Philip Roth, «L’animale morente»: erotismo, senescenza e morte
Egon Schiele - L'abbraccio (SALT Editions)

Philip Roth è stato uno dei più noti e premiati scrittori ebraico-statunitensi del ‘900, difatti dopo la pubblicazione della cosiddetta trilogia americanaPastorale americana (1997), Ho sposato un comunista (1998), La macchia umana (2000) – è diventato l’autore di riferimento globale per ogni analisi e riflessione sul romanzo e sulla letteratura tout court. I romanzi di Philip Roth descrivono la sconcertante realtà americana e pertanto offrono lucide e caustiche critiche alle ipocrisie della società occidentale, e talvolta sfociano finanche in una satira mordace. In virtù di ciò ha vinto svariati Premi Pulitzer e per anni è stato tra i candidati papabili al Premio Nobel per la letteratura, però non gli è mai stato assegnato.

Pubblicato nel 2001 L’animale morente chiude invece la trilogia dei Kepesh BooksIl seno (1972), Il professore di desiderio (1977) – di cui il protagonista è il sessantaduenne David Kepesh, professore universitario di critica letteraria senza remore sessuali, che fa del proprio carisma e fascino gli strumenti per instaurare delle relazioni erotiche con le ex-studentesse del suo corso. Ragion per cui desiderio e godimento sono le forze primordiali e recondite di questa narrazione senza tempo, che a loro volta generano un dis-equilibrio, una profonda crepa nell’animo del protagonista immerso in un assolutizzato distacco emotivo. L’animale morente è una delle opere meglio riuscite dell’ultima parte del percorso letterario dello scrittore ebraico-statunitense.

Philip Roth rende il romanzo un dramma teatrale di lotte e passioni universali; fonda l’attendibilità del racconto sull’esemplarità, tra il realistico e l’ideale, dei paradigmi morali ed esistenziali in cui sono invischiati i suoi personaggi. Dunque, scrivere – soprattutto per l’ultimo Roth – probabilmente non è tanto un modo per esorcizzare la paura della morte, bensì è un tentativo di costruire un senso, nel disordine pulviscolare del reale, attraverso i destini particolari degli individui in quanto parti costituenti d’un flusso inarrestabile: il caos sensoriale, le rapsodie mentali, i conflitti esistenziali, il disfacimento corporeo e l’indeterminatezza della vita. Nella mediazione tra scrittura e manifestazione dell’atto narrativo nel racconto medesimo risiede il punto focale degli ultimi romanzi di Philip Roth, ossia il disallineamento tra verità e realtà, tra desiderio e tempo, e infine il perenne contrasto tra vita e morte.

«Consumami il cuore; malato di desiderio/ E avvinto a un animale morente/ Che non sa cos’è». (William B. Yeats).

Philip Roth
E. Schiele (L’Affiche Illustrée)

L’animale morente di Philip Roth: Eros e Thanatos

Il romanzo è un lungo ed evocativo monologo, un dirompente flusso di coscienza, che pone sul medesimo piano narratore e lettorə creando così un continuum tra i due, ovvero una sorta di bolla emotiva all’interno della quale il narratore espone la propria storia lacerante mentre il lettorə se ne fa carico. Dunque, l’anziano professore e noto conferenziere televisivo David Kepesh, protagonista e voce narrante del romanzo, è in realtà l’alter ego di Philip Roth. La sua carriera universitaria è stata costellata da molteplici soddisfazioni accademiche, inoltre ha alle spalle un matrimonio, un figlio quarantenne, un divorzio e gli è capitato sovente d’intrattenere relazioni sessuali con alcune delle sue ex-allieve più avvenenti. È l’incarnazione della libertà sessuale degli anni ’60 e vive l’esperienza fisica come un escamotage per conseguire una condizione estatica puramente carnale; pertanto, la serialità delle conquiste si configura come la riaffermazione di sé e come un’energica fuga dall’incubo costante dell’invecchiamento e della morte.

Philip Roth
Kepesh
Tamara de Lempicka – Women bathing 1929 (Wikipedia)

In tale dimensione orgiastica e obnubilante nessuna avrebbe potuto turbare le radicate certezze del professore David Kepesh.

«Perché solo quando scopi riesci a vendicarti, anche se solo per un momento, di tutto ciò che non ami nella vita e di tutte le cose che nella vita ti hanno sconfitto. Solo allora sei più nettamente vivo e più nettamente te stesso. La corruzione non è il sesso: è il resto. Il sesso non è semplice frizione e divertimento superficiale. Il sesso è anche la vendetta sulla morte. Non dimenticartela, la morte. Non dimenticartela mai. Sì, anche il sesso ha un potere limitato. So benissimo quanto è limitato. Ma dimmi, quale potere è più grande?».

Ma è quando incontra la studentessa ventiquattrenne figlia d’immigrati benestanti cubani anti-castristi, Consuelo Castillo, che la sua vita muta drasticamente. L’intensità della relazione instauratasi con la ragazza scatena, sin da subito, un turbinio di emozioni e un vortice d’entropia che trascendono la semplice relazione erotica. Con ciò avviene il crollo – reiterato – dell’illusione narcisistica e solipsistica del protagonista. Il rapporto fra i due da un lato sconfina immediatamente in una patologica devozione dell’uomo verso il corpo erotizzato di lei; dall’altro in una languida partecipazione della ragazza, alle prime germoglianti esperienze d’amore.

Philip Roth
Kepesh
E. Schiele (Mar dei Sargassi)

L’ossessione per la conturbante Consuelo si trasforma in un legame auto-distruttivo e in un desiderio d’appartenenza feroce e dilaniante. Il professore Kepesh rimane invischiato nella relazione e la differenza anagrafica gli fa avvertire non solo quanto sia impossibile possedere la giovane donna ma anche quanto ormai sia logorato dalla senilità. Il desiderio, la trasgressione e l’erotismo perdono momentaneamente vigore dinanzi alla solitudine e alla fragilità umana.

«L’unica ossessione che vogliono tutti: l’amore. Cosa crede, la gente, che basti innamorarsi per sentirsi completi? La platonica unione delle anime? Io la penso diversamente. Io credo che tu sia completo prima di cominciare. E l’amore ti spezza. Tu sei intero, e poi ti apri in due».

L’attaccamento morboso di David Kepesh al corpo di Consuelo e al sesso non sono semplici espressioni d’una tendenza alla sessualità senza inibizioni, ma si tratta di un attaccamento alla vita stessa: un appiglio carnale al quale aggrapparsi pur di sentirsi vivi, pur di non precipitare nell’abisso dell’esistenza, in un vuoto senza fine. Il persistente pensiero del piacere si dipana tra il vivido ricordo dell’essere stato e tra l’indomabile natura desiderante dell’essere ancora; tramite ciò il lussurioso professore avverte l’ampiezza e la pienezza d’un futuro illimitato contrapposto a un futuro limitato. Dunque, il protagonista anela all’immortalità sessuale pur di non farsi fagocitare dall’ineluttabile scorrere del tempo.

Pertanto, è totale l’asservimento di Kepesh che non solo è in competizione con un passato amante di Consuelo, ma brama spassionatamente qualsiasi aspetto della propria donna, compreso il suo mestruo, come se esprimesse il retaggio di pratiche antichissime legate alla divinizzazione della bellezza e della riproduzione femminile. Egli convive dolorosamente con una passione alonata di morte, ma il tutto è intervallato dalla presenza di altre persone altrettanto affascinanti: Carolyne, ex-allieva ritrovata anni dopo nelle vesti di donna in carriera delusa dal genere maschile, con qualche chilo di troppo ma ancora prosperosa al punto da riuscire a placare fugacemente il professore; poi l’oftalmologa frustrata Elena, insonne per via del lavoro e terribilmente fragile a causa d’un desiderio di maternità mai appagato; e infine Kepesh figlio, scopertosi adultero a quarant’anni e perciò fortemente bisognoso di un confronto frequente con il padre, sessuomane e fedifrago come lui.

Nonostante ciò, la fisicità incandescente di Consuelo non svanisce mai nella mente radicalmente destabilizzata del protagonista. Nel romanzo di Philip Roth s’evidenzia come ogni mancanza rispetto a un soddisfacimento implichi una tensione psichica interiore, una quota di frustrazione, e quindi come necessariamente la tendenza pulsionale sia quella di un ritorno a una condizione di assenza di conflitti. Difatti Kepesh tenta d’individuare un’esistenziale ricerca del godimento assoluto e al tempo stesso un disperato tentativo di rimarginare le cicatrici della senescenza e di mettere a tacere le esistenziali angosce che lo affliggono.

Sogno causato dal volo di un’ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio (Dalí Universe)

L’ultima parte del romanzo si rivela estremamente straziante, infatti Consuelo è malata: scopre di avere un tumore al seno. Il suo corpo è in via di disfacimento, i suoi seni non esisteranno più, dovranno essere asportati, in più ha perso la sua splendida chioma ed è sfinita dalla chemioterapia. Quel corpo, strumento dell’eros più sfrenato lungo tutta la narrazione, ora sta inevitabilmente scomparendo. In questo turbinio mortifero il professore Kepesh si tribola nell’esasperazione: il corpo che ha tanto bramato, desiderato e sfiorato sta per svanire nell’oblio. In fondo lui ama la giovane donna, ama perdutamente sia l’idea che si è creato di lei sia il suo corpo che ha vissuto intensamente per il restante tempo di vita. Consuelo si è annidata nel corpo dello stesso Kepesh, nella sua mente, nelle sue viscere, fino a farlo morire con sé. Nell’opera di Philip Roth entrambe sono anime enigmatiche, drammatiche, aporetiche, che non si concedono tregua alcuna, bensì si trascinano violentemente l’una con l’altra nelle fatalità d’un destino già segnato.

Dunque, nella costante lotta tra eros e thanatos, il sesso è una forza anarco-ghiandolare atroce: se assecondata senza limiti non ha un risultato a somma zero: dà, ma spesso toglie, qualcosa a qualcuno. Rende labilmente felice l’individuo ma devasta irreparabilmente esistenze, coscienze e famiglie. Questo è il dramma che ci rivela Philip Roth ne L’animale morente: un corpo, un’entità, un’individualità consunti in un eterno e agonizzante supplizio.

Il sesso è l’aculeo perennemente conficcato nella carne umana lungo la sua storia antropologica. Il godimento sarebbe al di là dell’istante provvisorio ed è perciò privo d’una durata misurabile, sarebbe uno spazio di totale abbandono del soggetto, laddove l’oblio del tempo prefigura l’oblio della morte, l’oblio del corpo mortale. Il rapporto sessuale non ha luogo, proprio perché coincide con l’atto, ch’è il darsi reciproco di più individualità in quanto permangono nella propria irriducibile differenza, pur generando un caos di sensazioni e di ruoli attraverso la carne che nasce e la carne che perisce. In ciò si verifica un annichilimento dei sensi e una folgorazione atemporale al di là della finitudine umana.

Philip Roth
Philip Roth (Ca’ Foscari)

«Per quante cose tu sappia, per quante cose tu pensi, per quanto ordisca e trami e architetti, non sei mai al di sopra del sesso». (Philip Roth).

Gianmario Sabini

Gianmario Sabini
Sono nato il 7 agosto del 1994 nelle lande desolate e umide del Vallo di Diano. Laureato in Filosofia alla Federico II di Napoli. Laureato in Scienze Filosofiche all'Alma Mater Studiorum di Bologna. Sono marxista-leninista, a volte nietzschiano-beniano, amo Egon Schiele, David Lynch, Breaking Bad, i Soprano, i King Crimson, i Pantera, gli Alice in Chains, i Tool, i Porcupine Tree, i Radiohead, i Deftones e i Kyuss. Detesto il moderatismo, il fanatismo, la catechesi del pacifismo, l'istituzionalismo, il moralismo, la spocchia dei/delle self-made man/woman, la tuttologia, l'indie italiano, Achille Lauro e Israele. Errabondo, scrivo articoli per LP e per Intersezionale, suono la batteria, bevo sovente per godere dell'oblio. Morirò.

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