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Poche cose risultano fuorvianti come il paragonare il cambiamento climatico a un evento apocalittico. Non che i suoi effetti non siano all’altezza degli scenari descritti nel Libro della Rivelazione, ma non si abbatteranno su di noi come una sciagura futura e inaspettata. Il pensarci in questi termini non fa altro che ridurre le capacità di adattamento a un clima in costante evoluzione. In un contesto di crisi climatica, dunque, sensibilizzare e preparare le popolazioni a reagire alle conseguenze di un clima che cambia diventa obiettivo prioritario di numerosi programmi di protezione promossi dalle agenzie specializzate delle Nazioni Unite. L’ultima delle iniziative avanzate in tal senso è “Tsunami ready”.

L’iniziativa in questione viene attuata come un programma volontario, che promuove la preparazione al rischio tsunami come collaborazione attiva tra le agenzie di allerta e gestione delle emergenze nazionali e locali e le autorità governative, gli scienziati, i leader delle comunità e il pubblico. L’obiettivo principale di Tsunami Ready è quindi quello di costruire comunità resilienti attraverso consapevolezza e strategie di preparazione che siano in grado di proteggere dagli tsunami la vita, i mezzi di sussistenza e le proprietà nelle aree più vulnerabili del mondo. Aree nelle quali è stato recentemente incluso anche il bacino mediterraneo.

Lo scioglimento delle calotte polari e dei ghiacci alpini, infatti, contribuisce alla risalita del livello del mare, provocando gravi problemi per le zone costiere di numerose nazioni. Nei prossimi 30 anni, spiega l’Unesco, la probabilità di tsunami con onde di oltre un metro capaci di inondare le coste bagnate dal Mediterraneo è del 100%. Tuttavia, il rischio continua a essere sottovalutato: mentre le comunità del Pacifico e dell’Oceano Indiano – dove si verifica la maggior parte degli tsunami – sono ormai consapevoli del pericolo, in altre regioni costiere (Mediterraneo compreso) il rischio è ancora gravemente sottostimato. Eppure, come afferma l’esperto di oceani Bernardo Aliaga in un’intervista per il Guardian, non bisogna domandarsi se uno tsunami si verificherà nell’area mediterranea, ma solo quando accadrà.

Da qui, la necessità di fornire a Tsunami Ready una diffusione quanto più ampia possibile entro il 2030 e costruire una strategia diversificata a seconda dei fattori di rischio locali. I maremoti, infatti, possono avere origini differenti (Il 78% è provocato dall’attività sismica, il 10% dall’attività vulcanica e dalle frane e il 2% dall’attività meteorologica) e differenti sono gli impatti che producono sulle comunità locali. Il sistema di protezione guidato dall’UNESCO è risultato particolarmente efficace nel rilevare gli tsunami molto rapidamente.

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Dare l’allarme non è in sé sufficiente. Per salvare vite umane, infatti, le comunità costiere devono anche essere addestrate a rispondere nel modo giusto. E se uno tsunami con onde di un metro di altezza può non sembrare motivo di preoccupazione, l’Unesco ha sottolineato come esso possa – in realtà – provocare danni irreversibili. Gli tsunami alti appena 1,5-2 metri possono sollevare le auto da terra, mentre le onde più piccole sono in grado di generare muri d’acqua che viaggiano a 65 km orari, distruggendo ciò che incontrano lungo il tragitto. Gli tsunami, è bene precisarlo, sono il più letale tra i rischi naturali a insorgenza improvvisa (negli ultimi 100 anni, circa 58 maremoti hanno causato più di 260.000 vittime) e la rapida urbanizzazione delle zone costiere, unitamente all’incremento dei flussi turistici, mette in pericolo un numero sempre crescente di persone.

Pertanto, per diventare “pronta agli Tsunami” una comunità deve sviluppare un piano di riduzione del rischio, individuare e mappare le zone di pericolo, creare mappe di evacuazione che siano facili da usare e fruibili dall’intera popolazione e – soprattutto – fare formazione pubblica sull’argomento. In quest’ottica, nel dicembre 2015, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha designato il 5 novembre come “Giornata mondiale della consapevolezza del rischio di tsunami”, invitando i governi, gli organismi internazionali e le associazioni della società civile a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla gestione delle misure di mitigazione. Tuttavia, non potrà esserci prevenzione del rischio realmente efficace che non passi dalla creazione di una consapevolezza fondamentale: il climate change agisce come un moltiplicatore di minacce e continuare a ignorarne l’esistenza non porterà da nessuna parte. O forse sì, verso l’apocalisse climatica.

Virgilia De Cicco

Virgilia De Cicco
Ecofemminista. Autocritica, tanto. Autoironica, di più. Mi piace leggere, ma non ho un genere preferito. Spazio dall'etichetta dello Svelto a Murakami, passando per S.J. Gould. Mi sto appassionando all'ecologia politica e, a quanto pare, alla scrittura. Non ho un buon senso dell'orientamento, ma mi piace pensare che "se impari la strada a memoria di certo non trovi granché. Se invece smarrisci la rotta il mondo è lì tutto per te".

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