subdolo.

Come emanciparsi dalla brutta piega dell’informazione social

L’unica egida che abbiamo nei confronti dei nuovi leader d’opinione “social” è quello di analizzare la grammatica dei loro post e rendersi conto che di contenuti, veri, originali, pensati, non ce n’è traccia, così da smascherare i trampoli del sentito dire su cui sorreggono le loro parole, esorcizzare il loro logorroico demone socratico e comprendere che sono solo megafoni di ideologie ipostatizzate che appiattiscono la logica e il senso critico. In primis, quello loro.

Enrico Ciccarelli

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