C’era una volta. Potrebbe iniziare così la storia che narra vita e gesta di Matteo Renzi, l’uomo politico del momento. Per raccontare intrecci, impedimenti e trame fiabesche si dovrebbe iniziare dai primi passi in politica per poi spingersi oltre: il ruolo di sindaco a Firenze innanzi tutto. E poi la Leopolda, le primarie e, naturalmente, la fase cruciale della carriera politica di Matteo Renzi, quella che gli ha affibbiato l’etichetta del “rottamatore”. Che nostalgia, potrebbe pensare qualcuno. Soprattutto se si pensa al poderoso consenso diffuso tra i cittadini che c’era allora. Solo che poi si dovrebbe arrivare al sempre e per sempre e di fiabesco, qui, c’è poco. Intanto manca il lieto fine. E in realtà non c’è nemmeno un finale letterario o un’uscita di scena teatrale. Quel «Se perdo il referendum mi dimetto e mi ritiro dalla politica» pronunciato in occasione del referendum costituzionale del 2016 risuona ancora nel vuoto. Purtroppo o per fortuna. Il racconto è andato avanti. C’è il Partito Democratico, c’è la formazione del governo “giallo-rosso” e c’è la creazione, poco dopo, di un nuovo partito, Italia Viva. Alla fine c’è una crisi preannunciata. Per questo non si può parlare di fiaba: è più giusto parlare di fenomenologia, il modo in cui “si presenta e manifesta una realtà”, quella di Matteo Renzi di cui tutti facciamo parte.
I punti che determinano la crisi
Secondo gli ultimi sondaggi sulle intenzioni di voto di SWG, Italia Viva non arriva al 3%. Eppure è il suo leader, Matteo Renzi, a tenere sotto scacco il Governo. I punti su cui il leader di Italia Viva motiva la crisi sono il MES, la linea di credito che garantirebbe all’Italia 36 miliardi da spendere in sanità, e il Recovery Fund, il fondo europeo per la ripresa. In un’intervista rilasciata lo scorso 9 gennaio a Repubblica, Matteo Renzi spiega come sarebbe stato vantaggioso per l’Italia accedere ai fondi del Mes. «Aver detto di no per motivi ideologici è l’errore di un premier che forse punta a guidare i Cinque stelle più che il Paese. Su questo una certa timidezza del Pd non aiuta». Sul secondo punto, il Recovery Fund, Italia Viva ha subito espresso la propria insofferenza per la ripartizione delle risorse e per i ritardi nel consegnare la bozza di programma prima della discussione in Consiglio dei ministri.
Le perplessità sulla crisi di Matteo Renzi
Le questioni sollevate riguardano punti cruciali di oggi e del futuro. E un Paese che vive una grande crisi economica ha bisogno di interrogarsi sulla direzione che in futuro si intende percorrere. Idee chiare, lungimiranza e stabilità sono alla base di un progetto di rilancio. Tuttavia, a lasciare perplessi è il fatto che non siano state queste le prime argomentazioni di Matteo Renzi. In principio era rimpasto e il rimpasto erano sedie e il rimpasto era il non essere abbastanza rappresentati nel mare grande dei 209 miliardi del Recovery Fund. A lasciare ancora più perplessi è la situazione attuale: è il caso di aprire una crisi di Governo a fronte dei morti che quotidianamente aumentano? È opportuno far traballare tutto mentre le attività commerciali affannano? E ancora, che immagine politica si dà di sé a un’Europa che ha messo in campo iniziative di rilancio economico mai viste prime?
Come cambiano le cose
Era il 2012 quando alla Leopolda Matteo Renzi affermava «Se vinciamo noi non ci sarà più spazio per il potere di veto dei partitini». Era il 2017 quando da Porta a Porta l’allora segretario dei democratici manifestava il disappunto verso alcuni partiti minori: «Non accettabile che nel 2017 ci siano ancora i piccoli partiti che mettono i veti». Idee che sembrano appartenere a un’altra epoca e a un altro contesto. E in effetti lo era. All’epoca Renzi era il segretario del più importante partito italiano e i piccoli partiti erano potenzialmente dannosi per i loro veti. Adesso che è leader di una formazione che non supererebbe la soglia di sbarramento in una riforma elettorale al 5% (come il Germanicum), mostra una netta inversione di tendenza. Italia viva fa sentire la propria voce. E pone veti. E minaccia la crisi. Col suo quasi 3% Matteo Renzi non vuole essere dimenticato, mentre tenta di contare ancora qualcosa. Il filo a cui pare si aggrappi sembra essere un wildiano “bene o male, purché se ne parli”.
Alba Dalù